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Nozione ed origine storica del piazzamento di prodotto: dalla nascita negli USA al suo approdo nel panorama cinematografico italiano.

Nel documento Product placement e libertà di espressione (pagine 179-185)

Capitolo III Il product placement:

1. Nozione ed origine storica del piazzamento di prodotto: dalla nascita negli USA al suo approdo nel panorama cinematografico italiano.

Il product placement può essere definito come quella “forma di

comunicazione di impresa tramite la quale un marchio o un prodotto la cui provenienza è immediatamente riconoscibile viene utilizzato direttamente o indirettamente in un’opera dell’ingegno dietro un corrispettivo”392

. Con tale espressione, si intende, dunque, far riferimento alla presenza, all’interno di opere cinematografiche, o, più in generale, come si dirà393, di

392

Così, Dell’Arte, Il contratto di product placement, in I contratti, 2007, n. 7, 715 ss.. 393

opere d’autore, di citazioni di prodotti o marchi, di per sé non essenziali ai fini della trama o del contesto narrativo dell’opera e che, cionondimeno, sono tese a dare una collocazione, per così dire, privilegiata, ai marchi e/o prodotti “piazzati”, sulla base di un accordo di natura commerciale tra il produttore dell’opera stessa ed il produttore del prodotto e/o titolare del marchio394.

Come si può notare, la predetta definizione fa riferimento, indistintamente, a prodotti e/o marchi. Ed infatti, pur essendosi affermate numerose teorie tese a circoscrivere l’oggetto del product placement ai soli prodotti395, si ritiene preferibile un’interpretazione estensiva, nel senso, cioè, di includere fra i beni da pubblicizzare tanto i prodotti propriamente intesi, quanto i servizi, quanto, infine, i cosiddetti segni distintivi. La ragione di ciò può rinvenirsi nel fatto che ciò che caratterizza tale tecnica pubblicitaria è dato, non già dall’oggetto dello stesso, bensì dal collocamento dell’oggetto medesimo (sia esso un prodotto, un servizio, ovvero un marchio) all’interno di opere dell’ingegno, al fine di promuoverlo396.

Più nel dettaglio, l’accordo finalizzato al ricorso allo strumento del product

placement può assumere contenuti particolari: ben può accadere, ad

esempio, che la società produttrice del prodotto e/o marchio “da piazzare” determini particolari condizioni ai fini dell’inserimento dei marchi e prodotti medesimi. Simili condizioni possono, ad esempio, essere dettate dall’esigenza, fondamentale per la società produttrice di quei prodotti, che

394

Al riguardo, si veda, Mansani, op. cit., 905, il quale definisce product placement “l’evidenziazione di un prodotto o di un servizio nel corso di spettacoli cinematografici o

televisivi, per effetto di un accordo intercorso tra il produttore del film o della trasmissione (o il conduttore di questa) e il fabbricante del prodotto o l’offerente il servizio evidenziati”.

395

Si veda in tal senso, Rossello, Pubblicità ingannevole, in Contr. e Impr., 1995, 137 ss.. 396

agli stessi non venga attribuita una connotazione negativa a seguito del piazzamento397.

Un ulteriore peculiarità del product placement può rinvenirsi nell’intento non propriamente promozionale, bensì denigratorio che con esso si intende realizzare.

L’origine storica di un simile fenomeno può essere ricondotta alla nascita della cinematografia, dal momento che, già nelle primissime pellicole cinematografiche, si rinvengono forme di piazzamento di prodotto398.

Cionondimeno, può ritenersi condiviso il convincimento per cui la nascita, per così dire, “ufficiale”399 del product placement possa essere fatta risalire alla realizzazione, nel 1945, dell’opera filmica “Mildred Pierce”, durante la quale si inquadrava Joan Crawford mentre beveva un bicchiere di Jack Daniel’s Bourbon. Ed infatti, fu in quest’opera cinematografica che, per la prima volta, il piazzamento di prodotto venne inserito su espressa richiesta della società produttrice del prodotto stesso400.

397

Sul punto, si rinvia a Mansani, op. cit., 907, il quale cita l’esempio di una casa produttrice di automobili di un certo prestigio, la quale prevedeva, tra le clausole contenute all’interno dei contratti di product placement da questa sottoscritti con case cinematografiche statunitensi, il divieto di affidare le proprie autovetture, nell’ambito del contesto narrativo del film, a personaggi negativi (i cosiddetti bad boys).

398

Si veda, sul punto, Carballo-Calero, op. cit., 141, il quale osserva come già alla fine dell’ottocento venissero realizzati films nei quali si ricorreva alla tecnica del piazzamento di prodotto. L’Autore cita, in particolare, il film francese Sunlight, realizzato nel 1898, nel quale venivano riprese casse di Sunlight ai piedi di alcune lavandaie, o, ancora, il film Deward’s Scotch Whisky, prodotto l’anno precedente, in cui tre scozzesi “ballavano con

lancia e scudo davanti a un cartellone pubblicitario di whisky Dewar’s”. L’Autore

osserva, peraltro, come, in entrambe le suddette opere, l’intento promozionale dei piazzamenti di prodotto si desuma già dai rispettivi titoli dei films.

Per una ricostruzione storica del fenomeno del product placement, utile è, altresì, la consultazione del sito internet http://www.jmnanddy.com.

399

L’espressione è di Carballo-Calero, op. cit., 142. 400

Osserva, peraltro, Carballo-Calero, op. cit., 142 come talaltra dottrina preferisca ricondurre la nascita di tale fenomeno pubblicitario alla realizzazione, nel 1967, del film “Il Laureato”, nel quale il protagonista, Dustin Hoffman, veniva ripreso alla guida di una vettura Alfa Romeo Spider.

Nel ripercorrere, in estrema sintesi, lo sviluppo cinematografico di tale tecnica pubblicitaria, non può omettersi di citare lo storico film “E.T.”, di produzione statunitense, nel quale i bambini protagonisti del film offrivano all’ormai noto personaggio extraterrestre pasticche di cioccolato della marca Reese’s Pieces, allo scopo di instaurare un primo approccio comunicativo con l’extraterrestre. La scelta di una simile collocazione consentì alla società titolare di quel marchio, la società Hershey (scelta, peraltro, dopo il rifiuto di una società concorrente, la quale aveva ritenuto troppo eccessivo il prezzo richiesto dal produttore cinematografico per l’inserimento dei prodotti nel contesto del film), un incremento del volume delle vendite di quel prodotto pari a circa l’85%401.

Procedendo nell’esame dei principali esempi di utilizzo cinematografico del piazzamento di prodotto, un primo dato che emerge è il sempre più frequente ricorso a tale strumento di comunicazione pubblicitaria da parte del cinema statunitense, al punto da poter affermare, con un certo margine di sicurezza, che, allo stato attuale, tutti i film prodotti da questo mercato sono caratterizzati dalla presenza di un piazzamento di prodotto. Del resto, una conferma dell’importanza di tale tecnica pubblicitaria nel panorama cinematografico statunitense si rinviene nella presenza di numerose agenzie pubblicitarie americane che si occupano di product placement, talune addirittura specializzate esclusivamente nella realizzazione di tale tecnica pubblicitaria402.

Diverso è stato, invece, lo sviluppo che tale fenomeno ha avuto nel nostro Paese, caratterizzato da un notevole ritardo rispetto all’esperienza straniera, e, comunque, da un lento affermarsi dell’utilizzo del piazzamento di prodotto. Ed infatti, in Italia, soltanto intorno alla metà degli anni’50

401

Cfr. Carballo-Calero, op. cit., 143. 402

vennero realizzate le prime opere cinematografiche nelle quali era possibile rinvenire forme di piazzamento di prodotto. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, al celebre film “Vacanze romane”, realizzato nel 1953, nel quale Gregory Peck e Audrey Hepburn percorrevano le vie di Roma su di una Vespa, o, ancora, l’altrettanto famoso film “La Dolce Vita” (1960), nel quale Marcello Mastroianni ordinava un bicchiere di Black&White.

Lo sviluppo, nel cinema italiano, del product placement è da taluni ricondotto alla crescita economica che investì, all’inizio degli anni ’50, il Paese, la quale favorì l’ingresso, anche nel nostro mercato cinematografico, delle principali case produttrici di beni di largo consumo. Un simile sviluppo si è incrementato nei successivi decenni, arrivando, altresì, a realizzare sempre più elaborate forme di piazzamento del prodotto, così da rendere difficile distinguere lo stesso dal contesto narrativo delle opere.

In particolare, è bene rilevare come in Italia, analogamente a quanto avvenuto negli altri Paesi, il fenomeno del product placement, sebbene nato e sviluppatosi prevalentemente nel settore della cinematografia, si sia, con il tempo, affermato, con la medesima finalità403, anche nell’ambito di altre opere dell’ingegno: per citarne alcune, si pensi, in primo luogo, alle opere audiovisive. Tutt’altro che marginale risulta, inoltre, l’utilizzo che di simile tecnica pubblicitaria si sta progressivamente facendo nelle opere letterarie, in quelle musicali (ivi compresi, con riferimento a queste ultime, i video musicali), nonché nel settore della moda, nella fumettistica e nei

videogames404 .

403

Ovvero, porre l’attenzione sul prodotto pubblicizzato. 404

Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, al romanzo letterario, The Bulgari

Collection, opera letteraria realizzata nel 2001 dalla scrittrice Fay Weldon, su

commissione della società titolare dell’omonimo marchio, al fine, appunto, di promuovere quest’ultimo.

Una simile tendenza, d’altra parte, non può che costituire la diretta conseguenza del bisogno degli operatori pubblicitari di cercare strumenti sempre più immediati e rapidi per far “arrivare” i propri prodotti ai destinatari.

Cionondimeno, è stato opportunamente rilevato come, in Italia, l’utilizzo di una simile tecnica pubblicitaria non abbia mai raggiunto i livelli del mercato estero, e, principalmente, di quello statunitense. Circostanza, questa, che ben può essere ricondotta al clima di sfiducia, pressoché generalizzato, circa la liceità del piazzamento di prodotto da un punto di vista strettamente giuridico405. Come, infatti, si avrà modo di approfondire nei successivi paragrafi, nell’ordinamento italiano si è affermato un atteggiamento di sostanziale chiusura nei confronti del piazzamento di prodotto, ritenuto una fattispecie di pubblicità occulta, in quanto tale censurabile alla luce dei principi in materia di trasparenza pubblicitaria, oltre che alla luce della disciplina statuale in materia di concorrenza sleale. Non è mancato, peraltro, chi, muovendo da una simile premessa, è giunto, addirittura, a qualificare il product placement quale forma di pubblicità subliminale, in quanto tale, come si è già detto406, espressamente vietata tanto a livello comunitario, quanto nell’ordinamento interno.

Un tale clima di disfavore, se, da un lato, ha, persino, indotto i giuristi all’erroneo convincimento circa l’esistenza di un vero e proprio divieto normativo in relazione al piazzamento di prodotto407, dall’altro, non può non aver condizionato negativamente l’utilizzo della suddetta tecnica

405

Così, Fusi, Il product placement fra divieto di pubblicità non trasparente e nuova

disciplina del cinesponsoring, in Riv. Dir. Ind., 2005, 5 ss..

406

Si rinvia, sul punto, a quanto rilevato, a proposito della pubblicità subliminale, all’interno del capitolo II, sub § 4.3.2..

407

Al punto da rinvenire nelle disposizioni contenute nella novella del 2004, addirittura, una totale rottura con il passato, laddove è stata riconosciuta, in via generale, la liceità del

pubblicitaria nell’ambito delle opere dell’ingegno, attesa la preoccupazione di una possibile futura censurabilità di simile scelta tanto da parte degli organismi statuali, quanto da parte di quelli autodisciplinari. Preoccupazione, peraltro, tutt’altro che astratta, se solo si considera che i pochi casi, quantomeno all’inizio, di piazzamento di prodotto realizzati in Italia hanno suscitato la reazione delle associazioni preposte a tutela dei consumatori, oltre che di soggetti concorrenti, e, conseguentemente, il vaglio da parte delle menzionate Autorità408.

Nel documento Product placement e libertà di espressione (pagine 179-185)

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