• Non ci sono risultati.

Le prime pronunce in tema di maternità surrogata

Capitolo 7: La maternità surrogata in India

7.2.1. Le prime pronunce in tema di maternità surrogata

Inizialmente, i problemi più frequenti affrontati dalle corti riguardavano lo status del minore nato da maternità surrogata e la sua cittadinanza; in assenza di una specifica regolamentazione con efficacia vincolante, infatti, è stato compito dei giudici indiani risolvere i singoli casi applicando principi giuridici generali215.

Al riguardo, è da segnalare il caso di Baby Manji, nata nel 2008 da una madre surrogante indiana impiantando un embrione di donatori giapponesi ad Ahmedabad. Nel novembre 2007, la coppia giapponese Ikufumi e Yuki Yamada, tramite il Dr. Nayna Patel, direttore medico della clinica di infertilità di Akanksha, iniziò tale procedura, ma nel giugno 2008 la coppia committente giapponese divorziò. Un mese dopo, il 25 luglio 2008, nacque Baby Manji. L’uomo avrebbe voluto crescere la bambina, ma la sua ex moglie la rinnegò alla nascita adducendo come motivazioni il fatto che lei fosse biologicamente, geneticamente e legalmente indipendente dalla stessa. Secondo i termini dell'accordo con la clinica, la responsabilità della donatrice era terminata una volta che aveva fornito l'ovulo e il compito della surrogante era terminato non appena avesse partorito. Dunque, Baby Manji si ritrovò con tre potenziali madri, cioè la madre committente che aveva stipulato il contratto di surrogazione, la donatrice di ovulo e la surrogata gestazionale. L’assenza di una normativa non permise di attribuire alla bambina la cittadinanza giapponese né indiana e non permise nemmeno di capire se lo status e la cittadinanza della bambina dipendessero da quella della madre. La situazione si trasformò presto in una crisi legale e diplomatica. Sia la parentela che la nazionalità di Baby Manji erano impossibili da determinare in base alle definizioni esistenti di famiglia e cittadinanza nella legge indiana e giapponese e inoltre niente era

215 P. GERBER K.O'BYRNE, Surrogacy, Law and Human Rights, Routledge, London,

127

previsto in merito, nemmeno nel contratto di surrogazione. Il committente si recò in India con sua madre facendo una petizione alla Corte Suprema indiana; seguendo le indicazioni di tale Corte del 29 settembre 2008, la bambina poté essere riconosciuta come figlia legittima del padre biologico e l'ufficio dei passaporti regionali di Jaipur rilasciò un “Certificato di identità” (e non un passaporto) alla bambina il 1° novembre 2008 che permise l’ingresso della bambina in Giappone con il padre e la nonna. In questo caso, la Corte ha dato origine a una soluzione riguardo a cosa accada al bambino appena nato se i genitori committenti divorziano prima della sua nascita, ma la decisione non ha efficacia di precedente vincolante, trattandosi dunque solo di un intervento isolato216.

Un altro caso che ha messo in luce la necessità di introdurre una normativa riguardante la maternità surrogata, soprattutto per definire con chiarezza lo status del minore, risale all’ 11 novembre 2009, quando l'Alta Corte del Gujarat dovette risolvere la causa tra Jan Balaz e Anand Municipality. La domanda fu presentata dinanzi alla High Court da Jan Balaz, il padre biologico di due gemelli nati da un accordo di maternità surrogata. La madre surrogante e la donatrice di ovulo erano indiane, mentre i genitori committenti erano cittadini tedeschi che lavoravano nel Regno Unito. Al momento della nascita fu rilasciato un certificato di nascita dalle autorità indiane nel quale si indicavano come padre e madre dei gemelli i membri della coppia committente, ma questa indicazione non fu accolta dal consolato tedesco, dato che in Germania la pratica della surrogazione è vietata e tali soggetti non potevano essere riconosciuti come genitori; veniva dunque rifiutato il rilascio di un passaporto tedesco per i bambini217. Le autorità indiane invece ritennero di non poter concedere la cittadinanza indiana ai bambini, che non

216D.MAHAPATRA, Baby Manji's case throws up need for law on surrogacy, 25

August 2008 in https://timesofindia.indiatimes.com/india/Baby-Manjis-case-throws- up-need-for-law-on-surrogacy/articleshow/3400842.cms

128

avrebbero dunque potuto ottenere neanche un passaporto indiano. La negazione della concessione di tale documento da parte dell'Autorità dei passaporti regionali ai gemelli fu contestata dal committente (padre biologico) in base al fatto che i gemelli fossero cittadini indiani in virtù della nascita in India da una madre surrogante indiana e quindi aventi diritto ai sensi della sezione 3 della Citizenship Act, 1955. Sostenne anche che, dal momento che la maternità surrogata non era illegale in India, una madre gestante avesse il diritto di essere chiamata madre di un bambino allo scopo di ottenere un passaporto. L'Autorità per i passaporti, d'altro canto, osservò che “il governo centrale doveva ancora legalizzare la maternità surrogata” e quindi negò il rilascio di un passaporto ai minori. La Corte Suprema fece dipendere il legame madre- figlio dalla gestazione, attribuendo alla surrogante, piuttosto che alla donna committente, lo status di madre dato che la seconda non aveva alcun legame biologico o legale con i bambini. La Corte concluse che, essendo sia la madre gestante che la donatrice di ovuli (sebbene sia rimasta sempre anonima) cittadine indiane, si rafforzava la posizione che riconosceva i gemelli come cittadini indiani. La Corte ritenne dunque che fossero autorizzati ad ottenere dei passaporti, ma si sottolineò l'urgente necessità di una legislazione sul tema, essendo la cittadinanza e lo status del minore al momento della nascita incerti e privi di regolamentazione218.

7.2.2 Il mutamento delle questioni sottoposte alle Corti: i