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Dall’analisi dei theoretical framework rintracciati in letteratura, sono emerse le principali interpretazioni sul tema del museo aziendale. Alcuni autori, esplicitamente o in filigrana, definiscono nei propri scritti alcuni ambiti attinenti alla sfera del museo corporate, i quali, se congiunti tra di essi, possono aiutare nella determinazione dell’argomento.

Il museo aziendale può quindi essere definito come la commistione di quattro principali vocazioni, ognuna delle quali è necessaria per descrivere il microcosmo olistico e trasversale proprio del museo (Figura 1).

a.) La prima declinazione rintracciata è quella relativa al compito sociale e culturale del museo, realtà che prescinde dalla tipologia dalla collezione esposta, ma che è propria dell’essere istituzione museale aperta e al servizio del pubblico (Rampello, 2011; Silverman, 2010; Fanfani, 2002; Gilodi 2002; Hatch & Schultz, 2000; Borgonovi, 1999; El Sawy, Gomes & Gonzalez, 1986).

I musei sono attori sociali e culturali delle comunità di riferimento, visione inerente alla

generare economia, accrescere la fiducia tra aziende e stakeholder e modificare il territorio stesso influenzandone le future evoluzioni (Bortolotti, Calidoni, Mascheroni & Mattozzi, 2008; Gilodi, 2002; Appiani, 2001). Operando localmente il museo può instaurare delle collaborazioni con gli attori locali - come gli istituti scolastici di cui si parlerà nel corpo della ricerca - e il risultato di queste azioni congiunte è l’avvio di un dialogo aperto con il territorio finalizzato a formare ed alimentare una cittadinanza attiva, consapevole e sensibile riguardo ai temi della tutela e della valorizzazione patrimoniale (Bortolotti, Calidoni, Mascheroni & Mattozzi, 2008; Nardi 2004; Sani & Trombini 2003). Realtà locale della quale il museo è esso stesso testimone primario, raccogliendo le memorie del tempo legate ad una delimitata area (Amari, 2001; Bellezza, 1998; Quintanilla, 1998). Il museo è dunque un “osservatorio” privilegiato dal quale analizzare la contemporaneità (Cimoli 2017), che nell’era postindustriale consente di ricreare lo sviluppo economico della modernità e della vita passata degli abitanti, al pari di un museo archeologico che espone i ritrovamenti senza giudicare gli oggetti in base all’estetica, ma con spirito scientifico di chi analizza le memorie degli antenati (Bossaglia, 1997). Gilodi (2002, p. 10) definisce il museo come il “demiurgo” della società civile in cui agisce, e questo senso di responsabilità sociale accumuna molti Autori in letteratura, i quali rintracciano nel museo la figura di un testimone delle trasformazioni del tempo sul territorio e sulla società (Luchetti & Tota, 2018; Rossato, 2013; Rampello, 1998).

b.) Il secondo ambito di definizione è prettamente legato alla natura aziendale dalla quale il museo viene generato, poiché viene descritto come uno strumento del marketing e della comunicazione e/o dello storytelling aziendale, inteso come narrazione delle radici e dell’identità aziendale, piuttosto che come il racconto di storie inventate ex novo ai fini di una mera promozione (Martino & Lovari, 2016). Diversi Autori in letteratura sembrano condividere l’idea che il museo corporate sia un medium strategico per l’azienda con una certa storicità alle spalle che vuole trasmettere i propri valori identitari in favore della costruzione di una reputazione positiva, mirando alla consolidazione di un capitale immateriale e stabile nel tempo (Martino, 2013). Altresì, secondo tale visione, il museo corporate può essere inteso come un luogo necessario sia per le relazioni propriamente aziendali, come l’accoglienza dei rivenditori o dei clienti, ma anche come luogo per l’accrescimento della percezione positiva del brand da parte dei pubblici generici, coadiuvando lo sviluppo di un contesto favorevole (Iannone, 2016; Castellani & Rossato,

2014; Piatkowska, 2014; Montella, 2012, 2010; Pastore & Vernuccio, 2008; Buchanan, 2000; Lambin, 2000; Griffiths, 1999; Kotler & Kotler, 1999; Pacifico, 1999; Golfetto, 1993). Il museo, però, diviene anch’esso attore e promotore di un’offerta culturale permanente e, per tale motivo, rientra nella sfera del marketing culturale (Ferraresi & Schmitt, 2018), quello definito esperienziale dalle teorie di Pine e Gilmore (2013, 1999), dove l’utente è concepito secondo una duplice lettura: visitatore del museo che vuole vivere un’esperienza quanto più appagante e consumer potenziale a cui poter trasmettere i value e le peculiarità del brand. c.) La terza vocazione rintracciata è strettamente connessa con il ruolo sociale del museo, ed è quella che attiene alla valorizzazione del patrimonio industriale e territoriale (Dell’Orso, 2009). In continuità con Rossato, Gilodi, Cimoli, Bossaglia, altri Autori individuano nel museo d’impresa un attrattore per il turismo e per gli investimenti in ambito culturale (Alberti & Giusti, 2012; Di Fazio, Platania & Privitera, 2010), ma soprattutto il custode dei cambiamenti che hanno modificato nel tempo la società, il costume, la moda, l’economia, l’uso del tempo libero, le tradizioni di una comunità territoriale (Luchetti & Tota, 2018; Tota, 2014; Angeloni, 2013; Rossato, 2013; Bonti, 2013; Montemaggi & Severino, 2007; Marani & Pavoni, 2006; Calabrò, 2003; Lalli, 2003; Gilodi, 2002; Amari 2001; Quadrio Curzio & Fortis, 2000; Lane, 1993). Il preservare e il valorizzare il genius loci è un aspetto affine anche al ruolo sociale del museo, ma in questo caso è l’azienda che si apre al territorio d’origine comprendendo l’importanza del divulgare la propria identità riferendola a delle radici culturali e territoriali specifiche e rintracciabili. Il museo è dunque concepito come la testimonianza fisica della connessione identitaria tra la dimensione aziendale e quella territoriale (Appiani, 2001)

Il patrimonio culturale locale e il patrimonio industriale sono intimamente collegati e proprio da questa connessione nasce il museo aziendale che, per la sua duplice natura, riesce a preservare entrambe le memorie.

Il punto d’incontro tra la storia aziendale e quella territoriale è molto stretto, sia per motivi socio-economici e di produttività - essendo la maggior parte dei lavoratori delle aziende dei cittadini locali -, sia a livello di assetto urbanistico, - poiché la città risponde alla presenza di un’azienda creando una serie di attività satellite attorno -, sia a livello culturale, - tanto che le Università e i centri di ricerca che collaborano con aziende private instaurano con esse un

Tutte queste connessioni possono essere possibili soltanto se l’azienda prende coscienza del territorio ospitante e comprende di essere parte integrante dell’heritage del luogo, di essere portatrice del valore del “made in” (Ciappei, 2013; Vicari, 1991), di poter diversificare l’offerta culturale e di trasmettere alla collettività il capitale culturale creato dalla singola impresa (Burlingame & Young, 1996; Lane, 1993). Soltanto abbandonando una cerca riluttanza, l’azienda avrà il termometro delle necessità locali che potrebbero migliorare anche la dimensione produttiva, come ad esempio la realizzazioni di farm culturali, asili privati, centri di aggregazione per conferenze, mostre, dibattiti, coniugando sapientemente la redditività con le aspettative dei cittadini.

In questa ottica, il museo resta la prima necessità di una cittadinanza collaborativa, esso è il luogo di scambio trasversale, dove l’heritage aziendale viene connesso con l’heritage locale contribuendo ad armonizzare l’identità di un intero territorio (Marani & Pavoni, 2006). Identità funzionale sia alla conservazione della memoria storica del territorio che, più concretamente, all’innovazione economica che si può avviare favorendo il turismo di un luogo con una forte connotazione (Amari, 2003). In tale contesto, il museo diviene uno spazio di integrazione sociale e culturale, ma anche luogo del godimento storico e artistico del patrimonio e dei saperi multidisciplinari di un distretto (Di Fazio, Platania & Privitera, 2010; Calabrò, 2003; Negri 2003). Secondo alcune teorie, l’obiettivo primario sarebbe quello di far divenire il museo un elemento di ricostruzione sociale e motore della ripresa economica di tante zone periferiche o di confine dove sorgono realtà produttive interessanti, divenendo espressione del “milieu” (Bonti, 2013; Quadrio Curzio & Fortis, 2000), ossia il contesto culturale, le risorse, le maestranze, le tecniche artigiane, le competenze e l’attitudine del popolo, una ricchezza difficilmente replicabile altrove e, per questo motivo, da preservare ed esporre a fini didattici nelle sale di un museo.

d.) L’ultima declinazione riguarda il rapporto che si instaura all’interno della collezione d’impresa, ossia un nuovo connubio tra la sfera dell’arte, alta e riconosciuta, e quella del design, diretto successore delle arti applicate.

In tal senso, il museo d’impresa sta avviando nel tempo un primo approccio di educazione al patrimonio produttivo, ampliando l’idea comune di collezione museale e di Umanesimo industriale (Montemaggi & Severino, 2007; Lalli, 2003; Bossaglia, 1997; Bordass, 1996; Ricossa, 1993; Danilov 1992; Barbieri & Negri, 1989).

Come esposto precedentemente, il museo d’impresa diviene lo snodo di congiunzione tra patrimonio culturale e patrimonio industriale, i quali vengono definiti come heritage di eguale importanza. Infatti, come afferma Fanfani (2002):

«Un’opera d’arte racconta quello che è il significato di un mondo visibile e non visibile che essa rappresenta, e può lasciarne in parte l’interpretazione allo spettatore, il pezzo esposto nel museo d’impresa racconta e ricostruisce vicende visibili e reali di una collettività, fatte anche di creatività artistica, di genialità, ma comunque esposte quali testimonianze della produzione economica».

L’esposizione di manufatti industriali, macchinari, documenti legati ad attività produttive, testimonianze orali rappresentano una memoria concreta e materiale, nonché pregna di valenze simboliche e codici connessi al territorio, alla popolazione e allo spirito del tempo (Lehman & Byrom, 2007; Stigliani & Ravasi, 2007; Nissley & Casey, 2002; Danilov, 1992). L’obiettivo intrinseco nella tipologia dei musei aziendali è, dunque, quello di conferire all’esposizione industriale una valenza quasi artistica, o per meglio dire, l’aurea di una collezione degna di essere allestita e visitata, senza inficiare la testimonianza economica ed utilitaria dell’oggetto. Secondo questa concezione, il museo d’impresa, rappresentando il progresso culturale ed economico di un territorio, è l’unica istituzione che può compiere la difficile concertazione tra mondo della cultura e quello dell’economia (Quintiliani, 2015). Le attività e l’esperienza che il museo promuove, previamente allineate con la propria Mission, sono gli strumenti tramite i quali esso potrà agire e interfacciarsi con i pubblici (Bollo, 2014; Brunelli, 2014; Simon 2010; Ceccherelli, 2008; Valentino & Delli Quadri, 2004).

In conclusione, le quattro declinazioni analizzate sono fattori che compongono l’interdisciplinarità del museo d’impresa che, essendo per natura un’entità trasversale, opera inglobando aspetti molteplici, in continua evoluzione e attenti ai cambiamenti del contesto sociale e culturale (Marano, Zanigni, & Paletta, 2004). Quattro ambiti da intendere in un’ottica di interdipendenza, circoscritti da confini permeabili che permettono una mescolanza di saperi multidisciplinari imprescindibili per descrivere il fenomeno del museo

Figura 1: Le declinazioni del museo corporate

Fonte: rielaborazione su Luchetti & Tota, 2018; Fyfe & Jones, 2016; Iannone, 2016; Kirchberg, 2015; Castellani & Rossato, 2014; Piatkowska, 2014; Tota 2014; Angeloni, 2013; Rossato, 2013; Zolberg, 2013; Montella, 2012, 2010; Montemaggi & Severino, 2007; Lalli, 2003; Bossaglia, 1997; Bordass, 1996.

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Le 4 declinazioni del Museo d’Impresa

Museo territoriale

3

Museo aziendale

2

Museo sociale

4

1

Museo del design

museo come attore sociale e culturale della comunità di riferimento

museo come uno strumento del marketing e della comunicazione aziendale

museo come custode del capitale culturale locale

museo come unificatore tra modo artistico-culturale ed economico-produttivo

Cap. II