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Il Museo aziendale nell’attualità

3.5 Lo scenario complessivo

Provando a riassumere i dati ottenuti, sembra importante definire lo scenario complessivo rintracciato una volta conclusa l’analisi della comunicazione Web (Grafico 1). A tal proposito, la caratterizzazione identitaria appare la dimensione più forte quanto a capacità dei musei di comunicare in Rete e di coordinarsi in una visione integrata. E’ bene sottolineare, però, che l’aspetto identitario risulta essere poco delineato nella quasi totalità dei musei, a conferma della poca ricerca museologica sviluppata al momento della fondazione dell’istituzione ad opera del brand matrice. Molto spesso le singole aziende, interpretando i musei come luoghi prettamente espositivi, non comprendono che in realtà stanno prendendo parte all’edificazione di istituzioni culturali permanenti e votate alla conservare e alla valorizzare di testimonianze materiali e immateriali, contribuendo inoltre alla storicizzazione della cultura d’impresa a livello nazionale (Martino, 2013). Dato rilevante, difatti, risulta essere la quasi totale assenza nei campioni analizzati di una Mission, di uno Statuto, di un Regolamento, espressione del mancato coinvolgimento di figure professionali necessarie alla creazione di un museo vero e proprio, quali un museologo, un museografo, uno storico del design, un esperto di comunicazione, un visual designer, un linguista, un esperto di educazione museale, un esperto di marketing culturale, un grafico d’arte.

Dall’osservazione del tracciato del pentagramma è evidente come il valore maggiore del range venga raggiunto in tre indicatori, quali: la promozione, la comunicazione social e la trasparenza. E’ tuttavia opportuno aggiungere come i punteggi massimi siano ottenuti da un unico museo campionato, cioè il Mumac, il quale realizza un punteggio pieno nei tre ambiti, amplificando lo scarto con gli altri musei presi in esame. Sebbene nel item della trasparenza d’accesso alle informazioni necessarie all’utenza la totalità dei campioni raggiunga valutazioni soddisfacenti, si evidenzia al contempo un divario interno ai campioni relativo all’ambito promozionale e alla presenza sui social media. Nel primo caso, dall’analisi dei siti, alcuni musei sembrano non aver attivato alcuna strategia promozionale, mentre nel secondo, i musei analizzati, eccetto il Mumac, risultano poco predisposti ad una comunicazione di tipo partecipativo e quindi alla co-creazione di social community coese che potrebbero sostenere a più livelli l’istituzione (Bonacini, 2012; Giaccardi, 2012; Kidd, 2011; Mazzoli, 2009; Russo & Peacock, 2009; Caruth & Shelley, 2007).

Questi dati sono il riflesso sia dell’assenza dell’investimento nella strutturazione di una strategia per il museo autonoma da quella aziendale, sia della mancata comprensione del ruolo comunicativo al quale un museo deve assolvere anche grazie alla condivisione di informazioni riguardanti le collaborazioni con altri istituti, le attività svolte all’interno del museo, le partecipazioni ad iniziative culturali, il calendario eventi e l’apertura al pubblico (Bollo, Carnelli, Dal Pozzolo, Seregni & Vittori, 2014). Talvolta, infatti, il grande dispendio di capitale iniziale, come la realizzazione di scatole architettoniche ad opera di firme prestigiose , porta all’esaurimento di risorse economiche atte alla gestione del museo 41 d’impresa (Liggeri, 2015).

La governance dei musei d’impresa, sottoposta alle logiche aziendali, nella maggior parte dei casi non riesce a prevedere delle corrette strategie comunicative e promozionali proprio per l’assenza di risorse materiali e di personale, perdendo l’occasione di far divenire il museo corporate un punto d’interesse culturale, territoriale e turistico (Fiocca, Battaglia & Santagostino, 2006).

Questo scenario in assenza di investimenti costanti per la diffusione della realtà d’impresa è comune anche ai brand con un appeal influente e risonante come quelli del settore della moda o dei motori (Amari, 2001). In assenza di investimenti è dunque semplice comprendere perché il punto di massima debolezza, condiviso per la totalità dei musei campionati, sia proprio l’indicatore relativo alla dimensione interattiva. La quasi totale mancanza di punteggio relativamente a questo ambito è un chiaro riflesso della mancanza di risorse investite in nuove tecnologie di comunicazione che abbiano l’obiettivo di implementare l’audience development non soltanto quantitativamente, ma, soprattutto, qualitativamente, un’operazione necessaria per la sopravvivenza dell’istituzione culturale.

L’insufficienza di capitali investiti nel settore interattivo allarga la distanza con le altre tipologie museali precedentemente citate, le quali, più all’avanguardia nella sperimentazione di nuove strategie interattive, ricercano il coinvolgimento massimo dell’utenza, anche del pubblico di difficile raggiungimento come, ad esempio, potrebbe essere definita la fascia adolescenziale per un museo specifico e settoriale (Cataldo, 2014).

Quindi, a fronte dell’analisi svolta, può essere circoscritto un marcato gap tra le strategie sviluppate dai musei tradizionali, i quali sperimentano l’utilizzo di media attenti al gusto del fruitore contemporaneo (come nell’esempio di gamification del MANN), e quelle di matrice

dei musei industriale i quali, ricercando l’aurea del museo tradizionale, basano la propria comunicazione su operazioni poco attrattive per il timore di non essere considerati musei al pari delle tipologie più consolidate. E ciò è particolarmente evidente nel settore del design, la cui idea di museo è spesso passata, statica, ieratica, impenetrabile, non riuscendo ad evolvere facilmente in un’istituzione aperta alla partecipazione e al coinvolgimento attraverso il dialogo e lo sharing (Bonacini, 2012).

Per far sì che la comunicazione aziendale muti in senso partecipativo, è bene ripensare anche l’approccio allo storytelling poiché, dall’analisi presentata, si evidenzia una narrazione dei siti prevalentemente informativa e poco narrativa ed emozionale. L’approccio emozionale dello storytelling può in altro modo permettere di strutturare la narrazione a più livelli e di stratificare le nozioni cognitive secondo differenti gradi di lettura ai quali potrà accedere il percettore che, in base alle proprie esigenza ed interessamento, le selezionerà per arricchire la propria esperienza sia di tipo analogico, che digitale (Ascione, Cusmani & Quagliata, 2012). Applicando questo tipo di approccio, il visitatore, grazie ad un imprinting iniziale positivo, sarà ben predisposto ad acquisire maggiore consapevolezza e potrà vincere le proprie resistenze critiche per lasciarsi coinvolgere nell’apprendimento della collezione, del contesto e dei messaggi ad esso correlati (Montella, 2008). Una delle finalità del museo d’impresa contemporaneo dovrebbe essere proprio quella di creare un ambiente esperienziale, sia offline che online, che possa facilitare la connessione con il brand, il settore merceologico di riferimento e la storia passata (Iannone, 2016). Quest’aspetto sembra essere più facile da raggiungere per i musei d’impresa che ricercano la connessione naturale con il visitatore grazie ad un forte impatto emotivo, fattore che per i brand meno evocativi è ancor più essenziale da strutturare con un apparato comunicativo vincente.

Come precedentemente sottolineato dagli studi della Fondazione Fitzcarraldo (Bollo, Carnelli, Dal Pozzolo, Seregni & Vittori, 2014), anche i canali social devono essere inglobati nelle strategie programmatiche delle istituzioni museali, ed ogni museo dovrà scegliere accuratamente il canale favorito per la propria comunicazione, valutando soprattutto le concrete possibilità gestionali. E’, pertanto, di primaria importanza programmare una comunicazione adeguata, poiché alcuni musei aziendali hanno seguaci pari, se non superiori, ai musei d’arte più noti al mondo. Basti portare come esempio il Museo Ferrari di Maranello

che con 172.938 likes alla pagina Facebook supera di gran lunga i 30.420 del profilo della Galleria degli Uffizi . 42

In conclusione, il compito del museo di essere divulgatore degli elementi identificativi dell’azienda è in commistione con quello di essere esso stesso un istituto culturale con proprie strategie di comunicazione da sviluppare appositamente (Liggeri, 2015; Marano, Zanigni, & Paletta, 2004). Al fine di assicurare la giusta relazione tra istituzione museale e mondo aziendale, è dunque necessario che le due realtà comunichino tra di esse, aprendo uno scambio continuo di informazioni. L’azienda dovrà trasmettere al museo i valori identitari in maniera propedeutica, prima ancora di inaugurarlo come canale comunicativo rivolto all’esterno e differenziato rispetto alle strategie del mercato (Amari, 2001). D’altro canto il museo, partendo proprio dalla creazione di una consapevolezza storica (Martino, 2013), dovrà definire delle strategie comunicative che siano inclusive, partecipative e persino creative, o meglio “differenziali” (Vitale, 2010), qualora l’istituzione vorrà divenire sempre più centrale sia rispetto al mondo artistico-culturale, che al contesto socio-territoriale in cui risiede.

Grafico 1: Lo scenario complessivo

Cap. IV