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A fronte delle suddette argomentazioni e relative confutazioni, si è assistito ad una replica da parte della giurisprudenza sostenitrice del primo orientamento.

a. In primo luogo si è ritenuto che l’argomentazione secondo la quale, nell’interpretazione delle disposizioni di cui al D.Lgs.28/2010 (in materia di conseguenze per l’omessa mediazione) si dovrebbe prendere atto delle peculiarità del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, che avrebbe aspetti di analogia con i giudizi impugnatori (e dunque nell’opposizione a decreto ingiuntivo, così come per i procedimenti di appello, la locuzione “improcedibilità della domanda

giudiziale” dovrebbe essere interpretata alla stregua di

improcedibilità/estinzione dell’opposizione e non come improcedibilità della domanda monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo), «muove da un presupposto obbiettivamente errato»118 in quanto «evoca

la logica del giudizio impugnatorio, la quale è stata costantemente rifiutata e sconfessata dalla giurisprudenza di legittimità». Infatti «la Cassazione119 ha sempre affermato che, a prescindere dalla sussistenza

118 Tribunale di Ferrara, sentenza 4 novembre 2015, in www.lanuovaproceduracivile.com. 119 Cass. civ., sez. II, sentenza 19 luglio 1986, n. 4668 in Mass.giur.it., 1986: «L’opposizione

al decreto ingiuntivo dà luogo a un ordinario giudizio di cognizione nel quale le parti hanno la possibilità di provare rispettivamente l’esistenza o inesistenza del credito, indipendentemente dalla eventuale nullità del decreto stesso, potendo tale nullità influire soltanto sul regolamento delle spese processuali, il quale è soggetto al principio della soccombenza secondo cui il giudice non può porre le stesse a carico della parte che risulti totalmente vittoriosa»; Cass. civ., sez. II, sentenza 28 settembre 1994, n. 7892, cit. (v. supra,

nota n. 95); Cass. civ., sez. II, sentenza 16 marzo 2006, n. 5844, cit. (v. supra, nota n. 95) afferma «Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte l’opposizione al decreto

ingiuntivo non è una impugnazione del decreto stesso volta a farne valere vizi ovvero originarie ragioni di invalidità, ma dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione di merito finalizzato all’accertamento della esistenza del diritto di credito fatto valere dal creditore con il ricorso ex articoli 633 e 638 c.p.c.; pertanto la sentenza che decide il giudizio deve accogliere la domanda dell’attore (ovvero del creditore istante) rigettando

dei presupposti per l’emissione del decreto ingiuntivo, il giudizio di opposizione non ha carattere impugnatorio e deve comunque incentrarsi sul vaglio di fondatezza della pretesa azionata dal creditore in sede monitoria»120.

b. Quanto all’argomentazione che si fonda sul rifiuto concettuale di una ipotesi di sopravvenuta improcedibilità di una domanda già definita con il pronunciamento di un titolo, è stato osservato che «nel momento in cui è proposta opposizione, la domanda monitoria non può dirsi definita mediante un titolo consolidato con effetti di giudicato»121, in quanto tali

effetti sono suscettibili di determinarsi solo in caso di mancata opposizione, rigetto della stessa o estinzione del relativo giudizio. «In altre parole, se il titolo monitorio può essere revocato in caso di accoglimento dell’opposizione nei confronti dello stesso spiegata, non si comprende perché lo stesso titolo non possa essere revocato in difetto

conseguentemente l’opposizione qualora riscontri che i fatti costitutivi del diritto fatto valere in sede monitoria, pur se non sussistenti al momento della proposizione del ricorso, sussistono tuttavia in quello successivo della decisione»; Cass. civ., sez. I, sentenza 28

settembre 2006, n. 21050, in www.studiolegale.leggiditalia.it: «(…)l’opposizione al decreto

ingiuntivo dà luogo a un ordinario ed autonomo giudizio di cognizione, come tale esteso all'esame non soltanto delle condizioni di ammissibilità e di validità del procedimento monitorio, ma anche della fondatezza della domanda, sul merito della quale il giudice ha comunque l’obbligo di pronunciarsi, nel senso che deve accoglierla o rigettarla secondo che ritenga provato o non il credito dedotto; e ciò indipendentemente dalla validità, sufficienza e regolarità degli elementi in base ai quali sia stato emesso il decreto ingiuntivo, la cui eventuale insussistenza spiega rilevanza soltanto sul regolamento delle spese della fase monitoria»; Cass. civ., sez. II, sentenza 27 marzo 2007, n. 7526 in www.studiolegale.leggiditalia.it: «Non v’ha dubbio che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto la cognizione piena in ordine all’esistenza ed alla validità del credito posto a base della domanda d’ingiunzione. Pertanto va esclusa l’ammissibilità di una autonoma pronuncia sulla legittimità dell’ingiunzione di pagamento agli effetti dell’incidenza delle spese della sola fase monitoria, dato che tale fase e quella di opposizione fanno parte di un unico processo, nel quale l’onere delle spese è regolato in base all’esito finale del giudizio ed alla complessiva valutazione del suo svolgimento»; Cass. civ., sez. III,

sentenza 23 luglio 2014, n. 16767, cit. (v. supra, nota n. 95).

120 Tribunale di Cuneo, sentenza 1 ottobre 2015, cit. 121 Tribunale di Cuneo, sentenza citata.

delle condizioni dell’azione come originariamente proposta dal creditore»122.

c. In risposta all’argomentazione in base alla quale onerare dell’introduzione della mediazione il creditore opposto sarebbe incoerente, perché imporrebbe allo stesso un adempimento al fine di consentire la celebrazione di un giudizio instaurato dal debitore (quello di opposizione) cui il creditore medesimo non avrebbe alcun interesse in quanto dispone già di un titolo, è stato osservato che «Non si può ritenere che l’interesse del creditore sia già soddisfatto dal titolo monitorio perché, in caso di accoglimento della spiegata opposizione, tale titolo è suscettibile di essere revocato. Dunque, diversamente da quanto affermato dai sostenitori della tesi opposta, ben può ritenersi che l’attivazione della procedura di mediazione corrisponda all’interesse del creditore ingiungente giacché, ove quest’ultimo non provveda, il titolo monitorio è destinato alla caducazione per improcedibilità della domanda come originariamente proposta nei confronti del soggetto ingiunto»123.

d. Infine, l’obiezione che la revoca del decreto ingiuntivo non impedirebbe al creditore di ripromuovere la medesima azione monitoria (con il deposito di un ricorso monitorio di identico contenuto), aggravando così il sistema giudiziario di plurime identiche domande in violazione della ratio

122 Tribunale di Cuneo, sentenza citata. Nello stesso senso si era espresso precedentemente

anche il Tribunale di Ferrara, sentenza 7 gennaio 2015, in www.altalex.com, il quale aveva affermato che «tale argomentazione prova troppo in quanto il decreto ingiuntivo è solo

potenzialmente in grado di assumere efficacia di giudicato, e tale eventualità è rimessa alla mancata tempestiva opposizione».

123 Tribunale di Cuneo, sentenza 1 ottobre 2015, cit. Nello stesso senso si era espresso anche

il Tribunale di Ferrara, sentenza 7 gennaio 2015, cit.: «Il creditore ha un titolo la cui

definitività è subordinata alla mancata opposizione; la proposizione della opposizione impedisce il formarsi del titolo esecutivo e trasferisce la vertenza sulla esistenza e quantificazione del credito nella sede della cognizione piena, rimettendo in discussione tutto il titolo».

deflattiva sottesa alla disciplina della mediazione, è stata ritenuta non spendibile in quanto l’eventualità che la via monitoria sia percorsa più volte è espressamente ammessa dal codice di rito124, laddove per le ipotesi di revoca

del decreto ingiuntivo per motivi di rito , ha previsto la possibilità per il creditore di ripercorrere nuovamente la via monitoria125.

124 L’art. 640 c.p.c. attribuisce al giudice il potere di invitare il creditore ricorrente ad

integrare le prove, qualora le consideri inconcludenti e non persuasive, rigettando la domanda con decreto motivato ove questi non ottemperi all'invito o non ritiri il ricorso. Tuttavia il comma 3 prevede che “Tale decreto non pregiudica la riproposizione della domanda, anche

in via ordinaria”.

125 Tribunale di Ferrara, 7 sentenza gennaio 2015, cit. V. anche Tribunale di Cuneo, sentenza

1 ottobre 2015, cit. «la possibile riproposizione della medesima azione monitoria (che

frustrerebbe la ratio deflattiva sottesa alla obbligatorietà della mediazione) risponde allo stesso principio di riproponibilità dell’azione monitoria in caso di revoca del titolo monitorio per ragioni di rito».

Critiche simili si riscontrano in dottrina. Il riferimento è a G. DI MARCO - S. CAMPIDELLI,

Mediazione giurisprudenziale: la rassegna delle ultime pronunce, in Il quotidiano giuridico,

22 dicembre 2015: “Peraltro, in una logica equitativa (che, comunque, potrebbe trovare

spazio a fini interpretativi a livello di analogia iuris ex art. 12 preleggi), sembra particolarmente iniquo assegnare al debitore, che già ha sofferto l’emissione di un provvedimento inaudita altera parte ed al quale, quindi, è stato garantito il diritto al contraddittorio soltanto in maniera differita, un onere che non trova supporto in un dato normativo dal tenore inequivocabile. Anzi, seguendo un ragionamento ancor più stringente, si potrebbe insinuare che l’adesione all’avversa ricostruzione creerebbe un’evidente – e razionalmente ingiustificabile – disparità di trattamento fra il creditore che agisca con rito monitorio e quello che preferisca intraprendere il percorso ordinario, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost., stante la difficoltà di individuare un valore giuridico tale da privilegiare una situazione creditoria piuttosto che l’altra.

Parimenti, è difficilmente armonizzabile con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza l’assunto, implicitamente sostenuto dall’orientamento maggioritario, per cui l’attore che intenda esercitare una delle azioni giudiziali di cui all’art. 5, comma I-bis, possa emanciparsi dall’obbligo di mediazione semplicemente proponendo le proprie domande mediante ricorso per ingiunzione, in luogo dell’ordinario processo a cognizione piena. Non è facile comprendere, in altre parole, come l’ordinamento possa assegnare al consociato il diritto – sostanzialmente potestativo – di sottrarre le proprie rivendicazioni giudiziali agli oneri stabiliti dalla legge, peraltro proprio nei casi in cui esso, optando per il rito sommario, già fruisce di non indifferenti vantaggi. Allo stesso modo, non è agevole individuare la ragione per cui l’interesse pubblicistico alla riduzione del contenzioso giudiziale dovrebbe svanire (o, comunque, assumere un’intensità soltanto recessiva) in ragione della mera decisione del creditore di avvalersi del rito sommario.

Di contro, non sembrano ricorrere ostacoli, né tantomeno manifestarsi timori di illegittimità costituzionale, nell’assegnazione all’opposto del dovere di attivarsi a fini conciliativi, essendo evidente che lo stesso, pur avendo già conseguito il richiesto petitum immediato (ossia l’emanazione del decreto ingiuntivo), ha interesse alla sua conservazione; e, di converso, non appare abnorme che tra gli oneri attribuiti all’opposto (che, non si dimentichi,