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La parte onerata ad attivare la mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Una questione ancora aperta.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

La parte onerata ad attivare la mediazione nel

giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Una questione ancora aperta.

Candidato:

Relatore:

Walter Lentini Cernitore

Prof. ssa Maria Angela Zumpano

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Indice

1. La mediazione obbligatoria quale condizione di procedibilità della

domanda giudiziale 1

2. Le esclusioni dalla obbligatorietà della mediazione 7

2.1. Le esclusioni totali 8

2.2. Le esclusioni limitate ad una fase del procedimento 12 3. L’esclusione della condizione di procedibilità con riferimento ai

procedimenti di ingiunzione 17

4. Quid juris se nessuna delle parti formula istanze relative alla provvisoria

esecuzione? 23

5. La provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo disposta nello stesso

decreto ex art. 642 c.p.c. 25

6. Il contrasto su chi sia onerato tra opponente ed opposto ad introdurre il

tentativo di mediazione 26

7. La natura giuridica dell’opposizione a decreto ingiuntivo e i rapporti tra

fase monitoria e opposizione 30

7.1. L’opposizione come fase autonoma rispetto al procedimento

monitorio 31

7.2. L’opposizione come mezzo per l’attuazione del contraddittorio 33 7.3. L’opposizione quale mezzo di impugnazione del decreto 34 7.4. L’opposizione quale fase prosecutoria all’interno di un unico

giudizio 37

8. L’orientamento che onera il convenuto opposto 40

8.1. L’oggetto del giudizio di opposizione 41

8.2. Il procedimento di ingiunzione come unico giudizio 45

8.3. La critica alla tesi contrapposta 47

9. L’orientamento che onera l’attore opponente 48

9.1. Il sistema di sanzioni previste dall’ordinamento a fronte della inattività del debitore ingiunto e le analogie con i giudizi impugnatori 50 9.2. L’esaltazione della ratio deflattiva dell’istituto della mediazione 54

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9.3. L’interesse ad agire 56

9.4. Le critiche al primo orientamento 57

10. Le repliche provenienti dai sostenitori del primo orientamento 62 11. La soluzione intermedia proposta in dottrina 66

12. L’arresto della Corte di cassazione 68

13. Le critiche provenienti dalla dottrina 71

13.1. Il giudice “extrema ratio”? 73

13.2. La scelta del debitore di percorrere la soluzione più dispendiosa,

osteggiata dal legislatore 75

13.3. La retroazione della condizione di procedibilità alla fase

monitoria 78

13.4. Il contrasto con il principio di uguaglianza 79 13.5. L’insufficienza delle ragioni di economia processuale e della

deflazione del contenzioso 79

13.6. L’insussistenza di un legame tra l’obbligo di mediazione e il “potere”

di introdurre il giudizio di merito 81

14. La situazione successiva all’intervento della Suprema Corte 83 15. La soluzione proposta dal tribunale di Pavia 92 16. Un’occasione mancata. La proposta della commissione Alpa 93

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Introduzione

L’istituto della mediazione rappresenta una forma di alternative means of dispute resolution (A.D.R.), cioè uno strumento di risoluzione delle controversie alternativo alla giurisdizione, introdotto all’interno dell’ordinamento italiano con l’emanazione da parte del Governo - su delega del Parlamento ex art. 60, L. 18 giugno 2009, n. 69 (“disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”) -, del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, intitolato “attuazione dell’art. 60 della l. 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”. Attraverso tale decreto è stata recepita la Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, “relativa a determinati aspetti della mediazione civile e commerciale”, con un duplice obiettivo: in primo luogo, il conseguimento di una riduzione dei tempi del contenzioso giudiziario e, in secundis, la realizzazione, attraverso una composizione preventiva della lite, dell’interesse particolare delle parti in conflitto ad una più celere soddisfazione delle loro pretese sostanziali, rispetto a quella conseguibile attraverso il processo1. Tale introduzione è quindi avvenuta su sollecitazione

dell’Europa, la quale, a fronte della situazione di c.d. litigation explosion che ha caratterizzato negativamente i sistemi giudiziari dei paesi occidentali fin dagli anni ‘70, si è posta come fattore propulsivo di una introduzione uniforme degli A.D.R. all’interno delle singole legislazioni nazionali, nella prospettiva di un miglior accesso alla giustizia e di una deflazione del contenzioso giudiziario, con indubbi risvolti positivi anche sulla ragionevole

1 V. Tribunale di Modena, sez. II, 10 ottobre 2014, n. 38693, in www.dejure.it, secondo il

quale l’istituto della mediazione di cui al D.Lgs. 28/2010 tende a realizzare, da una parte «l’interesse dei contendenti ad un più immediato soddisfacimento delle proprie pretese

sostanziali rispetto a quello conseguibile all’esito del processo, attraverso la composizione preventiva della lite» e, dall’altra «l’interesse generale ad un abbattimento del contenzioso giudiziario, perseguendo, quindi, uno scopo evidentemente deflattivo».

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durata del processo. In particolare, la Direttiva n. 52 era improntata ad incentivare l’utilizzo della mediazione, avendo come obiettivo quello di costituire un rapporto equilibrato tra questo strumento ed il processo, in termini di costi, di rapidità di risoluzione della controversia e di tutela di tutte le parti coinvolte nella questione oggetto di mediazione.

Tuttavia la portata dell’istituto è stata significativamente ridotta, dopo solo due anni di applicazione, da parte della Corte costituzionale che, con la sentenza 6 dicembre 2012, n. 272, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 5, comma 1, laddove prevedeva, per determinate controversie, l’obbligatorio esperimento della procedura di mediazione quale condizione di procedibilità per l’accesso alla giustizia, ravvisando un eccesso di delega in violazione degli artt. 76 e 77 Cost., dal momento che una tale previsione non trovava fondamento nei principi e nei criteri direttivi contenuti nella legge delega. Infatti, l’art. 60 della L. 69/2009 si limitava a disporre che la mediazione avesse genericamente ad oggetto “le controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia” (comma , lett. a), riecheggiando il tenore della Direttiva europea n. 52 del 20082. Così, la pronuncia della Corte

costituzionale ha rimosso uno dei pilastri della riforma processuale civile del 2009, soffocando sul nascere uno strumento appena partorito e che stava muovendo stentatamente i primi passi tra le perplessità e lo scetticismo di parte della dottrina e l’ostilità dell’avvocatura che, tra il 2011 ed il 2012, si era astenuta a più riprese dalle udienze per protestare contro un istituto nel quale non si sentiva coinvolta e valorizzata3.

2 Considerando n. 10: “La presente direttiva dovrebbe applicarsi ai procedimenti in cui due

o più parti di una controversia transfrontaliera tentino esse stesse di raggiungere volontariamente una composizione amichevole della loro controversia con l’assistenza di un mediatore. Essa dovrebbe applicarsi in materia civile e commerciale, ma non ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno la facoltà di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile. Tali diritti e obblighi sono particolarmente frequenti in materia di diritto di famiglia e del lavoro”.

3 L’Organismo Unitario dell’Avvocatura italiana, con delibera del 19 febbraio 2010, aveva

proclamato l’astensione dalle udienze civili, penali, amministrative e tributarie e da ogni attività giudiziaria proprio nella settimana in cui l’istituto della mediazione stava per entrare

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Come evidenziato da più autori in dottrina, questa sentenza non si poneva tanto contro l’obbligatorietà del tentativo di mediazione, bensì contro il comportamento dell’esecutivo, in rapporto a quanto deliberato dal Parlamento. A favore di tale ricostruzione hanno militato i riferimenti che la Corte ha fatto anche alla normativa Europea. Infatti, in un passo della motivazione si legge che “la disciplina dell’UE si rivela neutrale in ordine alla scelta del modello di mediazione da adottare, la quale resta demandata ai singoli stati, purché sia garantito il diritto di adire i giudici competenti per la definizione giudiziale delle controversie”. Sul punto sono state richiamate varie disposizioni: prima fra tutte la direttiva 2008/52/CE, laddove all’art. 5, comma 2, dispone che “la presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto ad incentivi o sanzioni sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”. In buona sostanza sono gli Stati a decidere se e quando la mediazione può essere obbligatoria. In tal senso, quindi, è sembrato che la Corte costituzionale avesse ravvisato, anche se implicitamente, la compatibilità di un modello di mediazione di tipo obbligatorio con la normativa Europea (altrimenti non avrebbe parlato di “neutralità”, bensì di “contrarietà”)4.

In seguito alle elezioni politiche del febbraio 2013, nella Relazione finale del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali istituito il 30 marzo 2013 dal Presidente della repubblica Giorgio Napolitano, tra le proposte presentate in funzione di un miglior funzionamento della giustizia civile, è stata suggerita

in vigore (21 marzo 2011), dato che la mediazione obbligatoria, viziata per eccesso di delega (ma anche per contrasto con l’art. 24 Cost.), avrebbe limitato “i diritti del cittadino

all’accesso alla giustizia con scelte inadeguate che impongono costi non giustificati anche per chi vuole accedere direttamente al giudizio”.

4 La nuova mediazione. Regole e tecniche dopo le modifiche introdotte dal “decreto del

fare”( d.l. 69/2013, conv., con mod., in l. 98/2013), a cura di G. FALCO e G. SPINA, Milano,

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(al punto n. 26) la reintroduzione della mediazione obbligatoria, posto che “la previsione di forme obbligatorie di mediazione non è esclusa dalla recente pronuncia della Corte costituzionale”. Il 20 maggio 2013, il Ministro della giustizia pro-tempore Anna Maria Cancellieri, nel corso di un’audizione tenutasi in Senato, ha evidenziato la grande utilità ed efficacia pratica dello strumento della mediazione in funzione deflattiva del contenzioso civile5 e,

nel corso di una successiva audizione nell’aula della Camera del 19 giugno 2013, ha dichiarato che “la declaratoria di illegittimità (dell’art. 5, D.Lgs. 28/2010) è avvenuta per eccesso rispetto alla delega contenuta nell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, numero 69, con conseguente assorbimento delle altre questioni sollevate. Da ciò deriva che configurare la mediazione in termini di condizione di procedibilità non trova alcun ostacolo nella sentenza della Corte quando (…) venga ripristinata a mezzo di provvedimento legislativo non delegato”.

Anche il Consiglio dell’Unione Europea, con Raccomandazione n. 362 del 29 maggio 2013 (considerando n. 11 e punto n. 2), aveva sollecitato fortemente il ripristino della misura deflattiva, in seguito alla pronuncia n. 272 del 2012 della Corte costituzionale.

5 Il ministro aveva testualmente affermato che: “un’ulteriore linea di azione, che mi sembra

importante percorrere nell’ottica di una deflazione dei carichi giudiziari, attiene alla revisione della normativa sulla mediazione obbligatoria, tenendo conto dell’orientamento espresso dalla Corte costituzionale, ed in esito ad un’ampia e condivisa valutazione con tutti i principali operatori del settore. Lo strumento della mediazione - come dimostrano esperienze europee in sistemi giudiziari simili al nostro e come ha dimostrato anche la sia pur breve sperimentazione attuata nel nostro Paese nelle forme della obbligatorietà - si è rivelato di grande efficacia sotto il profilo dell’abbattimento del contenzioso civile, con un positivo effetto anche sul piano della composizione dei conflitti tra le parti, per circa la metà dei quali è stato raggiunto l’accordo. E’ uno strumento che evidentemente necessita di una metabolizzazione sul piano culturale; quindi, quanto più si riuscirà a sensibilizzare l’opinione pubblica sui positivi risultati indotti dall’adesione a tale meccanismo, tanto più ne trarrà giovamento la macchina dell’Amministrazione della giustizia civile. Ovviamente, la diffusione di tale strumento dovrà essere accompagnata da regola deontologiche e di incompatibilità serie e rigorose, dal rispetto del principio di competenza, da una adeguata professionalità dei mediatori”.

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Sulla base di queste considerazioni e dei risultati in termini di deflazione del contenzioso conseguiti dall’istituto, seppur in un arco temporale ristretto, il Governo, un po’ a sorpresa, ha provveduto alla reintroduzione della mediazione obbligatoria, quale condizione di procedibilità per talune domande giudiziali, per mezzo dell’art. 84 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante “disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” (c.d. “decreto del fare”), convertito con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98.

Inoltre, attraverso questo intervento, sono state apportate significative modifiche al D.Lgs. 28/2010:

1. sono state escluse dall’applicazione della condizione di procedibilità le controversie inerenti il risarcimento dei danni da circolazione di veicoli e natanti, che erano originariamente previste nella formulazione dell’art. 5, comma 1, D.Lgs. 28/20106;

2. è stata rafforzata la mediazione demandata dal giudice ex art. 2, D.Lgs. 28/2010, la quale è divenuta condizione di procedibilità della domanda; 3. è stato introdotto un criterio di competenza territoriale dell’organismo di mediazione, prevedendo che l’istanza di mediazione debba essere presentata presso un organismo posto “nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia” (art. 4, D.Lgs. 28/2010);

4. è stato valorizzato il ruolo dell’avvocato, prevedendo che “gli avvocati iscritti all’albo siano mediatori di diritto” (art. 16, comma 4, D.Lgs. 28/2010), che le parti debbano partecipare agli incontri in mediazione “con l’assistenza dell’avvocato” (art 8, comma 1, D.Lgs. 28/2010), ed infine, che l’accordo conciliativo possa divenire titolo esecutivo anche mediante la sottoscrizione degli avvocati (art. 12, comma 1, D.Lgs. 28/2010);

6 L’esclusione è stata giustificata dal rilievo secondo cui, nel periodo di vigenza dell’istituto,

il 96,2 % delle volte il convenuto non era comparso, così da far apparire particolarmente bassa la funzionalità dell’istituto in questo settore. D’altro canto, per la medesima categoria di controversie verrà successivamente introdotta l’obbligatorietà del tentativo di negoziazione assistita (art. 3, D.L. n. 132/2014).

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5. è stata prevista una fase preliminare di mediabilità, nel corso della quale il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione e viene verificata la sussistenza di effettivi spazi per procedere utilmente ad un tentativo di componimento della lite (art. 8, comma 1, D.Lgs. 28/2010);

6. è stata ridotta la durata del procedimento a tre mesi, in luogo dei quattro previsti originariamente (art. 6, D.Lgs. 28/2010);

7. sono stati ridotti i costi di mediazione, prevedendo che in caso di mancato accordo all’esito del primo incontro nessun compenso sia dovuto all’organismo di mediazione, salvo le spese di avvio e quelle di notifica (art. 17, comma 5 ter, D.Lgs. 28/2010);

8. è stato previsto, all’interno dell’ art. 8, che nei casi di mediazione obbligatoria il giudice condanni automaticamente la parte costituita, che non abbia partecipato senza giustificato motivo al procedimento, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Tuttavia lo sforzo compiuto dal legislatore del 2013, con il suo intervento innovatore sul testo del D.Lgs. 28/2010, non è stato in grado di eliminare alcuni elementi di irrazionalità della disciplina presenti in molteplici occasioni di interferenza con il processo. In particolare non è stata colta l’occasione per colmare una lacuna che, fin dalle primissime applicazioni del nuovo istituto, aveva originato un contrasto giurisprudenziale in relazione all’ipotesi di mediazione obbligatoria all’interno del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Il D.Lgs. 28/2010, benché avesse escluso, per esigenze di celerità, l’obbligatorietà della mediazione all’interno del procedimento monitorio instaurato dal creditore e volto all’ottenimento di un decreto ingiuntivo, allo stesso tempo aveva previsto che l’obbligatorietà ritornasse vigente in caso di opposizione, ma senza specificare quale fosse il soggetto onerato della sua attivazione. Così, i giudici di merito, come la dottrina, si

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sono divisi sulle soluzioni interpretative da adottare a fronte del silenzio della norma; soluzioni le quali incidevano, altresì, sulle conseguenze derivanti dal mancato esperimento del procedimento medesimo.

Il problema poteva ritenersi risolto con la declaratoria di incostituzionalità che nel 2012 ha colpito l’art. 5, comma 1, D.Lgs. 28/2010, ma la reintroduzione dell’obbligatorietà della mediazione ad opera del “decreto del fare” ne ha prodotto la reviviscenza7. Di questo il legislatore non ha tenuto

conto. Così, a quasi dieci anni dall’introduzione della strumento della mediazione all’interno dell’ordinamento italiano, la giurisprudenza è ancora divisa sul punto, anche a seguito di un intervento, da molti auspicato come dirimente, da parte della Corte di cassazione.

7 Su questa riproposizione normativa è di recente intervenuta la Corte costituzionale che, con

la sentenza n. 97 del 18 aprile 2019 (in www.giurcost.org), si è pronunciata sulla legittimità costituzionale del D.L. n. 69/2013 per una presunta violazione dell’ art. 3 Cost. La questione di legittimità è stata sollevata dal Tribunale ordinario di Verona con ordinanze del 30 gennaio e del 23 febbraio 2018. La violazione del principio di uguaglianza sarebbe stata integrata - secondo il giudice a quo - dalla previsione di discipline differenti per l’istituto della mediazione e per quello della negoziazione assistita, la quale determinerebbe una «disparità

di trattamento manifestamente irragionevole»: infatti, con riferimento ai procedimenti di

ingiunzione «la procedura di negoziazione assistita (…) non deve essere esperita né nella

fase monitoria né nel successivo, eventuale giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo»,

mentre «il procedimento preliminare di mediazione, benché parimenti non applicabile alle

domande proposte in via monitoria, deve essere intrapreso nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, sia pure dopo la pronuncia del giudice, ai sensi degli artt. 648 e 649 del codice di procedura civile, sulle istanze di concessione e di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto stesso».

La Corte ha evidenziato come il procedimento di mediazione sia connotato dal ruolo centrale svolto da un soggetto terzo ed imparziale, il mediatore; la stessa neutralità non è, invece, ravvisabile nella figura dell’avvocato che assiste le parti nella procedura di negoziazione assistita. Infatti, mentre nella mediazione «Il compito (…) di assistenza alle parti nella

individuazione degli interessi in conflitto e nella ricerca di un punto d’incontro è svolto da un terzo indipendente e imparziale», nella negoziazione assistita «l’analogo ruolo è svolto dai loro stessi difensori». Di conseguenza è palese che «pur versandosi in entrambi i casi in ipotesi di condizioni di procedibilità con finalità deflattive, gli istituti processuali in esame siano caratterizzati da una evidente disomogeneità». Tale disomogeneità, secondo la Corte,

preclude un raffronto tra le due fattispecie e, al tempo stesso, induce ad escludere che sia stato irragionevolmente riservato un trattamento differenziato alla mediazione. Per questi motivi la Corte ha ritenuto infondata la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Verona.

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Questo lavoro si pone come obiettivo di analizzare nello specifico le ragioni e le origini del contrasto, le diverse soluzioni interpretative adottate dai giudici di merito, nonché i supporti normativi posti a sostegno delle stesse. A tal fine si è reso necessario prendere le mosse da un’analisi della mediazione obbligatoria, dei procedimenti che ne sono esclusi ed, infine, delle caratteristiche del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, le quali, come si vedrà, si sono poste come fattori condizionanti rispetto alle diverse opinioni prospettate.

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1. La mediazione obbligatoria quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale

L’art. 5, comma 1 bis1, introdotto ad opera dell’ art. 84, comma 1, lett. b),

D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98 (a seguito della dichiarazione di illegittimità pronunciata dalla Corte costituzionale, con sentenza 6 dicembre 2012, n. 272, che aveva colpito il comma 1), reca un elenco di materie per le quali l’esperimento del procedimento di mediazione ha carattere obbligatorio, costituendo condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Si tratta delle controversie “in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari”.

Rispetto alle scelte compiute dal legislatore nella versione originaria dell’art. 5, comma 1, D.Lgs. 28/2010 sono state espunte le controversie in materia di risarcimento del danno derivante da circolazione di veicoli e natanti, per le quali la mediazione è divenuta facoltativa. Tuttavia, in seguito, il D.L. 132/2014 ha assoggettato questa categoria di controversie alla procedura di negoziazione assistita e, quindi, ad un’altra condizione di procedibilità. La riforma del 2013 ha poi esteso l’ambito di applicazione della mediazione obbligatoria aggiungendo, alle ipotesi di responsabilità medica, già previste, quelle di responsabilità lato sensu sanitaria, con la finalità di ampliare l’ambito di applicazione della condizione di procedibilità a controversie nelle

1 Così come introdotto ad opera dell’ art. 84, comma 1, lett. b), D.L. 21 giugno 2013, n. 69,

convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale che aveva colpito il comma 1 (Corte cost., con sentenza 6 dicembre 2012, n. 212).

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quali rilevi la condotta di strutture e personale non necessariamente medico, ma sanitario e parasanitario.

Le eterogenee materie di cui al comma 1 bis sono state divise, all’interno delle Relazione illustrativa di accompagnamento al D.Lgs. 28/2010, in tre gruppi corrispondenti ad altrettanti criteri guida che hanno orientato il legislatore nella loro scelta. In primo luogo, “si sono prescelte quelle cause in cui il rapporto tra le parti è destinato, per le più diverse ragioni, a prolungarsi nel tempo (locazione, comodato, affitto d’azienda) e i “rapporti in cui sono coinvolti soggetti appartenenti alla stessa famiglia, allo stesso gruppo sociale, alla stessa area territoriale (diritti reali, divisione, successioni ereditarie, condominio, patti di famiglia); in secondo luogo, si sono prescelte alcune controversie in materia di risarcimento del danno, che traggono origine da “rapporti particolarmente conflittuali, rispetto ai quali, anche per la natura della lite, è (…) particolarmente più fertile il terreno della composizione stragiudiziale (responsabilità medica e diffamazione a mezzo stampa), le quali “appaiono più facilmente mediabili e sono inoltre caratterizzate da una complessità che può essere più facilmente dipanata in ambito stragiudiziale”2; da ultimo, sono state inserite “alcune tipologie

contrattuali che oltre a sottendere rapporti duraturi tra le parti e dunque necessità analoghe a quelle appena illustrate, conoscono una diffusione di massa e sono alla base di una parte non irrilevante del contenzioso (contratti assicurativi, bancari e finanziari)”.

Ci si è chiesti se l’elencazione delle materie di cui al comma 1 bis, abbia natura esemplificativa ovvero tassativa. Differenti sarebbero infatti le conseguenze. Se si trattasse di un elenco esemplificativo sarebbe possibile

2 Ad esse erano state aggiunte, su suggerimento della Commissione Giustizia del Senato, le

controversie risarcitorie derivanti dalla circolazione dei veicoli e natanti, espunte poi, come già rilevato, ad opera del “decreto del fare”.

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ammettere ragionamenti per analogia, con conseguente ampliamento delle controversie da sottoporre al previo esperimento di conciliazione. Diversamente, da un’elencazione tassativa discenderebbe che la mediazione potrebbe essere intesa quale condizione di procedibilità esclusivamente per le materie espressamente richiamate. Secondo l’orientamento maggioritario in dottrina si tratta di un elenco tassativo, anche in virtù della natura eccezionale della norma3. Tale orientamento dottrinario è stato supportato dalla

giurisprudenza di merito, secondo la quale “la minuziosa elencazione delle ipotesi riportate fa ritenere tassativo e non semplicemente esemplificativo (…) quell’elenco e tale tassatività impedisce qualsiasi interpretazione estensiva, ai sensi dell’ art. 12 delle preleggi”4.

Con riferimento alle controversie di cui al comma 1 bis, “chi intende esercitare in giudizio un’azione” è tenuto, assistito da un avvocato, ad avviare il procedimento di mediazione davanti ad un organismo accreditato, cioè inserito nel registro degli organismi di mediazione di cui all’art. 16, D.Lgs. 28/2010. Il previo esperimento di un tentativo di mediazione costituisce un presupposto processuale, ossia una condizione la cui sussistenza è necessaria affinché il giudice possa decidere nel merito. Il D.Lgs. 28/2010 ha, dunque, introdotto una fattispecie di giurisdizione condizionata5. Con questa formula

si fa tradizionalmente riferimento ad ipotesi nelle quali l’accesso alla giurisdizione è subordinato all’avverarsi di una condizione prevista dal legislatore, che può consistere nel previo esperimento di una determinata

3 In questo senso v. R. MASONI, Mediazione e processo: rassegna della prima

giurisprudenza edita, in Giur. merito, 2012, pp. 1085 e ss.; F. CUOMO ULLOA, La nuova mediazione. Profili applicativi, Bologna, 2013, p. 138; G. REALI, La mediazione obbligatoria riformata, in Giusto proc. civ., 2014, p. 742.

4 Tribunale di Cassino, ordinanza 11 novembre 2011, in www.mcmmediazione.com; v. anche

Tribunale di Pavia, ordinanza 26 ottobre 2011, in www.cameradimediazionenazionale.it, il quale ha affermato che l’elenco di cui al comma 1 bis dovesse «essere interpretato

restrittivamente in quanto la conciliazione obbligatoria costituisce condizione per l’esercizio dell’azione giudiziaria altrimenti libero».

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attività, di natura amministrativa, innanzi ad organi o soggetti di natura non giurisdizionale oppure all’avvenuto decorso di un termine o, ancora, al soddisfacimento di certi oneri di carattere economico o tributario6. Pertanto,

il mancato avvio ed esperimento del procedimento di mediazione rende improcedibile la domanda giudiziale, non consentendo l’avvio della vicenda processuale. L’improcedibilità si configura, quindi, come conseguenza dovuta al fatto che la parte istante ha omesso un comportamento qualificato dalla legge come doveroso, ma, come avviene ogni qualvolta la legge pone condizioni di procedibilità attinenti all’avvio del giudizio, e più precisamente al processo di primo grado7, si tratta di una forma di improcedibilità sanabile,

che si traduce in un arresto dell’iter processuale solo temporaneo, il quale perdura fintanto che non sia stata assolta la condizione di procedibilità. Dispone infatti il comma 1 bis che “l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza”. La legge pone quindi un termine molto breve per far valere l’improcedibilità. Trascorso inutilmente tale termine, il processo andrà avanti e potrà giungere al provvedimento decisorio.

Come meccanismo di sanatoria dell’improcedibilità è stato poi previsto che “Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’ articolo 68. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita,

6 D. DALFINO, Mediazione civile e commerciale: Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.

Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, Bologna, 2016, p. 178.

7 Cfr. R. SAIJA, Mediazione e processo. Vecchio e nuovo dopo la legge 98/2013, in Scienze

e ricerche, n. 32, 1 luglio 2016, p. 47: “In ordine all’appello, e comunque a tutte le forme di improcedibilità previste nell’ambito della disciplina delle impugnazioni, sono tutte forme di improcedibilità irrimediabili, conseguenza molto grave che si giustifica in base alla circostanza che il processo si trova ormai in una fase avanzata” dato che “almeno un grado di giudizio si è svolto”. “(…) per cui se il legislatore richiedeva che una delle parti ponesse in essere un comportamento, non si ammette negligenza ed in questo caso la conseguenza è l’arresto del processo, senza possibilità di deroghe”.

8 Ai sensi dell’ art. 6, comma 1, D.Lgs. 28/2010, “Il procedimento di mediazione ha una

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assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”.

La riforma del 2013, riscrivendo il comma 2 dell’art. 5, D.Lgs. 28/2010, ha poi introdotto, quale ulteriore forma di mediazione obbligatoria, la mediazione “disposta” o “ordinata” dal giudice nel corso del processo, il cui esperimento - al pari della mediazione obbligatoria ex lege di cui al comma 1 bis - è divenuto condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Il testo originario dell’art. 5, comma 2, delineando un modello di mediazione “sollecitata” dal giudice, attribuiva al giudice il potere di invitare le parti a procedere alla mediazione, a seguito della valutazione della natura della causa, dello stato dell’istruzione e del comportamento delle parti stesse. L’invito, in quanto tale, non poneva alcun obbligo di accettazione, potendo essere rifiutato senza la necessità di allegare alcun giustificato motivo. In tal caso la causa avrebbe continuato il suo iter sino alla sua naturale definizione. Oggi, invece, il giudice che intenda far espletare alle parti un tentativo di mediazione non deve più raccogliere il loro consenso, potendole rimettere direttamente dinanzi al mediatore. Dispone infatti la nuova formulazione del comma 2 che “Fermo quanto previsto dal comma 1-bis - quindi al di là dei casi di mediazione obbligatoria ex lege - (…)il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”.

Al di fuori dei casi di mediazione obbligatoria, resta comunque ferma la facoltà per le parti di ricorrere alla mediazione per qualunque controversia civile e commerciale, purché essa verta su diritti disponibili (art. 2, comma 1,

(17)

D.lgs. 28/2010)9. Infatti il D.Lgs. 28/2010, accanto ad un modello di

mediazione obbligatoria (ex lege o per ordine del giudice) ha previsto una forma di mediazione meramente “facoltativa”, attivabile spontaneamente dalle parti che, all’insorgere di un conflitto avente ad oggetto un diritto disponibile, decidono di intraprendere un percorso conciliativo10.

9 Ai sensi dell’art. 2, D.Lgs. 28/2010 (rubricato “controversie oggetto di mediazione”),

comma 1,“Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia

civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto”. Il riferimento ai soli diritti disponibili costituisce un limite cui è sottoposta ogni

soluzione della controversia su base convenzionale. Vale cioè, quale principio generale, quello secondo cui qualsiasi transazione è nulla se ha ad oggetto diritti indisponibili (La

nuova mediazione. Regole e tecniche dopo le modifiche introdotte dal “decreto del fare”(d.l. 69/2013, conv., con mod., in l. 98/2013), a cura di G. FALCO e G. SPINA, cit.).

10 E’ infine prevista una forma di mediazione “concordata” dalle stesse parti come

obbligatoria, in cui la via conciliativa è prevista mediante una clausola di mediazione o conciliazione contenuta in un contratto tra di esse o nell’atto costitutivo o nello statuto di un ente (art. 5, comma 5, D.Lgs. 28/2010).

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2. Le esclusioni dalla obbligatorietà della mediazione

Il quarto comma dell’art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 (sostituito dall’art. 84, comma 1, lett. d), D.L. 21 giugno 2013, n. 60, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98)11 prevede un restringimento dell’operatività

della mediazione quale condizione di procedibilità, attraverso l’esenzione dall’obbligo del preventivo esperimento della mediazione di alcuni procedimenti tassativamente elencati, la maggior parte dei quali regolati nel libro IV del codice di procedura civile (riservato ai “procedimenti speciali”), accomunati dall’essere “(…) posti a presidio di interessi per i quali un preventivo tentativo obbligatorio di mediazione appare inutile o controproducente, a fronte di una tutela giurisdizionale che è invece in grado, talvolta in forme sommarie e che non richiedono un preventivo contraddittorio, di assicurare una celere soddisfazione degli interessi medesimi”12.

Tali procedimenti sono stati sottratti, ai sensi della citata norma, non solo alla mediazione obbligatoria ex lege ma anche a quella c.d. “delegata” dal giudice. Quindi, sebbene aventi ad oggetto le materie di cui all’art. 5, comma 1 bis, non sussiste l’obbligo di presentare domanda ed esperire la mediazione in via preliminare rispetto all’esercizio dell’azione ed il giudice non può ordinare

11 Dispone l’art. 5, comma 4, D. Lgs. 28/2010 che: “I commi 1-bis e 2 non si applicano:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;

c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile;

d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata; f) nei procedimenti in camera di consiglio;

g) nell’azione civile esercitata nel processo penale”.

12 Relazione illustrativa - Schema di decreto legislativo recante: “Attuazione dell’articolo

60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”, in www.mediaearbitra.it.

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alle parti di intraprendere il percorso alternativo durante il corso del processo. La ragione dell’esclusione della mediazione ope judicis risiede nel fatto che anche questa seconda tipologia di mediazione, pur costituendo un modello nettamente diverso dalla prima, comporta una dilazione dei tempi processuali incompatibile con le caratteristiche dei procedimenti in oggetto13.

Il fatto che non sia obbligatorio esperire la mediazione non significa, però, che le parti non possano comunque attivare volontariamente un percorso volto alla ricerca di una composizione amichevole della controversia. Naturalmente, affinchè possa svolgersi il procedimento di mediazione occorre che la controversia verta su diritti disponibili, ai sensi dell’art. 2, D.Lgs. 28/2010.

Tuttavia l’esclusione della condizione di procedibilità non opera nello stesso modo in relazione ai vari procedimenti di cui all’elenco del comma 4. In alcuni casi, infatti, vale provvisoriamente, fino ad un certo momento individuato dal legislatore, in altri vale senza limiti di tempo.

2.1. Le esclusioni totali

In relazione ad alcuni procedimenti è prevista un’esenzione totale dall’applicazione della disciplina di cui ai commi 1 bis e 2. Rispetto a questi procedimenti la mediazione obbligatoria non opera mai, essendone sempre esentati. All’interno di questa categoria rientrano i “procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile (lettera c)14, i

13 Così R. TISCINI, La mediazione civile e commerciale. Composizione della lite e processo

nel d.lgs. n.28/2010 e nei D.M. nn. 180/2010 e 145/2011, Torino, 2011, p. 169.

14 La parte che intende chiedere al giudice la nomina di un consulente tecnico d’ufficio al

fine di far accertare e determinare i crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito, non è tenuta a rispettare alcuna condizione di procedibilità (La nuova mediazione civile e commerciale, a cura di A. MAIETTA, Padova, 2014, p. 223). Si tratta di una nuova ipotesi di esclusione della mediazione obbligatoria,

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“procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata”(lettera e), i “procedimenti in camera di consiglio” (lettera f) e i casi di “azione civile esercitata nel processo penale”(lettera g).

Quanto ai procedimenti di cognizione che si inseriscono incidentalmente nell’esecuzione forzata, il riferimento è ai procedimenti di opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.), di opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), all’opposizione del terzo all’esecuzione (art. 619 c.p.c.), nonché al procedimento avente ad oggetto l’accertamento del credito dell’interventore, quello avente ad oggetto l’accertamento dell’obbligo del terzo che non si sia presentato in udienza a rendere la dichiarazione di debito, ovvero, che abbia rifiutato di renderla, o intorno alla quale sia insorta contestazione (artt. 548 e 549 c.p.c.) e, infine, al procedimento di cui all’art. 512 c.p.c., relativo alle controversie che possono insorgere in sede di distribuzione della somma

introdotta con l’art. 84, comma 1, lett. d), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98. L’assenza di una previsione specifica nella versione originaria del D.Lgs. 28/2010 aveva suscitato dubbi interpretativi ed un contrasto di orientamenti sulla necessaria osservanza del procedimento di mediazione in via preliminare anche rispetto all’istituto della consulenza tecnica preventiva finalizzata alla composizione della lite. Un primo orientamento riteneva necessario il previo esperimento del procedimento di mediazione rispetto a questo istituto, facendo leva sul fatto che la conciliazione ex art. 696

bis c.p.c. e la mediazione rappresentassero figure molto diverse sul piano strutturale e che,

quindi, l’esperimento dell’una non fosse idoneo a sostituire quello dell’altra (Tribunale di Siracusa, 14 giugno 2012, in www.foro.it, 2012, I, 2863). Secondo l’orientamento maggioritario, invece, la consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 696 bis c.p.c. non poteva rientrare nell’ambito di applicazione di cui al D.Lgs. 28/2010, in quanto i due istituti svolgevano la medesima funzione, perseguendo entrambi le medesime finalità conciliative e deflattive, così da apparire tra loro alternativi. Ciò suggeriva di non imporre una duplicazione di attività dirette al medesimo risultato (cfr. Tribunale di Trento, 22 maggio 2009, in

www.ilcaso.it, 2009; Tribunale di Busto Arsizio, 25 maggio 2010, in Resp. civ. e prev., 2010,

11, 2322; Tribunale di Milano, 24 aprile 2012, in www.foro.it; Tribunale di Varese, decreto 21 aprile 2011, in Corriere del Merito, 2011, 7, 689; Tribunale di Varese, decreto 24 luglio 2012, in www.ilcaso.it, 2012). Per approfondimenti v. La nuova mediazione civile. Regole e

tecniche dopo le modifiche introdotte dal “Decreto del fare” (d.l. 69/2013, conv., con mod., in l. 98/2013), a cura di G. FALCO e G. SPINA, cit., p. 217-218; La nuova mediazione civile e commerciale, a cura di A. MAIETTA, cit., p. 222-223; D. DALFINO, Mediazione civile e commerciale: Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 attuazione dell'articolo 60 della Legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, cit., p. 258 ss.

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ricavata15. L’esclusione è giustificata dalla loro “stretta interferenza con

l’esecuzione forzata. Consentire o, peggio, imporre la dilazione nella fase processuale in cui la soddisfazione del singolo diritto è più prossima significherebbe aprire la strada a manovre dilatorie da parte dei debitori esecutati”16. La ragione della scelta del legislatore è rintracciabile, quindi, nel

necessario bilanciamento tra la funzione deflattiva dello strumento conciliativo e le contrapposte esigenze di celerità e concentrazione tipiche di un processo quale quello esecutivo, la cui principale funzione è la pronta e celere liquidazione delle ragioni dei creditori. La mediazione in sede esecutiva, laddove fosse ritenuta applicabile all’esecuzione forzata, si scontrerebbe con un processo esecutivo che, pur conoscendo “parentesi” di cognizione, le delinea e configura come “strumentali” all’esecuzione stessa, onde consentire, nel caso di specie, l’individuazione definitiva dell’oggetto dell’espropriazione forzata17.

Con riguardo alle controversie soggette a trattazione con procedimento camerale “l’esclusione trova ragione nella flessibilità e rapidità con cui il giudice può provvedere sul bene della vita richiesto”18. A questa ragione,

tuttavia, se ne aggiungono altre, che riposano da un lato, sulla estrema flessibilità delle forme, dall’altro sulla natura non contenziosa che caratterizza i procedimenti camerali19. Si pensi ad esempio al procedimento

15 Inoltre, è stato ritenuto escluso dalla condizione di procedibilità anche il giudizio di

divisione endoesecutiva ex art. 600, comma 2, c.p.c., in quanto considerato come “incidente

di cognizione” nell’ambito del processo esecutivo (in questo senso v. Tribunale di Prato, 9

maggio 2011, in www.mediatori.it).

16 Relazione Illustrativa, cit.

17 La nuova mediazione civile. Regole e tecniche dopo le modifiche introdotte dal “Decreto

del fare” (d.l. 69/2013, conv., con mod., in l. 98/2013), a cura di G. FALCO e G. SPINA, cit., p. 217.

18 Relazione Illustrativa, cit.

19 D. DALFINO, Mediazione civile e commerciale: Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28

attuazione dell’articolo 60 della Legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, cit., p. 260 ; v. anche R.

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camerale ex art. 1105 c.c., relativo alla richiesta di uno dei comproprietari di ottenere i provvedimenti necessari all’amministrazione della cosa comune e/o per l’eventuale nomina dell’amministratore, ovvero a quello, in materia di successioni, di cui all’art. 709 c.p.c., relativo alla fissazione dei termini all’erede per la liquidazione delle attività ereditarie20.

In ultima analisi, l’esclusione della mediazione obbligatoria rispetto all’azione civile esercitata nel procedimento penale si spiega in ragione del fatto di essere tale azione “subordinata ai tempi e alle condizioni del processo penale”; sicché “subordinarne l’esercizio alla previa mediazione equivarrebbe a impedire o a ostacolare fortemente la costituzione di parte civile, così sacrificando una forma di esercizio dell’azione civile da reato di grande efficacia e forte valore simbolico”21.

A queste ipotesi di esclusione si aggiungono poi le “azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140 bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 e successive modificazioni (art. 5, comma 1 bis, ultima parte), ossia le azioni a tutela di interessi superindividuali. Rispetto a tali azioni l’esclusione totale della mediazione dipende, secondo la Relazione Illustrativa, “o dall’esistenza di un’autonoma condizione di procedibilità22 o

al d.l. n. 132/2014, Milano, 2015, p. 111: “più che per ‘ragioni di flessibilità e rapidità con cui il giudice può provvedere sul bene della vita richiesto’, come si legge nella Relazione Illustrativa, l’esenzione sembra piuttosto conseguenziale alla natura (di regola) non contenziosa (ma volontaria inter volentes) delle procedure in discorso che non assurgono, nella maggior parte dei casi, al rango di ‘controversie’ (stando al tenore letterale dell’art. 2, comma 1, del decreto)”.

20 La nuova mediazione civile e commerciale, a cura di A. MAIETTA, cit., p. 225.

21 Relazione Illustrativa, cit. Secondo F. CUOMO ULLOA, La nuova mediazione. Profili

applicativi, cit., p. 201, sarebbe obbligatorio il previo esperimento della mediazione laddove

il danneggiato promuova azione civile ex art. 75 c.p.p., senza costituirsi parte civile nel processo penale. Questa soluzione è stata criticata da R. MASONI, La mediazione nel

processo, cit., in quanto non supportata normativamente.

22 Un’autonoma condizione di procedibilità è prescritta per le due azioni inibitorie ex artt. 37

e 140, D.Lgs. 206/2005, dall’art. 140, comma 4, del medesimo decreto, secondo il quale dette azioni possono essere proposte solo trascorsi quindici giorni dalla data in cui le associazioni

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dalla constatazione che non è concepibile una mediazione nell’azione di classe fino a quando quest’ultima non ha assunto i connotati che permetterebbero una mediazione allargata al maggior numero di membri della collettività danneggiata, fino dunque alla scadenza del termine per le adesioni”23.

Infine, ai sensi dell’ art. 5, comma 3, D.Lgs. 28/2010, “Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale”, perché ”la mediazione non può andare a discapito della parte che ha interesse a ottenere un provvedimento urgente o cautelare; imporre una sospensione in tali ipotesi significherebbe precludere l’accesso alla giurisdizione rispetto a situazioni di emergenza e sulle quali il mediatore è privo di qualsiasi potere d’intervento”24. In effetti una diversa lettura della norma non sarebbe

compatibile con le caratteristiche proprie dei procedimenti in oggetto, ponendosi in contrasto con i principi costituzionalmente garantiti25.

2.2. Le esclusioni limitate ad una fase del procedimento

Rispetto ad altri procedimenti l’obbligatorietà del previo esperimento del tentativo di mediazione è stata esclusa rispetto ad una fase iniziale di essi, riespandendosi in un momento successivo. Si tratta di procedimenti

abbiano richiesto al soggetto ritenuto responsabile (a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento), la cessazione del comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e degli utenti.

23 Il riferimento è all’azione di classe prevista dall’art. 140 bis, D.Lgs. 206/2005. In realtà,

con riferimento a questa ipotesi è intervenuta una modifica ad opera della L. 12 aprile 2019, n. 31, che ha trasferito la disciplina in oggetto all’interno del codice di procedura civile. Pertanto il riferimento all’art. 140 bis, D.Lgs. 206/2005 dovrà essere inteso – come prevede esplicitamente l’art. 6, L. 31/2019 – come effettuato al Titolo VIII bis del Libro IV del c.p.c.

24 Relazione Illustrativa, cit.

25 La nuova mediazione civile. Regole e tecniche dopo le modifiche introdotte dal “Decreto

del fare” (d.l. 69/2013, conv., con mod., in l. 98/2013), a cura di G. FALCO e G. SPINA, cit., p. 207.

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accomunati da una struttura processuale eventualmente bifasica26, nei quali

ad una prima fase di natura sommaria può seguire una eventuale fase a cognizione piena. Per questi procedimenti l’esenzione dall’obbligatorietà della mediazione è limitata alla fase a cognizione sommaria: quindi il previo esperimento del procedimento di mediazione non ne preclude la proposizione della domanda né lo svolgimento. L’obbligo della mediazione torna ad operare all’esito della fase sommaria e, più precisamente, in caso di prosecuzione del procedimento e di conversione nella fase (eventuale) a cognizione piena, finalizzata alla pronuncia sul merito della causa27. Quindi

rispetto a questi procedimenti è prevista una sospensione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale (richiesta dal comma 1 bis e 2 dell’art. 5 cit.) che perdura fino ad un certo momento del loro iter. Ciò non esclude che l’attore (o, in teoria, lo stesso convenuto) instauri il procedimento di mediazione in un momento anteriore, al fine di evitare, o quanto meno ridurre al minimo, una successiva pausa del processo28.

In tale categoria rientrano i “procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione (lettera a), i “procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile (lettera b) ed i “procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile” (lettera d).

26 Così M. VACCARI, Questioni controverse in tema di mediazione, in Questione Giustizia,

n. 1/2015.

27 V. La nuova mediazione civile. Regole e tecniche dopo le modifiche introdotte dal

“Decreto del fare” (d.l. 69/2013, conv., con mod., in l. 98/2013), a cura di G. FALCO e G.

SPINA, cit., p. 213; v. anche La nuova mediazione civile e commerciale, a cura di A. MAIETTA, cit., p. 218, 219.

28 In questo senso G. BALENA, Mediazione obbligatoria e processo, in Il giusto processo

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La Relazione Illustrativa al D.Lgs. 28/2010 ha giustificato l’esclusione con riferimento ai procedimenti di ingiunzione e di convalida di licenza o sfratto osservando che in questi casi ci si trova di fronte a “ forme di accertamento sommario con prevalente funzione esecutiva” in cui “il procedimento è caratterizzato da un contraddittorio differito o rudimentale, e mira a consentire al creditore di conseguire rapidamente un titolo esecutivo”. Pertanto “appare illogico frustrare tale esigenza imponendo la mediazione o comunque il differimento del processo”, anche se la mediazione può “trovare nuovamente spazio all’esito della fase sommaria, quando le esigenze di celerità sono cessate, la decisione sulla concessione dei provvedimenti esecutivi è stata già presa e la causa prosegue nelle forme ordinarie”. Il legislatore delegato, quindi, ha voluto evitare che la mediazione interferisse con l’urgenza legata alla pronuncia dei provvedimenti sulla provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo, nonché delle ordinanze di rilascio provvisorio o di pagamento delle somme non controverse nel procedimento per convalida29.

La scelta di escludere i procedimenti possessori fino all’adozione dei provvedimenti interdittali di cui all’art. 703, comma 3, c.p.c. (di conferma o concessione, in fase di reclamo, dei provvedimenti di reintegrazione o di manutenzione del possesso30), si giustifica “per motivi analoghi a quelli che

riguardano i provvedimenti cautelari”, quindi per una “somma urgenza nel provvedere”, evidenziandosi, tuttavia, che “il procedimento possessorio può conoscere una fase di merito (…) nella quale è incongruo non consentire la

29 In questo senso M.P. GASPERINI, Rapporti tra mediazione e giudizio contenzioso nel

d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, sub. nota n. 52, in www.judicium.it, 2012.

30 L’art. 703, comma 3, c.p.c., dispone che “L’ordinanza che accoglie o respinge la domanda

(di reintegrazione o di manutenzione del possesso) è reclamabile ai sensi dell’art.

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mediazione”31 (il giudizio a cognizione piena sul c.d. “merito possessorio”,

di cui all’art. 703, comma 4, c.p.c.).

L’esclusione del previo esperimento della mediazione nei procedimenti che possono dipanarsi secondo un andamento bifasico (sia pur limitata alla sola fase sommaria), è risultata, in dottrina, “congruente al significato complessivo della disciplina in tema di mediazione”, dato che tali procedimenti potrebbero risolversi senza l’insorgenza di alcun contrasto tra le parti e in modo consensuale32: potrebbero quindi rimanere “procedimenti”

senza trasformarsi in “processi”33. Ad esempio, in caso di domanda di

convalida di sfratto, l’obbligatorietà della mediazione è richiesta solo dopo il mutamento di rito (con il quale, tra l’altro, la domanda di convalida di sfratto si converte in domanda di risoluzione negoziale), per non pregiudicare la celere soddisfazione degli interessi del locatore, i quali potrebbero trovare immediata e completa tutela già nella fase sommaria con i provvedimenti di convalida o di concessione dell’ordinanza provvisoria di rilascio34. Inoltre, il

procedimento di convalida di sfratto potrebbe pervenire a conclusione se il convenuto non comparisse in udienza o se, comparendo, non si opponesse (art. 663 c.p.c.); è solo con l’ opposizione dell’intimato che si realizza un contrasto di pretese che va risolto con la decisione 35.

31 V. M.P. GASPERINI, op. cit, sub nota n. 53: “Come noto, a seguito delle riforme

intervenute negli anni 2005-2006, il giudizio di merito sul possesso (cd. “merito possessorio”) si svolge nel solo caso in cui una delle parti presenti istanza di prosecuzione entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento che abbia deciso il reclamo avverso il provvedimento interdittale o, in mancanza di reclamo, entro sessanta giorni dalla comunicazione di quest’ultimo (art. 703, ult. co., c.p.c.)”.

32 In questo senso M. VACCARI, op. cit., loc. cit. 33 R. MASONI, La mediazione nel processo, cit., p. 115.

34 D. RAVENNA, L’opponente o l’opposto, questo è il dilemma, in Immobili e proprietà,

2016, 4, 241.

(27)

Allo stesso modo, il giudizio possessorio potrebbe concludersi senza sfociare nella fase di merito e al procedimento per ingiunzione potrebbe non seguire la fase di opposizione.

(28)

3. L’esclusione della condizione di procedibilità con riferimento ai procedimenti di ingiunzione

L’art. 5, comma 4, lettera a), D.Lgs. 28/2010 stabilisce che la disciplina della mediazione “obbligatoria” (tanto ex lege che ope judicis) non si applica ai “procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”36.

Come anticipato nel paragrafo precedente, dalla Relazione illustrativa al D.Lgs. 28/2010 emerge che la ratio della esclusione risiede, da un lato, nell’esigenza di consentire l’ottenimento di una tutela celere, in quanto tale non compatibile con la previsione di un “filtro” di accesso alla giurisdizione, che, sebbene legittimo, sul piano costituzionale, impone pur sempre un rinvio nel tempo di quella tutela; dall’altro, nella utilità di instaurare la mediazione

36 La norma riprende la soluzione già prospettata dalla Corte costituzionale (13 luglio 2000,

n. 276, in Riv. Dir. proc., 2000, 1223 ss., con nota di R. CONTE), con riferimento al tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di lavoro (divenuto poi facoltativo a seguito delle novità introdotte nel 2010 dalla legge 183/2010, c.d. “collegato lavoro”. L’art. 412 bis, ultimo comma, c.p.c., infatti, si limitava a stabilire che “il mancato espletamento del tentativo di

conciliazione non preclude la concessione di provvedimenti speciali d’urgenza e di quelli cautelari previsti dal Capo III del Titolo I del Libro IV”. La Corte costituzionale,

ciononostante, dopo appena due anni dalla sua introduzione interpretò la norma nel senso di escludere il necessario esperimento del “filtro” prima dell’esercizio dell’azione monitoria, sul presupposto che «il tentativo obbligatorio di conciliazione è strutturalmente legato ad un

processo fondato sul contraddittorio». In particolare, osservò, che «La logica che impone alle parti di “incontrarsi” in una sede stragiudiziale, prima di adire il giudice, è strutturalmente collegata ad un (futuro) processo destinato a svolgersi fin dall’inizio in contraddittorio fra le parti. All’istituto sono quindi per definizione estranei i casi in cui invece il processo si debba svolgere in una prima fase necessariamente senza contraddittorio, come accade per il procedimento per decreto ingiuntivo. Non avrebbe infatti senso imporre, nella fase pregiurisdizionale relativa al tentativo di conciliazione, un contatto fra le parti che invece non è richiesto nella fase giurisdizionale ai fini della pronuncia del provvedimento monitorio».

La giurisprudenza di merito ha seguito tale insegnamento e lo ha applicato anche in ambiti diversi da quello delle controversie di lavoro, come ad esempio in materia di subfornitura (Tribunale di Belluno, 4 novembre 2009, in www.foro.it) e di telecomunicazioni (Tribunale di Torino, 2 dicembre 2005, in Giur. merito, 2006, 1667); Tribunale di Milano, 22 ottobre 2008, in Foro. pad., 2008, I, 403).

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a partire dal momento in cui l’esigenza di maggiore celerità è cessata e la causa può proseguire nelle forme ordinarie37.

Ovviamente, seppur l’obbligo del tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità non opera rispetto al procedimento di ingiunzione, di certo le parti potranno, se lo vorranno, introdurre una mediazione c.d. volontaria prima o contemporaneamente al procedimento di ingiunzione38.

Tuttavia l’obbligatorietà della mediazione nei procedimenti di ingiunzione non è stata esclusa tout court ma semplicemente sospesa, rimanendo latente fintanto che perdurano le esigenze di celerità. Infatti la condizione di procedibilità costituita dall’esperimento del procedimento di mediazione è stata esclusa solo in relazione alla fase inaudita altera parte, di natura sommaria (per le ragioni sopra esposte), tornando ad operare nel momento successivo ed eventuale della opposizione, ossia allorquando, su impulso del debitore ingiunto che si attivi nelle forme previste dall’art. 645 c.p.c., sia stato introdotto il giudizio ordinario a cognizione piena, avente ad oggetto l’accertamento della fondatezza del diritto azionato dal ricorrente in monitorio.

Ne deriva che, sebbene il credito possa rientrare in una delle materie per le quali opera la condizione di procedibilità, la mediazione potrebbe non svolgersi affatto, in caso di mancata opposizione.

L’introduzione del giudizio di opposizione, anche se necessaria al fine di far sorgere l’obbligo della mediazione, non è però di per sé sufficiente, in quanto l’obbligatorietà della mediazione riacquisterà piena efficacia solo a seguito della pronuncia del giudice, alla prima udienza del giudizio di opposizione,

37 Cfr. D. DALFINO, Mediazione civile e commerciale: Decreto legislativo 4 marzo 2010,

n. 28 attuazione dell'articolo 60 della Legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, cit., p. 251.

38 G. MINELLI, Permane il contrasto su chi sia onerato tra opponente ed opposto ad

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in ordine alle istanze di adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c., ossia la concessione dell’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto, o la sua eventuale sospensione nel caso in cui questa sia già stata concessa in fase monitoria ex art. 64239. Quindi nell’opposizione a decreto

monitorio l’instaurazione della mediazione è sottoposta ad una condizione si volam, in quanto la sua introduzione dipende dalla richiesta e dalla pronunzia giudiziale dei provvedimenti previsti dagli artt. 648 e 649 c.p.c.40.

Solo dopo che il giudice si sia pronunciato sulle istanze ex artt. 648 e 649 c.p.c., il giudizio diviene improcedibile e il giudice potrà rilevare - d'ufficio o su eccezione di parte - il mancato assolvimento della condizione di procedibilità. In tal caso il giudice, ai sensi dell’ art. 5, comma 1 bis, capoverso 6 e 7, D.Lgs. 28/2010 adotta un meccanismo di sanatoria diverso a seconda che il procedimento di mediazione sia già stato avviato dalle parti senza essersi ancora concluso ovvero non sia stato per nulla introdotto. Nel

39 Non è l’introduzione in sé del giudizio di opposizione a far sorgere l’obbligo della

mediazione, ma la pronuncia del provvedimento interinale di concessione o sospensione della provvisoria esecutività.

In tal senso si segnalano alcuni provvedimenti. Tribunale di Prato, sez. civile, ordinanza 18 luglio 2011, in www.adrintesa.it: «Nei procedimenti di ingiunzione, ai sensi dell’art. 5,

comma 4, del D.Lgs. 28/2010, la mediazione non è obbligatoria né nella fase di deposito del ricorso monitorio né in quella eventuale di opposizione: l’obbligo sorge nel momento in cui il giudice si è pronunciato in merito alla concessione e sospensione dell'efficacia esecutiva del decreto»; Tribunale di Lamezia Terme, sez. civile, ordinanza 19 aprile 2012, in www.ilcaso.it: «L’opposizione a decreto ingiuntivo dà vita ad un giudizio a cognizione piena (assoggettata alle normali regole di riparto degli oneri probatori). Rientrando la causa in oggetto nel campo di applicazione dell’art. 5 del d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, una volta consumato il potere dell’opposto di chiedere la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo impugnato, essa risulta assoggettata a mediazione obbligatoria, sicché viene fissato termine per l’instaurazione della relativa procedura a pena di improcedibilità».

40 R. MASONI, Tipologie di mediazione nei rapporti con il processo, in Giur. Mer., 2012,

65. V. anche R. MASONI, Le controversie suscettibili di mediazione ai sensi del d.lgs. n. 28

del 2010 (e quelle escluse), in Giur. merito, 2010, pp. 2154-2165, secondo il quale la scelta

del legislatore di posticipare l’obbligatorietà della mediazione alla emissione dei provvedimenti di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c. “si giustifica se si considera la struttura del

procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo che si caratterizza per la perentorietà del termine (di quaranta giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo: art. 641 cod. proc. civ.) di proposizione dell’opposizione. La struttura del giudizio oppositorio a decreto ingiuntivo avrebbe, altrimenti, reso tecnicamente impossibile l’esperimento del tentativo”.

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primo caso si limita a differire la trattazione a successiva udienza, fissando l’udienza di prosecuzione in modo da tenere in considerazione il tempo massimo di durata del procedimento di mediazione, che l’art. 6, D.Lgs. 28/2010 ha determinato in tre mesi. Nel secondo caso assegna alle parti il termine di quindici giorni, previsto dall’ art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. 28/2010, per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’ art. 6, tenendo conto anche del termine assegnato alle parti per l’ instaurazione del procedimento. In questo caso l’udienza successiva viene fissata almeno dopo tre mesi e quindici giorni41.

La durata della non operatività della mediazione quale condizione di procedibilità della domanda potrebbe poi allungarsi ancora di più nel caso in cui, come spesso succede, il giudice non decida sull’esecutività del decreto alla prima udienza ma si riservi sul punto. Pertanto, fino a che il giudice non abbia sciolto la riserva l’azione non sarà improcedibile42. Questa prassi è

tuttora molto frequente, nonostante la recente novella apportata all’art. 648 c.p.c. ad opera dell’art. 78, comma 1, lett. b), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, conv., con modif., dalla L. 9 agosto 2013, n. 98 prescriva che il giudice debba provvedere, se ne sussistono i presupposti, concedendo “in prima udienza” l'esecuzione provvisoria del decreto43.

41 Art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. 28/2010: “(…) Il giudice ove rilevi che la mediazione è già

iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”.

42 G. MINELLI, op. cit., loc. cit.

43 Con la previgente formulazione della norma, la decisione sul tali istanze veniva differita

praticamente sempre (o quasi) all’esito dell’appendice scritta costituita dalle tre memorie previste dall’art. 186, comma 6, c.p.c., appendice che, pur sicuramente legittima per consentire alle parti la compiuta articolazione delle proprie difese, spesso veniva utilizzata dal debitore ingiunto del pagamento per procrastinare il momento della concessione della provvisoria esecutività del decreto e, quindi, della potenziale e conseguente azione esecutiva che il creditore avrebbe potuto avviare nei suoi confronti.

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