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La lenta agonia della scuola e della pedagogia di Antico Regime

Un’utopia pedagogica piemontese?

1. La lenta agonia della scuola e della pedagogia di Antico Regime

La Rivoluzione francese non colse di sorpresa il sistema scolastico piemontese. Prima di tutto, perché arrivò gradualmente, occupando porzioni sempre più ampie del Regno di Sardegna. Quindi, e soprat- tutto, perché le autorità avevano provato precocemente a impedire che la scuola divenisse cassa di risonanza per la propaganda rivoluzio- naria. Per questo, sin dall’anno accademico 1792-1793, si era provve- duto a non riaprire l’Università di Torino e il Collegio delle Provin- ce, formalmente per evitare che gli scontri tra studenti e popolazione, reiteratisi dopo il 1789, degenerassero, ma in realtà proprio per eli- minare un possibile punto d’appoggio alle idee di Francia. La deci- sione di chiudere due delle più prestigiose istituzioni educative della Capitale era stata a lungo dibattuta, ma le incertezze non furono det- tate dalla pericolosità attribuita agli studenti, quanto piuttosto dal- l’opportunità politica di un gesto radicale come la pur temporanea, ma integrale, soppressione dell’istruzione superiore dello Stato.

Infatti, all’interno della commissione chiamata a decidere il futu- ro dell’Università, l’unico contrario alla chiusura fu l’arcivescovo Costa di Arignano, “supplente il capo del Magistrato della Rifor- ma”, Carlo Giuseppe Corte, dimessosi per malattia.1La sua nomina 1. Sulle vicende biografiche dell’arcivescovo di Torino cfr. O. Favaro, Vittorio Gae-

tano Costa d’Arignano, 1737-1796, Pastore “illuminato” della Chiesa di Torino al tramon- to dell’Ancien Régime, Casale Monferrato, Piemme, 1997. Costa era subentrato a Corte

nel giugno del 1791 e rimase in carica sino alla morte, avvenuta nel 1794. Aveva com- posto intorno al 1786 un Compendio della Dottrina cristiana che rimase per molto tempo il testo ufficiale della chiesa piemontese, conoscendo oltre sessanta riedizioni. Su Carlo Giuseppe Corte, conte di Bonvicino, cfr. la voce di A. Ruatain Dizionario

a capo del sistema scolastico sabaudo aveva di fatto sancito la rinun- cia al diritto dello Stato di formare i propri sudditi senza l’interven- to della Chiesa, rivendicato con forza da Vittorio Amedeo II. Tutta- via, nell’occasione, a differenza dei presidenti di Senato e Camera e del Ministro per gli affari esteri, l’arcivescovo reputò che fosse necessario avviare normalmente le attività accademiche per non inquietare la popolazione e “non privare la gioventù studiosa de’ soliti esercizi di pietà e del consueto regolato ammaestramento, che la tiene lontana dall’ozio e dalle conseguenze che ne derivano”.2

Passò, invece, la linea più dura, o più prudente: l’Università venne aperta solo per sostenere gli esami, per i quali furono fissate regole più morbide; nel Collegio delle Province tornarono i soli cerusici, divenuti indispensabili per il funzionamento dell’ospedale, e nell’ottobre del 1793 li raggiunsero gli studenti di filosofia e belle arti, necessari alle scuole. Ma di riaprire l’Università non si parlò più sino al rientro degli austro-russi a Torino, nel maggio del 1799, e anche a quell’epoca i pareri contrari non mancarono, tanto che il progetto non ebbe seguito.

L’ostilità del governo nei confronti degli studenti universitari avrebbe permesso, qualche anno dopo, a Carlo Stefano Giulio, divenuto nel frattempo attivo membro del governo provvisorio, di presentare se stesso e gli altri convittori del Collegio delle Provin- ce come le prime vittime dell’oscurantismo dei Savoia, e di cele- brare l’importanza degli “imperterriti giovinetti” nel favorire l’arri- vo della Rivoluzione francese in Piemonte.3

L’atteggiamento di prudente diffidenza della monarchia nei con- fronti dell’istruzione in generale e non solo di quella superiore, rive- latosi con particolare evidenza in quei frangenti, sarebbe stato inter- pretato dai partigiani della Rivoluzione francese come dettato dalla volontà di “indurre in questo nostro Piemonte una generale crassa ignoranza, per così potere a man salva esercitare la sua tirannide e

2. Le opinioni di Costa sono riportate in ast, Corte, Pubblica istruzione, Regia Uni-

versità, mazzo 3 d’addizione, Parere del Cardinale Costa, arcivescovo di Torino, sulla conve- nienza di aprire l’Università nell’anno corrente, 15 ottobre 1792. Su quegli avvenimenti vedi

anche M. Roggero, Il sapere e la virtù. Stato, Università e professioni nel Piemonte tra Set-

tecento e Ottocento, Torino, Deputazione Subalpina di Storia Patria, 1987, pp. 170-175.

3. Discorso del cittadino Carlo Giulio, presidente della Commissione esecutiva nella solen-

ne inaugurazione del Collegio Nazionale piemontese il 10 piovoso, in “Anno patriottico”,

coprire con ementita maschera la bella Verità”.4 Come si sarebbe

potuto, del resto, spiegare altrimenti l’alto numero di giovani ucci- si o “messi in carcere e contro ogni ragione severamente puniti solo perché presso di loro ritenevano eccellenti libri di sana filosofia, da cui con diletto e profitto succhiavano il bello, il buono, il vero, pro- curando così a somiglianza del filosofo Boezio di alleggerire la tri- stezza di cui erano circondati nella loro ferrea schiavitù”?5

Certo, esistono altre prove del fatto che negli anni immediata- mente anteriori all’occupazione francese del Piemonte le autorità sabaude accentuarono ulteriormente il controllo sugli studi a tutti i livelli. La prima non ebbe, per la verità, effetti negativi, special- mente nel lungo periodo: in seguito alla chiusura dell’Università, infatti, agli studenti residenti fuori Torino venne consentito di ulti- mare la preparazione nelle proprie città, presso insegnanti colle- giati autorizzati dal Magistrato della Riforma. Non potendo fre- quentare le lezioni dei docenti dell’Ateneo, divenne per questo necessario disporre di testi accessibili a tutti e soprattutto affidabi- li. A tal fine, nel 1793, i professori vennero per la prima volta auto- rizzati, anzi invitati, a dare alle stampe i loro corsi, che sino a quel momento avevano trasmesso annualmente sotto dettatura.6

Nacquero, così, i primi manuali per l’insegnamento universita- rio, i quali, se da un lato potevano essere dati alle stampe solo pre- via approvazione della censura, dall’altro sancirono la definitiva accettazione da parte delle autorità di teorie tutto sommato ancora controverse. Fu questo il caso degli Elementa logices, degli Elementa

philosophiae moralis e degli Elementa metaphysices ad subalpinos di

Giuseppe Matteo Pavesio, che misero a disposizione degli studen- ti subalpini una sorta di compendio delle teorie sensistiche, special-

4. L’espressione venne usata da Bartolomeo Gastaldi in un’arringa del 1798, annunciando la prossima riapertura dell’Università: Ai cittadini studenti Discorso del cit-

tadino Bartolommeo Gastaldi, uomo di legge, recitato nel Tempio delle Scienze e proclamato per la stampa li 21 frim anno VIIdella Rep. Franc. e Idella Lib. Piem., Torino, dalle stam-

pe del cittadino Derossi, s.d., ma 1798, pp. 2-3. Il Discorso è conservato in ast, Corte,

Carte di epoca francese, serie ii, mazzo 43, Curiosità storiche, Carteggio di persone illustri. 5. Ibid.

6. La decisione rappresentò probabilmente uno degli ultimi atti del mandato di Costa d’Arignano, secondo quanto documentato da T. Vallauri, Storia delle universi-

tà degli studi del Piemonte, Torino, G.B. Paravia e C., 1875 (2° ed.), p. 538, e più recen-

mente tratte da Condillac e mediate da autori più “ortodossi”, come John Locke, Paul Mako, Francesco Soave e dal piemontese Girolamo Rostagni.7

Sempre con superiorum facultate et privilegio, Giuseppe Antonio Vassalli e il nipote Antonio Maria Vassalli Eandi redassero i manua- li per l’insegnamento della fisica sperimentale, di matematica e geo- metria, ispirandosi apertamente alla lezione di Giambattista Becca- ria, ma anche a quelle di Newton, di Bonnet e di s’Gravesande.8

Il 16 dicembre 1791 venne emanato un Regio biglietto d’approva-

zione delle condizioni sotto le quali si possano stabilire in diversi conventi di Torino i collegi delle scuole inferiori, con il quale il sovrano accetta-

va la proposta del Magistrato della Riforma di affidare i tre collegi inferiori del Carmine, di san Francesco d’Assisi e di san Francesco da Paola alle congregazioni a cui erano affidate le relative chiese, ovvero Carmelitani, Minori Conventuali e Minimi.9

Il Regio Biglietto prescriveva di scegliere i prefetti tra i conven- tuali dotati di patente per l’insegnamento, mentre i maestri pote- vano essere scelti anche all’esterno. Poiché le spese gravavano sulle stesse congregazioni, esse potevano esigere una retta dagli studenti e ottenere una sovvenzione dal comune per gli studenti poveri. Infine, invitando le tre congregazioni a seguire le prescri- zioni delle Costituzioni in materia di programmi e di metodi didat- tici, affidava loro in via esclusiva l’insegnamento del latino, vietan- dolo ai maestri privati.

7. G.M. Pavesio, Elementa logices ad subalpinos, Taurini, ex tipographia regia, supe- riorum facultate et privilegio, 1793; Id., Elementa metaphysices ad subalpinos, Taurini, ex Tipographia regia, superiorum facultate et privilegio, 1794; e Id., Elementa philosophiae

moralis ad subalpinos, Taurini, ex Tipographia regia, superiorum facultate et privilegio,

1794. Sulle vicende della loro composizione vedi P. DelpianoIl trono e la cattedra, Istruzione e formazione dell’élite nel Piemonte del Settecento, Torino, Deputazione Subalpi-

na di Storia Patria, 1997, pp. 252-253. Vedi anche P. Bianchini, Libri per la scuola e pra-

tiche d’insegnamento in Piemonte alla fine del Settecento, in G. Chiosso(a cura di), Il libro

per la scuola in Italia tra Sette e Ottocento, Brescia, La Scuola, 2000, pp. 11-60.

8. G.A. Vassalli-A.M. VassalliEandi, Phisicae experimentalis lineamenta ad subal-

pinos, pars duo, Taurini, ex tipographia regia, superiorum facultate et privilegio, 1793 (vol. I)-1794 (vol. II); Id., Aritmetices et Geometriae elementa ad subalpinos, Taurini, ex

tipographia regia, superiorum facultate et privilegio, 1795.

9. F.A. Duboin, Raccolta per ordine di materie delle leggi, editti, manifesti, ecc. della

Real casa di Savoia, t. xiv, vol. xvi, l. viii, Della pubblica istruzione e delle Accademie di

Era questo un modo per contenere ulteriormente l’accesso ai gradi più elevati dell’istruzione, per i quali era assolutamente neces- sario il latino. Ed era anche un modo per soddisfare le richieste di tutti coloro che, come l’abate Giovanni Domenico Pisceria, sin dalla metà del secolo, denunciavano l’alto afflusso di poveri ai colle- gi inferiori di Torino, grazie all’ammissione gratuita.10

L’8 settembre 1797, poi, venne istituita a Torino una Giunta ecclesiastica a cui venne assegnato, tra l’altro, il compito di gestire le scuole superiori al di fuori dell’Università: si trattò dell’atto con cui si realizzò la definitiva restituzione delle scuole sabaude al clero, un atto che ebbe scarse conseguenze pratiche solo a causa della caduta della monarchia, ma il cui significato politico non può essere sottovalutato.11

A questi provvedimenti vanno aggiunte le frequenti richieste di aiuto fatte pervenire dal governo ai vescovi nel controllo degli stu- denti universitari. Alla fine del 1796 Vittorio Amedeo III espresse con un Regio Biglietto la sua preoccupazione “per gli inconvenienti che non possono far a meno di derivare dall’esercizio privato delle scuole e massime per rimanere l’insegnamento sottratto alla vigi- lanza del governo”. Per questo, invitava i responsabili della scuola piemontese a un maggiore controllo “sui particolari insegnamenti che si dettano da privati dottori” e a prodigarsi “affinché li studen- ti frequentino la congregazione spirituale”.12

Qualche mese più tardi, il ministro degli Interni, il conte Cerru- ti di Castiglione Falletto, raccogliendo un nuovo invito del re, scrisse al Magistrato della Riforma chiedendogli di intervenire. Questi fece, quindi, pervenire una lettera ai vescovi in cui li invita-

10. Pisceria, preside della facoltà delle Arti letterarie, denunciava la “oltremodo crescente quantità de’ poveri che vanno alle scuole”, portando povertà e scostuma- tezza (ast, Corte, Istruzione pubblica, Regia Università, mazzo 7, n° 5, Rappresentanza

dell’avvocato Pisceria, Preside della facoltà delle Arti sugli abusi e disordini che regnano nelle scuole de’ collegi stabiliti nella città di Torino, 1754). Su questi temi cfr. M. Roggero,

L’istruzione di base tra Antico Regime e Rivoluzione, in Dal trono all’albero della libertà. Trasformazioni e continuità istituzionali nei territori del Regno di Sardegna dall’antico regi- me all’età rivoluzionaria, Atti del convegno, Torino 11-13 settembre 1989, 2 voll., vol. ii, Roma, Ministero per i Beni culturali e ambientali, 1991, pp. 565-591.

11. F.A. Duboin, Raccolta, cit., t. xiv, vol. xvi, l. viii, p. 210 nota.

12. ast, Corte, Segreteria interni, Registri, 110, Regio Biglietto del 6-10-1796; cfr. anche M. Roggero, Sapere e virtù, cit., p. 173.

va a “cooperare in particolare maniera di concerto co’ Signori Riformatori delle R. Scuole in Provincia al buon ordine degli studi e singolarmente agli esercizi di cristiana pietà da praticarsi dagli studenti”. Di fatto, si chiedeva loro di verificare la partecipazione alle congregazioni e alle messe da parte dei ragazzi che seguivano i corsi in provincia, in quanto senza “le fedi della frequenza à sacra- menti [e] gli attestati de’ Parrochi di aver udita la divina parola con divota frequenza” non avrebbero potuto sostenere gli esami.13

Fu questa l’ultima conferma che l’accesso all’istruzione non poteva andare disgiunto da una provata moralità, che solo la reli- gione poteva garantire, secondo un’idea di suddito e di cittadino che la Rivoluzione avrebbe di lì a poco travolto insieme con la forma di governo che l’aveva promossa.

2. La prima occupazione francese: dall’educazione