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La prima occupazione francese: dall’educazione del suddito all’educazione del repubblicano

Un’utopia pedagogica piemontese?

2. La prima occupazione francese: dall’educazione del suddito all’educazione del repubblicano

Quando, nel dicembre del 1798, il generale francese Joubert occupò Torino, sembrò realizzarsi il sogno di tutti coloro che, negli ultimi anni, avevano più o meno segretamente parteggiato per le idee e per le truppe francesi. Sia che si fossero uniti alle armate della Grande Nation sia che avessero provato a veicolare i principi dell’89 nonostante l’occhiuta vigilanza delle autorità sabaude, i repubblicani piemontesi erano perlopiù ben consapevoli del fatto che la Rivoluzione aveva superato con le sue gambe le Alpi e che era ancora tutta da percorrere la strada che avrebbe portato alla reale emancipazione del Piemonte. Si era trattato, insomma, di una “rivoluzione passiva”,14che andava completata con un ampio coin-

volgimento della popolazione, indispensabile per una vera adesione ai valori e alle innovazioni introdotte dal governo rivoluzionario. Del resto, non era stata vana la lezione dell’Illuminismo, che aveva

13. ast, Corte, Pubblica istruzione, Regia Università, mazzo 3 d’addizione, Risulta-

to di un congresso del Magistrato della Riforma riguardante i vari provvedimenti ordinati da S.M. per gli studi, 26 ottobre 1797.

14. Il termine è usato con grande efficacia da L. Guerci, “Mente, cuore, coraggio,

virtù repubblicane”. Educare il popolo nell’Italia in Rivoluzione (1796-1799), Torino, Tir-

coniato il termine e il concetto di opinione pubblica. Come avreb- be recitato di lì a qualche tempo Sebastiano Giraud, direttore del riaperto Collegio delle Province, se “la forza fu quella che stabilì da prima i Governi”, “per esercitare su loro stabile signoria, assai più della forza dovea giovare l’opinione, detta perciò da’ filosofi regina

del mondo”.15

Era, cioè, indispensabile costruire il consenso intorno al nuovo regime, educando l’opinione pubblica a sentire propria e ad apprezzare la Rivoluzione. In questo progetto di formazione rivo- luzionaria, la scuola non costituiva certamente lo strumento più facile e pronto da utilizzare, data la sua presenza tutt’altro che uniforme sul territorio e soprattutto la scarsa attrazione che essa tradizionalmente esercitava su ampie porzioni della popolazione. L’“utopia pedagogica rivoluzionaria”, che mirava alla completa rigenerazione della nazione piemontese e dei suoi abitanti, ambi- va a raggiungere tutti i cittadini, nessuno escluso, trasformando in momenti educativi tutti gli avvenimenti pubblici.16 Mettendo

in pratica le prescrizioni della più visionaria letteratura illumi- nista e seguendo il modello elaborato in Francia, anche in Pie- monte si cercò di utilizzare strumenti di semplice realizzazione e immediatezza, come la letteratura divulgativa di stampo repub- blicano (tra cui i catechismi, le canzoni, le stampe), le feste pubbli- che, le adunanze patriottiche e i discorsi intorno all’albero della libertà.

Non che la scuola non abbia sollecitato le riflessioni e i sogni di riforma dei repubblicani piemontesi, ma l’istruzione non rappre- sentò, almeno in questa fase, la loro principale preoccupazione. E soprattutto essi rivelarono di non possedere un preciso progetto politico e culturale, specialmente nei confronti dell’istruzione ele- mentare, quella che, forse, meno interessava alle élites che governa- rono il Piemonte negli anni della Rivoluzione, ma che, nello stesso tempo, la propaganda filo-francese indicava come l’ordine di scuo- la a cui andava rivolta la massima attenzione.

15. Discorso del cittadino Sebastiano Giraud, governatore del Collegio Nazionale del Pie-

monte e Membro del Consiglio di Pubblica istruzione, recitato nella solenne sua riapertura, il 10 piovoso anno 9, in “Anno patriotico. Varietà istruttive compilate dal cit. Ranza”, vol.

vii, germile 1801, p. 89.

Lo stesso atteggiamento venne conservato dopo la cacciata degli austro-russi, avvenuta in seguito alla vittoria di Marengo da parte di Bonaparte. Invece, la prima occupazione del Piemonte ad opera delle truppe francesi durò così poco, dal dicembre del 1798 al mag- gio del 1799, che fu di fatto impossibile mettere mano a un disegno organico di riforma. Tuttavia, è possibile cogliere gli orientamenti del governo provvisorio, analizzando le pur esigue iniziative che esso avviò nel corso della sua breve esistenza.

La settimana successiva alla partenza di Carlo Emanuele IV da Torino (il 15 dicembre 1798, 25 frimaio anno 7), il governo provvi- sorio installato da Joubert nella ex capitale sabauda proclamò uffi- cialmente la riapertura dell’Università e del Collegio delle Provin- ce. Si trattò di uno dei primi atti del nuovo governo, che dimostrò così sin dalle sue prime decisioni di voler abbracciare la convinzio- ne cara a Montesquieu e a buona parte dei philosophes, secondo cui l’istruzione avrebbe costituito il migliore antidoto alla tirannia. Il provvedimento che determinò la riapertura dell’Ateneo e del Prita- neo, il quale prendeva il posto del Collegio delle Province, venne presentato come il “primo dovere di un governo libero”, chiamato a “promuovere la propagazione dei lumi e l’avanzamento delle scienze e delle arti, come quelle [...] che ricondussero ai principi di libertà, virtù ed eguaglianza”.17

C’era senz’altro bisogno di marcare la differenza con il regime precedente, che “quasi mosso da un naturale istinto proprio della tirannide, la quale teme la luce che le scienze spargono per ogni dove, s’era indotto a chiudere” le più alte istituzioni formative dello Stato, con una scelta apertamente diffidente nei confronti della cultura.18Quello stesso regime in cui, come recitava il primo

proclama al popolo piemontese del governo provvisorio, “l’orgo- gliosa ignoranza era in trionfo”.19Nello stesso senso andava inter-

pretata la decisione di rendere ai librai le opere bloccate dalla cen-

17. Raccolta delle leggi, provvidenze e manifesti emanati dai governi francese e provviso-

rio e dalla municipalità di Torino, unitamente alle lettere pastorali del citt. Arciv. di Torino

(d’ora in poi Raccolta), Torino, colle stampe del cittadino Davico, vol. i, p. 25. 18. Rapporto del comitato degli affari interni riguardo all’organizzazione dell’Università

Nazionale e susseguente decreto del Governo Provvisorio, in Raccolta, vol. i, p. 166. 19. Il governo provvisorio al popolo piemontese, 20 frimaio anno 7 (10 dicembre 1798),

sura di Antico Regime. Per questo, ai primi di gennaio del 1799, il governo provvisorio emanò un “decreto con cui vengono re- stituiti à mercanti Librai i libri stati loro sequestrati dal cessa- to governo eccettuati quelli che sono contro i buoni costumi”.20

Inoltre, simbolicamente, i fondi appartenuti al Tribunale dell’In- quisizione, per altro quasi inattivo in Piemonte da lungo tempo, vennero assegnati proprio all’istruzione pubblica e all’Opera delle partorienti.21

Con la riapertura dell’Università e del Collegio delle Province, il nuovo governo intraprendeva pure l’opera di ricerca e di valorizza- zione delle possibili origini dello spirito rivoluzionario dei piemon- tesi, individuandole proprio nelle istituzioni che per prime avevano fatto le spese della politica contro-rivoluzionaria monarchica.

Non a caso, nell’introdurre il piano di riorganizzazione redatto dal Comitato degli affari interni, il 21 gennaio 1799 (3 piovoso anno 7), Baudisson chiedeva retoricamente: “E in vero non furon essi gli scienziati che prepararono da lungo tempo e sostennero ed a buon fine condussero la rivoluzion Francese?”. E rispondeva alla domanda affermando che “la nostra Università fu in questi ultimi tempi madre feconda di Repubblicani, i quali col loro coraggio e colla virtù fecero tremare i tiranni del Piemonte persino sul loro trono. Tutti i Repubblicani padri della Patria [...] sono suoi figli. S’annoverano fra i professori i più zelanti amici della libertà”.22

E ancora in una relazione spedita a Parigi da Torino dopo la parentesi austro-russa, il 9 vendemmiaio anno 9 (30 settembre 1801), ripercorrendo la storia del sistema scolastico piemontese, la scelta veniva spiegata con la motivazione che “les sciences et les arts étaient celles qui avaient reconduit aux principes de liberté, vertu et égalité, et que soit l’Université nationale de Turin, soit le collège de Provinces, fermés depuis plusieurs années par le despo- tisme, avaient infiniment contribué à exciter le merveilleux élan de la Nation Piémontaise vers la liberté”.23

20. ast, Corte, Carte di epoca francese, serie 1, mazzo 10, Istruzione Pubblica. Il decreto risale al 22 gennaio 1799 (3 piovoso anno 7).

21. Raccolta, vol. i, pp. 183-184.

22. Rapporto del comitato degli affari interni, cit., in Raccolta, vol. i, p. 167.

23. anp, Instruction publique, F/17/1603, Académie de Turin, Organisation de l’in-

Del resto, il governo provvisorio non perse mai occasione per ribadire il concetto, infarcendo tutti i decreti relativi all’istruzione con topoi inneggianti al ruolo delle scienze, dipinte come “salutare freno contro le usurpazioni dei tiranni”, il “più terribile flagello del dispotismo”, come ciò che aveva “sì efficacemente contribuito alle felici rivoluzioni de’ nostri tempi”.24

Che queste affermazioni fossero veritiere o meno non era, in realtà, importante: più rilevante era vantare almeno una generica parentela con quella che in Francia, sia nel campo rivoluzionario sia in quello contro-rivoluzionario, veniva indicata come la culla degli eventi dell’89: la cultura dei Lumi. La migliore testimonian- za di questo orientamento è costituita dal discorso tenuto in occa- sione dell’apertura dell’anno scolastico 1801-1802, dopo il rientro a Torino dei francesi in seguito alla vittoria di Marengo, dal profes- sor Luigi Tesia. Arringando gli studenti del collegio di Vercelli, Tesia li invitava a guardare “alla filosofia come ad un astro benefi- co, alla di cui influenza tutto si debba il risorgimento dell’umanità, e la nuova perfezione delle sue leggi fondate sui naturali diritti che all’uomo competono”.25 Sempre all’Illuminismo il professore ver-

cellese attribuiva la scelta del governo francese di esportare la liber- tà, in quanto “se la rivoluzione è sempre il termometro delle cogni- zioni di una Nazione, quando è diretta a regolare il patto di socie- tà, ed a ridonare alla legge l’impero che deriva dalla volontà e forza generale dei cittadini, non si può dubitare che l’attuale guerra debba essere riguardata dal canto dei Francesi come una operazio- ne impostagli da quella stessa filosofia, che loro intimò di sorgere e lanciarsi verso la propria rigenerazione”.26Per questo si sentiva in

diritto di invocare uno a uno Montesquieu, Raynal, Mably, Dide- rot, Rousseau, d’Alembert, per definirli “veri padri della patria”.27

Sebbene la propaganda in favore della diffusione dei lumi fosse di gran lunga superiore all’effettivo impegno rivolto alla scuola, è

24. Raccolta, vol. i, pp. 25, 168 e 287.

25. Disertazione (sic) del citt. Luigi Tesia professore di filosofia, per il principio dell’anno sco-

lastico nell’anno 9 repubblicano, letta dal medesimo il dì 22 frimaio nel Collegio delle Scuole Nazionali di Vercelli alla presenza del Commissario di Governo e della Municipalità, in

“Anno patriottico. Varietà istruttive continuate dal citt. L. Richeri”, vol. xi, pp. 17-51. La citazione è tratta dalle pp. 20-21.

26. Ivi, p. 25. 27. Ivi, pp. 28-29.

innegabile che nei confronti dell’istruzione, specialmente di quella superiore, il governo provvisorio abbia dimostrato un pronto e sin- cero interessamento, che si concretizzò prima di tutto nella riaper- tura dell’Università e del Collegio delle Province.

Poco più di un mese dopo, il 19 gennaio 1799 (29 nevoso anno 7), venne nominato direttore del Pritaneo Sebastiano Giraud, che andò a risiedere insieme con i convittori.28La nomina del nuovo diretto-

re non era un gesto politicamente insignificante: Giraud era, infat- ti, un repubblicano della primissima ora e incarnava una precisa scelta ideologica e politica. Medico, tra i più accesi seguaci del mesmerismo, socio assai attivo dell’Accademia di agricoltura dal 1785, fratello Eques a Serpente (per via del Caduceo, tradizionale emblema dell’arte medica) tra gli Illuminati di Baviera e anima della massoneria sabauda negli anni Settanta e Ottanta, era destinato a lasciare il segno nell’ormai secolare storia del Collegio delle Pro- vince, trasformato in Pritaneo nazionale sull’esempio francese.29

In primo luogo, poco dopo la sua nomina, Giraud riuscì nell’im- presa di trovare una nuova sede per il convitto, che si trasferì presso l’antico Collegio dei Nobili, fondato e diretto per secoli dai gesuiti.30

Il fatto che l’ex Illuminato Giraud subentrasse in nome del governo repubblicano alla Compagnia di Gesù nella direzione di quella che era stata la principale istituzione educativa, nonché uno dei simboli del potere dell’Ordine ignaziano, dovette probabilmente rappresenta- re la prova più lampante del complotto massonico agli occhi dei con- trorivoluzionari, avvertiti proprio in quel tempo dalle opere di fortu- nati apologeti dell’Ancien Régime, come Barruel, Bonald o Sauvage. In secondo luogo, fu anche grazie al contributo del medico pine- rolese che il governo fissò per legge modalità di selezione per l’in- gresso al Pritaneo almeno in linea di principio maggiormente demo- cratiche, non più basate sulla moralità religiosa e il latino, ma sull’in-

28. Sulle vicende della riapertura del Collegio delle Province durante la prima occupazione francese cfr. M. Roggero, Sapere e virtù, cit., pp. 180-182.

29. Sulla figura di Sebastiano Giraud (Pinerolo, 1735-Torino, 1803), ancora poco studiata ma certamente di straordinario interesse, cfr. oltre a M. Roggero, Il sapere e

la virtù, cit., pp. 180 e sgg., L. Guerci-V. Ferrone, François Amédée Doppet et l’état

moral, physique et politique de la maison de Savoie, in La Révolution française dans le duché de Savoie, Permanences et changements, Chambéry, a.d.u.s., 1989, pp. 43-63.

30. Raccolta, vol. i, pp. 193-194. Il provvedimento è datato 13 piovoso anno vii, (1° febbraio 1799).

gegno e sulle “virtù repubblicane”. Nello stesso tempo, i provvedi- menti del 1° febbraio 1799 (13 piovoso anno 7) introdussero per la prima volta il principio secondo cui “l’ignoranza della lingua latina non farà ostacolo a nissuno per essere ammesso”.31

Nei confronti dell’insegnamento universitario il governo provvi- sorio assunse provvedimenti parziali, ma dettati da un preciso orientamento politico e culturale. Gli interventi in materia dello studio superiore risalenti alla prima occupazione francese sono contenuti nel decreto del 21 gennaio 1799 (3 piovoso anno 7). La riforma nasceva consapevolmente incompleta, in quanto “per la brevità del tempo e per altre circostanze non ci sia permesso anco- ra di riformare intieramente e rifabbricare perfino dalle fondamen- ta l’edifizio dell’istruzion pubblica”.32

Essa sopprimeva la cancelleria ecclesiastica, il Magistrato della Riforma e i riformatori provinciali, attribuendone le competenze al Comitato degli affari interni.33La gestione del sistema scolastico

veniva affidata direttamente a un organo politico, che non era tenuto a possedere specifiche competenze in materia scolastica e formativa. Lo stesso provvedimento sancì la soppressione delle cat- tedre di teologia e la conservazione di quella di lingue orientali, cui sarebbe spettato il compito di dettare un trattato sulla libertà dei culti. Inoltre, fu eliminato l’insegnamento di anatomia chirurgica, per essere sostituito con anatomia medica e vennero fondate una cattedra d’ostetricia e una di chimica. Infine, fu concesso ai docen- ti dell’Ateneo di insegnare in italiano o in latino, tranne che per l’anatomia, per la quale era prescritto l’uso esclusivo dell’italiano. Meno incisiva si rivelò la politica delle autorità repubblicane in materia d’istruzione primaria e secondaria. L’unico intervento è rappresentato dal Progetto d’un piano d’organizzazione d’istruzione

pubblica presentato dal governo provvisorio nel mese di ventoso anno VII

(marzo-aprile 1798).34 Il Progetto prevedeva la distinzione tra 31. M. Roggero, Sapere e virtù, cit., pp. 182-183. L’8 aprile avvenne anche il primo concorso per quattro posti gratuiti per il corso di matematica, le uniche piazze allora libere (Raccolta, vol. ii, pp. 56-57).

32. Rapporto del Comitato degli affari interni, cit., in Raccolta, vol. i, p. 168. 33. Ibid.

34. Progetto d’un piano d’organizzazione d’istruzione pubblica presentato dal governo

provvisorio nel mese di ventoso anno VIIdella Repubblica, primo della libertà piemontese,

scuole primarie, volte alla formazione dei cittadini piemontesi, e scuole secondarie, dalle quali sarebbero usciti i futuri insegnanti, di cui il provvedimento lamentava l’assenza. Al fine di incentiva- re i genitori a iscrivervi i figli, le scuole prime miravano a fornire apprendimenti utili agli allievi, come lettura, scrittura e calcolo, ma anche elementi di morale repubblicana, diritti e doveri del- l’uomo, rudimenti di lingua italiana e francese ed economia rura- le e domestica. Sul sistema scolastico avrebbe, poi, dovuto veglia- re un magistrato della Pubblica Istruzione, con un rappresentan- te in ogni provincia.

La riforma non fu mai effettivamente messa in pratica e neppu- re lasciò importanti eredità per gli anni successivi, con l’eccezione dell’introduzione, tanto nei programmi delle superiori, quanto in quelli delle elementari, di una nuova e obbligatoria materia di stu- dio: l’educazione civica. Il 27 gennaio 1799 (8 piovoso anno 7), fu stabilita per legge l’adozione di un apposito manuale nelle scuole secondarie.35 Per le scuole di latinità (dalla quarta classe sino alla

filosofia) venne prescritto l’uso dell’Istruzione di un cittadino a’ suoi

fratelli meno instrutti di Melchiorre Cesarotti, ristampato a Torino

da Giovanni Antonio Ranza con l’aggiunta dei Diritti e doveri del-

l’uomo e del cittadino; con lo stesso provvedimento, la “proprietà”

del testo venne attribuita a Ranza per ripagarlo dei “tanti sacrifizi” patiti in favore della Rivoluzione.36

Significativa fu pure l’opera di controllo e di epurazione nei con- fronti degli insegnanti (specialmente di quelli secondari e universi- tari), di cui oggi è difficile documentare l’ampiezza e il rigore, ma che fu certamente messa in atto, come dimostrano le apologie spe-

35. Ivi, p. 182.

36. Sull’adozione del testo di Ranza/Cesarotti si insiste frequentemente nella corrispondenza tra il governo e le municipalità e le direzioni centrali (ex intenden- ze) (ast, Corte, Istruzione Pubblica, Università, serie i, mazzo 3, fascicolo 23). Sul- l’attività di Giovanni Antonio Ranza prima della Rivoluzione resta sempre utile la monografia di G. Roberti, Il cittadino Ranza, Ricerche documentate, Torino, Bocca, 1890. Su Ranza giacobino cfr. V. Criscuolo, Riforma religiosa e riforma politica in

Giovanni Antonio Ranza, in “Studi Storici”, xxx, 1989, pp. 825-872. Sulla sua atti- vità di divulgatore dei principi rivoluzionari vedi L. Guerci, “Mente, cuore, corag-

gio, virtù repubblicane”, cit., pp. 74-80, 253-272 e 501-518. Qualche notizia sulla

Tipografia patria è reperibile in E. Gorini, Vercelli nei libri e nelle stampe del Sette-

cento. Saggio storico-bibliografico con due appendici, Parma, Tipografia parmense,

dite al governo da insegnanti di tutto il Piemonte.37Il decreto del 3

piovoso, infatti, mentre eliminava il giuramento di fedeltà alla monarchia per gli studenti, sostituiva quello dei docenti con un’ap- posita formula repubblicana.

Non c’è dubbio che anche per il governo rivoluzionario, così come era stato per la monarchia, la prima preoccupazione formati- va sia stata eminentemente civica e politica, ovvero la formazione del cittadino. In Antico Regime, il buon suddito coincideva con il buon cristiano e la sua formazione era affidata in prevalenza ai valori della cultura cristiana. Ad essi la Rivoluzione sostituì la morale laica della Repubblica, i cui capisaldi erano i diritti dell’uo- mo, trasmessi attraverso i catechismi e la letteratura divulgativa.38

Pur animato da preoccupazioni analoghe a quelle del suo prede- cessore, il governo provvisorio poté avvalersi di un più preciso modello politico e ideologico di cittadinanza, al quale cercò di pie- gare ogni momento della vita pubblica.

Di qui, sull’esempio della Francia, l’uso della scuola di ogni ordi- ne e grado (compresa l’Università), dei catechismi, delle feste, delle adunanze patriottiche, dei discorsi intorno all’albero della libertà, quali strumenti di formazione dell’opinione pubblica.

Non a caso, il Rapporto del comitato degli affari interni che prece- deva la legge del 21 gennaio 1799, relativo agli studi superiori, sosteneva che un primo intervento di riorganizzazione dell’univer- sità era “tanto necessario per il buon costume e perché si possano rendere abili a giovare altrui nei molteplici doveri che all’uomo

37. Si veda a titolo d’esempio la lettera spedita da Ivrea a Torino, il 30 ottobre 1799, ad opera del consigliere municipale Mosca di Campo, per dimostrare, su invito dell’intendente conte Avogadro di Collombiano, che Francesco Martelli, prete e pro- fessore di teologia al locale collegio, doveva essere confermato nel suo impiego, in quanto sostenitore della Repubblica. Ad essa era allegato un Discorso recitato dal citta-

dino Francesco Martelli all’adunanza patriottica ed acclamato addì 20 nivoso anno 7 della Repubblica francese e primo della libertà piemontese, Ivrea nella stamperia di Ludovico

Franco stampatore municipale, s.d. ma 1799. ast, Corte, Carte di epoca francese, serie

ii, mazzo 43, Curiosità storiche, Carteggio di persone illustri.

38. Sui catechismi rivoluzionari italiani e piemontesi in particolare (tra cui, in par- ticolare, quello di Ranza/Cesarotti) cfr. L. Guerci, “Mente, cuore, coraggio”, cit.; Id.,

Istruire nelle verità repubblicane, La letteratura politica per il popolo nell’Italia in rivoluzione (1796-1799), Bologna, Il Mulino, 1999; sulle evoluzioni conosciute dal genere cate-

chistico negli ultimi decenni del Settecento cfr. A. Sandrier, Les catéchismes au temps