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Selezione scolastica e diffusione dell’istruzione

3 “Dipendenza” e autorità

4. Selezione scolastica e diffusione dell’istruzione

Sin dai tempi delle riforme di Vittorio Amedeo II, il Regno di Sardegna dimostrò di possedere una notevole consapevolezza circa l’importanza che la scuola e l’educazione avevano nella salvaguar- dia degli equilibri sociali dello Stato. Per questo, mantenne sempre un rigido controllo sull’accesso all’istruzione. Nell’opera di sele- zione dei sudditi degni di essere ammessi a studiare, la monarchia sabauda poté avvalersi, tra l’altro, dell’aiuto degli esperti di que- stioni educative, i quali non abbracciarono mai la causa della diffu- sione dell’alfabetizzazione. Infatti, ancora alla fine del Settecento, a differenza di quanto stava avvenendo in altre parti d’Europa, come in Austria, dove si cercava di estendere l’obbligo di istruzione, il Piemonte sabaudo continuò a interessarsi esclusivamente di scuola secondaria, trascurando quella elementare.

103. Ivi, pp. 64-65. 104. Ivi, pp. 67-68.

A farne le spese furono specialmente due categorie di cittadini, i ceti più poveri e le donne, per i quali le offerte formative rimasero ridottissime ben oltre la fine del secolo. Il Piemonte non era certo l’unico Stato europeo in cui esistevano preoccupazioni circa i rischi potenziali occasionati dalla diffusione dell’istruzione negli strati più bassi della popolazione. Un po’ in tutta Europa, infatti, sia tra gli Illu- ministi sia tra i loro avversari, era diffusa l’opinione secondo cui per- mettere alle persone più umili di studiare avrebbe potuto determina- re lo svuotamento delle campagne, la mancanza di manovalanza e il crescere delle tensioni sociali, ad opera di “spostati” non più disposti ad accettare il proprio ruolo all’interno della comunità.106

Si trattava di preoccupazioni destinate ad accompagnare la storia d’Italia e di molti Paesi europei ancora per buona parte dell’Otto- cento. Quindi, non deve stupire l’atteggiamento di chiusura riscon- trabile nel Piemonte della fine del Settecento nei confronti dell’allar- gamento dell’alfabetizzazione. Ciò che stupisce, però, è l’uniformità di vedute tra gli scrittori di questioni educative e il governo, nonché l’assenza quasi totale di voci contrarie alle posizioni ufficiali.

A partire da Gerdil, tutti coloro che si occuparono di istruzione si rivolsero esplicitamente ai ricchi. Per i poveri, quando contemplati, era prevista un’educazione funzionale alla conservazione degli equi- libri sociali. Il prelato savoiardo, ad esempio, criticava aspramente la scelta di Rousseau di occuparsi di un allievo nobile, e gli attribuiva un classismo ante-litteram; però, poi, proponeva non di ammettere a scuola i giovani meno agiati, ma di fornire loro un’educazione pret- tamente religiosa, necessaria a «leur apprendre et les convaincre intimement que la culture des terres et toute honnête occupation rend honorables ceux qui l’exercent, que le vice seul et la fainéanti- se dégradent l’homme et le rendent méprisable».107

106. Su questi temi cfr. H. Chisick, The Limits of the Reform in the Enlightenment:

Attitudes towards the Education of the Lower Classes in Eighteenth Century France, Prince-

ton N. J., Princeton University Press, 1981.

107. G.S. Gerdil, Réflexions, cit., p. 169. Mi preme notare che è probabilmente al giudizio di Gerdil che si deve la vulgata secondo cui Rousseau avrebbe scelto di occu- parsi nell’Emile di un allievo nobile, in quanto contrario all’educazione dei poveri. In realtà, il filosofo ginevrino sosteneva che l’educazione dei poveri è “forcée”, obbliga- ta dalle condizioni sociali in cui si trovano a vivere, mentre quella che viene normal- mente impartita a un ragazzo ricco “est celle qui lui convient le moins et pour lui- même et pour la société”. Educato secondo il suo metodo, quindi, egli sarebbe stato comunque “une victime arrachée au préjugé” (J.J. Rousseau, Emile, cit., livre i).

Allo stesso modo, Robbio di San Raffaele giustificava la scelta di occuparsi esclusivamente dell’educazione dei nobili sostenendo che “l’esempio e la condotta di questi sommamente influisce sopra i costumi della gente ordinaria. [...]. Oltracciò l’instituzion signorile, essendo più delle altre vasta, complicata, malagevole, la norma che serve per questa, diffalcandone sol ciò ch’ella ha di proprio, giove- rà a condurre a buon termine l’educazion delle classi inferiori. Chi sa fare il più saprà pur fare il meno”.108

Come si è detto lo Stato sabaudo si occupava tradizionalmente di istruzione secondaria e superiore. A finanziare le poche scuole a cui erano ammessi i non abbienti erano, infatti, quei comuni che erano disposti e soprattutto sufficientemente ricchi per permettersele o benefattori privati lungimiranti.

Le riforme amedeane avevano ulteriormente limitato le possibi- lità di accedere gratuitamente all’istruzione, in quanto avevano sot- tratto la gestione delle poche classi preparatorie ai gesuiti, i quali, invece, vi ammettevano anche i poveri in virtù dei vari finanzia- menti (comunali e di privati) che ricevevano. Il pagamento di somme anche modeste costituiva spesso un ostacolo davvero insor- montabile per famiglie che disponevano di risorse esigue e non erano troppo convinte dell’utilità dell’istruzione.

In ogni caso, oltre ai vincoli di natura economica, esistevano anche ostacoli giuridici all’accesso dei meno abbienti all’istruzio- ne. Le Costituzioni regolavano, infatti, rigidamente l’accesso a tutti gli ordini di scuola. Esse prescrivevano al Magistrato della Riforma di non permettere “che si dia matricola a quelle persone che essen- do di bassa condizione o povere, non saranno dotate di singolare ingegno”.109 Inoltre, in più occasioni il re si rivolse direttamente

alle autorità scolastiche, invitandole a non “lasciar avviare agli studi universitari scuolari vilmente nati o miserabili o sprovveduti di talento, perciò più atti all’esercizio d’arti e mestieri”.110

Le Costituzioni del 1729 si spingevano addirittura a prescrivere per legge i favoritismi in sede d’esame: “in tutti gli esami non si

108. L. Robbio diSanRaffaele, Della educazione continuata, cit., p. 5, nota. 109. Costituzioni, cit., p. 42.

110. Biglietto regio del 9 marzo 1761. L’invito fu ribadito con forza l’8 gennaio 1762 e il 18 luglio 1768 ai riformatori provinciali. Cfr. F.A. Duboin, Raccolta, cit., t. xiv, vol. xvi, l. viii, p. 1324 nota.

disapprova che si abbia un qualche moderato riguardo a coloro che, o per la nascita distinta non possono rimandarsi alle arti vili e mecaniche, o per l’età non possono restar più lungamente nella medesima scuola, avvertendo però che non se ne faccia un abuso massimamente nel primo passo alle regie scuole, o che non sieno discoli o scandalosi: che tali giovani, o sien cavalieri, o plebei, o poveri o ricchi, non debbono aver luogo in niuna scuola”.111

Quello etico veniva proposto, quindi, come il solo criterio di giu- dizio universalmente valido, di fronte al quale ricchi e poveri veni- vano considerati uguali. In effetti, se è vero che il controllo dello Stato sulla scuola si esercitava per mezzo dell’esclusione di ampie porzioni della popolazione dall’alfabetizzazione, è vero pure che la scuola sabauda si proponeva di formare uno spirito nazionale anche nella nobiltà, inquadrandola all’interno di un modello uniforme di suddito e di cittadino, funzionale alla monarchia. Non a caso, intor- no alla metà del secolo, Carlo Sebastiano Berardi, professore di diritto ecclesiastico, indicava nell’università, «dove concorre gran studio di gioventù di diverse province», l’istituzione in cui «lo spiri- to di nazione viene ispirato, nudrito, allevato e confermato colla educazione”. Le lezioni dei professori universitari dovevano essere considerate, secondo Berardi, “pressoché fundamentali al governo, il quale tende all’ampliamento, non che alla consistenza sua».112

Del progetto sociale e politico sotteso all’istruzione erogata dalle scuole sabaude, e specialmente dall’università, erano consci anche i

111. Costituzioni, 1729, titolo iv, De’ studenti, in Duboin, Raccolta, cit., t. xiv, vol.

xvi, l. viii, pp. 579-580.

112. C. S. Berardi, Idea del governo ecclesiastico, a cura di A. Bertola-L. Firpo, Torino, Giappichelli, 1963, p. 128. Idee non differenti circolavano in molti Stati euro- pei dell’epoca. Sul tema vedi B. Dooley, Social Control and the Italian Universities from

Renaissance to Illuminismo, in «The Journal of Modern History», 61, 1989, n° 2, pp. 205

e sgg.; P. Delpiano, Identità sabauda tra Cinquecento e Settecento, in M. Bellabarba- R. Stauber, a cura di, Identità territoriali e cultura politica nella prima età moderna, Atti

del Convegno, 10-12 aprile 1997, Istituto storico italo-germanico di Trento, Bologna, Il

Mulino, 1998, pp. 93-108. Ead., Come si crea lo spirito di nazione. Università ed educa-

zione dell’élite nel Piemonte del Settecento, in M. Cerruti-M. Corsi-B. Danna(a cura di), Alfieri e il suo tempo. Atti del Convegno internazionale, Torino-Asti, 29 novembre-1

dicembre 2001, Firenze, Olschki, 2003, pp. 55-88; Ead., Educare l’élite. L’università

sabauda nel Settecento, in G.P. Brizzi-J. Verger(a cura di), Le università minori in Euro-

pa (secoli XV-XIX). Convegno internazionale di studi, Alghero, 30 ottobre - 2 novembre 1996,

contemporanei: gli scritti educativi, come abbiamo visto, lo appro- vavano e si prodigavano per diffonderlo. Non è, quindi, tra gli spe- cialisti che vanno cercate voci dissonanti. L’unica presa di posizio- ne davvero alternativa, ispirata dalla volontà di non aderire al modello prevalente, fu quella di Vittorio Alfieri. Egli spiegò il suo rifiuto di accedere all’università e di accettare incarichi pubblici con l’appartenenza alla nobiltà, l’unico gruppo sociale ad avere conservato la libertà.113E attribuiva il merito della conservazione

di tale indipendenza proprio a “un’educazione non buona, cioè come l’abbiamo tutti nel nostro paese, giunta ad una libertà pre- matura, ed a’ viaggi forse in età troppo giovanile”.114Per questo, si

sentiva capace di «disvassallarsi» per vivere “libero e puro”.115

Anche a proposito della diffusione dell’alfabetizzazione sarebbe inutile cercare sostenitori tra gli esperti di questioni educative. Infatti, mentre tra quelli continuò a prevalere un atteggiamento élitario nei confronti dell’istruzione, qualche voce favorevole all’istruzione popolare si levò solo tra i non addetti ai lavori. Non si arrivò a proporre apertamente la creazione di scuole popolari più efficienti e adeguate ai bisogni di coloro che le frequentavano. Ci fu soltanto spazio per immaginare una formazione tecnica e profes- sionale per i contadini e gli operai, che permettesse di ridurre la miseria e di incrementare l’economia della nazione. Lo stesso valo- re dovevano assumere le innovazioni nelle pratiche di puericultura, di cui ci occuperemo in seguito, destinate a incrementare il nume- ro di braccia utili allo Stato e a ridurre la mortalità infantile.

Si trattava, quindi, di preoccupazioni perlopiù economiche, di stampo fisiocratico, che furono, tuttavia, importanti per introdurre anche in Piemonte la lotta all’analfabetismo. Esse trovarono ospitali- tà sulle riviste scientifiche e letterarie, come la “Biblioteca Oltremon- tana”, il “Giornale scientifico, letterario e delle arti” e i “Commenta- rii Bibliografici”, le quali, nel Regno di Sardegna della fine del

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secolo, costituirono uno straordinario strumento di discussione e di divulgazione delle più recenti innovazioni in ambito pedagogico.

113. V. Alfieri, Vita, a cura di G. Dossena, Torino, Einaudi, 1967, passim. 114. V. Alfieri, Lettera a Giacinto Cumiana Torino, scritta da Firenze nel settembre 1778, in V. Alfieri, Epistolario, a cura di L. Caretti, vol. i(1767-1788), Asti, Casa d’Alfieri, 1963, p. 64.

Proprio sui giornali, quindi, va ricostruito il modesto dibattito relativo all’istruzione e all’educazione, che avvenne perlopiù senza anatemi e senza diatribe, ma che attesta che anche tra i sudditi dei Savoia circolarono le idee e i metodi educativi e divulgativi in uso in Francia, in Austria e in Inghilterra, interessando non solo gli esperti, ma tutti coloro che avrebbero voluto vedere la cultura e la società beneficate dalle scoperte della scienza moderna.116Esso si

concentrò su temi apparentemente innocui e ormai accettati, i quali, però, sottendevano modelli di società e di opinione pubblica innovativi.

Tra il 1787 e il 1789, fu soprattutto la “Biblioteca Oltremontana” a interessarsi alle questioni dell’istruzione popolare e dell’educazio- ne, dando contemporaneamente grande rilievo alla puericultura. Capisaldi del periodico, che era un’emanazione della Accademia Filopatria, e faceva capo a Giambattista e Francesco Dalmazzo Vasco, furono l’ostinata difesa della scuola di Stato, la presentazione dettagliata di tutte le novità didattiche che potevano contribuire ad aggiornare i metodi d’insegnamento e la riflessione sulle proposte educative che vedevano la luce tanto in Italia quanto all’estero.117

Tra 1787 e 1788, il più giovane dei Vasco e Felice di San Marti- no della Motta, più ancora di Francesco Dalmazzo Vasco, dimo- strarono grande attenzione per l’istruzione della popolazione delle campagne, manifestando una sensibilità molto prossima a quella dei fisiocrati francesi, di cui condividevano in gran parte anche le idee in campo economico e sociale. Sino alla fine del 1788, quando i primi contraccolpi degli eventi di Francia determinarono l’allon-

116. Sull’istruzione popolare vedi F. Furet-J. Ozouf, Lire et écrire. L’alphabétisation

des Français de Calvin à Jules Ferry, Minuit, Paris, 1977, oltre a M. Roggero, L’alfabe-

to conquistato, Apprendere e insegnare nell’Italia tra Sette e Ottocento, Il Mulino, Bologna,

1999. Per il Piemonte cfr. M.R. Duglio, Alfabetismo e società a Torino nel XVIIIsecolo, in

“Quaderni storici”, 6, 1971, n° 17, pp. 485-509.

117. Sul rapporto tra accademie letterarie e scientifiche e i giornali che vennero pubblicati a Torino tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta vedi i saggi raccolti da G. Ricuperatiin I volti della pubblica felicità, Storiografia e politica nel Pie-

monte settecentesco, Torino, A. Meynier, 1989, specialmente le pp. 219-236. Imprescin-

dibili, nonostante la lettura ideologica deformante, restano le tre monografie che Carlo Calcaterra consacrò alla storia piemontese di fine Settecento, ovvero: C. Cal- caterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino, sei, 1925; Id., I Filopatridi, cit.; e Id., Le adunanze della “Patria società letteraria”, Torino, sei, 1943.

tanamento forzato dalla “Biblioteca Oltremontana” dei fratelli Vasco e quello volontario di San Martino, numerosi furono gli arti- coli consacrati a opere divulgative e di educazione popolare.

Proprio nell’articolo che chiuse l’anno 1788, San Martino pro- nunciò il proprio addio alla rivista con una recensione delle Osser-

vazioni intorno alla coltivazione del canape nel basso Monferrato del

conte Nuvolone di Scandaluzza, l’uomo che nel giro di qualche anno sarebbe divenuto l’anima della Società agraria. In una sorta di testamento spirituale, San Martino elogiava l’opera, esprimendo l’augurio che “simili scritti adattati alla capacità dei contadini s’an- dassero pubblicando sopra le diverse parti dell’agricoltura, e sareb- be degna opera dei parrochi, come già altra volta ho detto, il farli leggere, e spiegarli ai loro paesani”.118

Quindi, proponeva di creare “una società di persone instrutte nelle scienze” che redigesse brevi e semplici trattati inerenti alle pratiche agricole, “scritte in quell’italianaccio dei villani, cioè con parole piemontesi terminanti all’italiana, acciò senza difficoltà fos- sero da tutti intese”. Questi sarebbero poi stati raccolti “in una col- lana che potrebbe avere per titolo Libreria dei paesani o Istruzioni

agli agricoltori”, ed essere in parte venduti per associazione al fine di

sostenere i costi, “sebbene lo spirito di patriottismo debolmente finora tra noi alligni”, in parte distribuiti gratuitamente ai “lettera- ti dei diversi luoghi, ed ai maestri di scuola, i quali farebbero legge- re ai fanciulli questi volumetti in vece dell’inutile Donato, Nuovo

Metodo ecc.”.119

I redattori della “Biblioteca Oltremontana” avevano un’idea molto raffinata di istruzione popolare e di divulgazione. Essi erano consapevoli del fatto che scrivere in modo semplice o distribuire gratuitamente i libri non erano mezzi sufficienti a garantire la com- prensione da parte dei destinatari. Il problema di quale fosse il metodo migliore per diffondere saperi tecnici tra gli abitanti delle

118. Cfr. “Biblioteca Oltremontana”, 1788, t. xii, p. 314. San Martino recensiva Nuvolone di Scandaluzza, Osservazioni intorno alla coltivazione del canape nel basso Mon-

ferrato, Torino, Briolo, 1788.

119. Ivi, pp. 314-317. San Martino concludeva l’articolo proclamando che l’effet- tiva realizzazione di tale progetto “riempirà l’animo mio di consolazione, e sarò da queste ultime linee che scrivo per questa Biblioteca, abbondantemente ricompensato del tempo da me per due anni impiegato nel lavorare per la medesima” (p. 318).

campagne aveva scatenato accesi dibattiti all’interno delle Sociétés

d’agriculture francesi, dove si erano scontrate le teorie divulgative

dei fisiocrati, interessati non solo alla formazione professionale del popolo delle campagne, ma anche a una più generale alfabetizza- zione, con l’interesse degli agronomi per la formazione professio- nale dei contadini.

Sulla necessità di affinare i metodi della divulgazione insisteva, per esempio, Giambattista Vasco recensendo la riedizione dei Prin-

cipes sur l’art des accouchements del famoso chirurgo ostetrico Jean-

Louis Baudelocque.120Il libro di Baudelocque era nato con l’inten-

to di offrire a mammane e levatrici un compendio di ostetricia e aveva l’impostazione caratteristica del catechismo. Vasco criticava la scelta del dialogo, sostenendo che “tale forma è stata da tempo antico adottata per tutte le istruzioni date ai ragazzi ed alle perso- ne idiote, ma dubito assai che questa forma abbia contribuito non poco al cattivo esito di quelle istruzioni”.

Il catechismo si era rivelato inadeguato, in quanto l’idea su cui poggiava era “che si dovesse nei fanciulli esercitare la memoria più che l’ingegno”. Per questo, “non dobbiamo più adunque meravi- gliarsi che si trovino nell’adolescenza più ignoranti e più stupidi quei fanciulli che comparvero i meglio istruiti”. Se si fosse adotta- to il metodo dialogico anche per istruire le ostetriche, Vasco si diceva certo che “la stessa cosa dovrebbe naturalmente accade- re alle persone idiote, e particolarmente alle ostetrici (sic)”, che “impareranno esse a recitare materialmente la risposta adattata nel libro ad una tale interrogazione”, ma se “voltate l’interrogazione in altra forma, non ci intenderanno più nulla”. Secondo l’articoli- sta, sarebbe stato “meglio adunque istruire le donne destinate a questa importantissima professione con buoni trattati metodici, come si farebbe per dare ogni altra sorte di lezioni di fisica, di medicina, di pittura, e non avvezzarle ad una materiale ripetizione di parole, di cui forse ben non intendano il senso”.121Nel comples-

so, l’attenzione per le tematiche della puericultura e dell’istruzione agraria continuò a caratterizzare la rivista anche quando, nel 1790,

120. Come precisava l’articolo, si trattava di una riedizione illegittima dell’opera di J.L. Baudelocque, Principes sur l’art des accouchements, Paris, chez Didot le jeune, 1775. La ristampa era stata curata da Dufot nel 1787.

essa passò sotto la direzione di Gian Francesco Galeani Napione, cambiando orientamento.

Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta furono piut- tosto il “Giornale scientifico, letterario e delle arti” e i “Commenta- rii Bibliografici” a raccogliere e a diffondere le posizioni già sostenu- te in campo educativo e pedagogico dalla “Biblioteca Oltremonta- na”. Animatori e principali autori delle due riviste furono il medico Carlo Stefano Giulio, che aveva fatto parte della redazione della “Biblioteca Oltremontana” nel 1787, e il chimico di fama interna- zionale Giovanni Antonio Giobert, i quali si avvalsero della collabo- razione di alcuni membri della Società reale d’agricoltura di Torino e dell’Accademia delle Scienze.

Alla guida del “Giornale scientifico, letterario e delle arti”,122che

ebbe vita breve, dato che terminò le pubblicazioni dopo meno di due anni, nell’ottobre del 1790, Giulio e Giobert vennero affianca- ti dal matematico Ignazio Michelotti e dal poeta e membro della Patria Società Letteraria Evasio Leone; Michelotti fece parte della redazione, insieme con Carlo Botta, anche dei “Commentarii Bibliografici”, che uscirono nel solo anno 1792.123 La volontà di

Giulio e di Giobert di garantire alla propria attività divulgativa una vocazione eminentemente scientifica, che non fosse compromessa nelle questioni politiche allora così drammatiche e impellenti, è testimoniata dalla decisione di chiudere il “Giornale scientifico, letterario e delle arti” nel 1790, come risposta alla Filopatria, che intendeva imporre alla rivista un carattere più militante.

Una più spiccata militanza sembrarono assumerla volutamente qualche anno più tardi i “Commentarii bibliografici”, che videro la luce nel 1792, proprio nel momento in cui divennero evidenti le dif- ficoltà in cui versava la Società agraria di Torino. Esse erano causate dalla frattura ormai insanabile tra i nobili che ne facevano parte sin dalla fondazione, e che fino a quel momento avevano svolto la fun-

122. Sul “Giornale” di Giulio e Giobert cfr. P. Delpiano, Per una storia della divul-

gazione scientifica nel Piemonte del Settecento: il “Giornale scientifico, letterario e delle arti” (1789-1790), in “Rivista Storica Italiana”, 1995, 1, pp. 29-67.

123. Dettagliate notizie sui “Commentarii Bibliografici” e sugli altri periodici scientifici editi nel nord Italia alla fine del Settecento cfr. P. Delpiano, I periodici scien-

tifici nel Nord Italia alla fine del Settecento: studi e ipotesi di ricerca, in “Studi Storici”,

zione di mecenati e di garanti nei confronti delle autorità, e gli ele-