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Capitolo 4. UN PIANO INTEGRATO DELLA

4.2. Limiti del modello integrato di programmazione della

analisi

Il modello di piano integrato, oltre agli aspetti positivi appena descritti, presenta alcuni limiti, la cui trattazione è necessaria per poter avere un quadro generale completo.

In primo luogo si registra un disallineamento delle tempistiche del ciclo di programmazione. Tra l’approvazione del Piano della Performance e del

Documento Unico di Programmazione trascorre un intervallo di 6 mesi. Infatti il piano della performance, ai sensi del decreto Brunetta, deve essere adottato entro il 31 gennaio di ogni anno (D.lgs. 150/09, art. 10, a), mentre, il DUP deve essere redatto entro il 31 luglio (principio contabile applicato alla programmazione in vigore dal 2016). A questo occorre aggiungere che la predisposizione del Piano Esecutivo di Gestione è fortemente collegata all’approvazione del bilancio preventivo. Infatti l’approvazione del bilancio è indispensabile per quella del PEG, che solitamente inizia contestualmente alla discussione sul bilancio concludendosi nel periodo immediatamente successivo. Questo disallineamento può complicare ulteriormente l’adozione di un piano della performance integrato con gli altri documenti di programmazione. Gli enti locali all’approvazione del DUP, entro il 31 luglio, devono avere conoscenza, almeno in termini generali, dei riflessi in termini di politiche di bilancio, della visione e degli obiettivi strategici di programmazione, ma essendo l’adozione del bilancio prevista entro fine anno questa conoscenza anticipata risulta essere difficile o comunque con un elevato grado di incertezza e imprecisione. È evidente quindi che il termine previsto per la deliberazione del DUP (ovvero il 31 luglio) non può essere il riferimento temporale ideale per l’approvazione del piano della performance precedentemente descritto.

Questa problematica non è nuova ma è già stata sollevata all’attenzione del governo centrale, il quale ha previsto delle deroghe di approvazione del DUP nel periodo di sperimentazione della disciplina di armonizzazione contabile, comprensiva anche della revisione del ciclo di programmazione. In questo senso il termine di approvazione del DUP per l’anno 2016 è stato differito al 31 ottobre 2015 con apposito decreto39, ma tale possibilità, salvo novità non dovrebbe essere più possibile. Nella complessivo sistema di programmazione di bilancio risultante a seguito degli interventi legislativi del 2011, è stato inoltre prevista la possibilità

39 Ministero dell’Interno Decreto del 3 luglio 2015 “Differimento dal 31 luglio al 31 ottobre 2015 del termine di presentazione del Documento unico di programmazione (D.U.P.) degli enti locali. Gazzetta Ufficiale 15A05288 (GU Serie Generale n.157 del 9-7-2015)

(stabilmente e non come deroga), per gli enti locali di predisporre una nota di aggiornamento del DUP entro il 15 novembre di ogni anno. Tale termine, risultata essere il medesimo previsto anche per la presentazione dello schema del bilancio di previsione da parte della giunta. Inoltre sono stati raddoppiati anche i giorni a disposizione dell’approvazione del PEG, che da 10 sono stati portati a 20 giorni dalla data di approvazione del bilancio. Nel principio contabile applicato alla programmazione, questo termine vale anche per l’approvazione dei piani delle performance.

In virtù di questo, si ritiene utile e necessario adattare il modello di piano della performance integrato a queste necessità temporali, sostituendo il riferimenti al Documento Unico di Programmazione con la nota di aggiornamento al DUP, potendo in questo modo disporre di informazioni più complete e precise da traslare nella sezione introduttiva e strategica del piano della performance e poter alimentare in maniera più realistica la sezione operativa che troverà traduzione poi nel PEG.

Un secondo aspetto, che necessita un approfondimento, risiede nel rischio di recepimento del piano della performance da parte delle

amministrazioni locali, come l’ennesimo adempimento che si va a sommare al consistente e complicato insieme di disposizioni, adempimenti e norme a cui gli enti devono rispondere. Inoltre le norme che regolano e hanno le loro ricadute sulle dinamiche di gestione degli enti territoriali sono sempre più frequentemente oggetto, delle politiche governative di tagli, razionamenti delle risorse ed interventi vari. Interventi e cambiamenti normativi che spesso si registrano non solo al mutare delle compagini governative ma anche dall’approvazione di una legge di stabilità all’altra, evidenziando una sempre maggiore difficoltà di programmazione a medio-lungo termine ed incapacità di mettere in atto politiche che siano guidate da visioni più ampie.

Il rischio di recepimento da parte degli enti locali del piano della performance solamente come mero adempimento formale è molto rilevante in quanto, non solo condiziona gli enti in termini di tempo e di risorse economiche ed umane da dedicare allo sviluppo di questo strumento, ma mette in secondo piano l’aspetto sostanziale di utilità dello stesso nella programmazione e gestione

della performance. Questo aspetto è un’ipotesi non è da sottovalutare, in quanto già in passato si sono registrati casi simili, in cui strumenti previsti dalla legge, molto utili e sensati nella loro concezione teorica, non si sono tradotti nella pratica, perché semplicemente non adottati, nel generale disinteresse del legislatore locale e nazionale. Un esempio in tal senso è rappresentato dal piano generale di sviluppo adottato da pochissimi enti che spesso lo approvavano solo perché previsto dalla legge40, svuotandolo di significato, senza quindi cogliere l’occasione di ottenere una più efficiente ed efficace programmazione e gestione.

A tale inconveniente difficilmente è possibile porre rimedio con una soluzione tecnica. La possibile soluzione risiede nella i) volontà politica e lungimiranza degli amministratori,ii) nelle competenze interne ed esterne coinvolte nella predisposizione di questi strumenti e quindi iii) nella capacità di renderli efficaci ed utili nella pratica e non solo sulla carta. A tal proposito una funzione fondamentale viene svolta anche dalla volontà e dalla capacità che le amministrazioni hanno di coinvolgere i propri stakeholders nella discussione sulle priorità strategiche da realizzare e quindi dalla volontà di apertura alla partecipazione e alla gestione partecipata41. Un altro elemento importassimo inoltre risiede nel livello di formazione degli amministratori e dei funzionari degli enti. Una classe politica ed amministrativa ben formata e consapevole, che possiede le competenze in merito agli strumenti pensati dal legislatore e alle modalità di utilizzo degli stessi è maggiormente in grado di riconoscerne l’utilità e la sua ricaduta pratica e di diffondere questa cultura all’interno del proprio ente.

Un ulteriore aspetto su cui riflettere è rappresentato dai sistemi informativi utilizzati dagli enti locali per la predisposizione dei propri strumenti

di programmazione e controllo e dalla modalità di comunicazione interna ed esterna di tali informazioni.

40D.Lgs 170/2006. “Ricognizione dei principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, a norma dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131” art. 13, comma 3. 41 Ovviamente resta poi in capo agli amministratori la funzione di decisioni e messa in pratica delle politiche per la realizzazione degli obiettivi strategici definiti in fase di pianificazione e programmazione.

I sistemi informativi, come insieme ordinato di elementi che rilevano, scambiano e archiviano dati allo scopo di produrre, distribuire informazioni nel momento e nel luogo in cui se ne manifesta il bisogno (Camussone, 1998 citato in Marchi, 2003), sono sistemi fondamentali per la gestione degli obiettivi e delle informazioni (Marchi, 2003) e risultano essere sempre di più un importantissimo aspetto di cui tenere conto anche nell’ambito della programmazione e gestione della performance degli enti locali. Tali sistemi devono rappresentare un elemento a supporto della gestione per gli enti, che, tramite anche l’utilizzo della tecnologia, possono e devono utilizzarli sia internamente, per una sempre maggiore integrazione, condivisione e gestione dell’informazioni tra i vari settori, servizi, uffici, centri di costi e di responsabilità, sia esternamente, come mezzo di comunicazione verso l’esterno sulla performance e i risultati dell’ente.

La trasparenza dell’informazione è quindi fondamentale, soprattutto anche a seguito della crisi economica che ha aumentato i bisogni informativi dei cittadini, enfatizzando la necessità di render conto e di rispondere sull’uso delle risorse pubbliche da parte delle amministrazioni pubbliche (Nisio, De Carolis, Losurdo, 2013). La conoscenza dell’utilizzo delle informazioni di performance risulta quindi un fattore chiave per la comprensione e il miglioramento della gestione della performance stessa nella pratica amministrativa (Hammerschmid, Van de Walle, Stimac 2013). Gli amministratori locali si trovano sempre più a doversi misurare con le problematiche non solo di pianificazione, di misurazione e gestione corretta della propria performance ma anche, di adozione delle soluzioni più adeguate alla propria realtà di comunicazione interna ed esterna di tale performance. In questo senso le tecniche di ICT ricoprono una crescente rilevanza nei cambiamenti dei sistemi informativi, e nelle dimensioni organizzative, relazionali e culturali della settore pubblico italiano (Anselmi, Capocchi, Lazzini, 2001), incrementando l’efficienza e la trasparenza, e migliorando l’accountability nelle procedure e nella gestione della pubblica amministrazione (Dunleavy et al., 2005, Gupta et al., 2008, Heeks, 2002, citati in Cordella, Iannacci, 2010), in risposta anche ai principi fondanti la dottrina del NPM.

I sistemi informativi che utilizzano tecniche di ICT nei processi di gestione pubblica, dalla programmazione, alla misurazione, gestione ed infine

rendicontazione della performance, devono contribuire a migliorare tali procedure (Kueng, Meier, Wettstein, 2001), tramite l’utilizzo di internet (Mussari e Steccolini, 2006)e delle tecnologie informatiche.

Con riguardo al nostro modello, è stato pensato per poter essere sviluppato senza l’obbligo da parte dell’ente locale di possedere complicate infrastrutture tecnologiche e per poter essere adattato ai diversi sistemi già in uso, dal semplice foglio di calcolo, ai più sofisticati sistemi di ICT e business intelligence. Ogni ente deve poter gestire in maniera integrata le informazioni e i dati che alimentano e derivano dal proprio piano della performance, secondo le proprie risorse e competenze a disposizione e per questo si è scelto volutamente di presentare le schede componenti il piano a titolo di esemplificazione. Ciò che risulta essere importante ad avviso di chi scrive, non è tanto la forma che gli enti conferiscono a tali schede sintetiche ma le informazioni che decidono di inserirvi e rilevare.

Un ulteriore elemento ed importantissimo elemento di riflessione

riguarda le modalità di conciliazione tra il sistema di programmazione degli

enti locali, che prevede una forte autonomia degli enti stessi, con una nuova tendenza ad accentrare le funzioni e le responsabilità da parte dei governi.

Tale tendenza al un processo di accentramento caratterizza l’impianto dell’armonizzazione contabile deliberato nel 2011. L’obiettivo fondamentale dell’armonizzazione contabile deve essere quello di “rendere i bilanci pubblici

omogenei e confrontabili” (Pozzoli, Mazzotta, 2012, p.71). In Italia, questo

obiettivo risulta essere molto faticoso da mettere in pratica alla luce delle forte differenze tra sistemi contabili e di bilancio dei vari livelli di governo nazionale, regionale e locale, ma anche con le contabilità delle altre aziende pubbliche. Il processo di armonizzazione non è nuovo ma è stato già preso in considerazione all’inizio degli anni ‘90, periodo in cui si sono registrati i primi profondi interventi in materia di pubblica amministrazione locale, in cui si sono sviluppate sia logiche autonomiste che centralistiche (Giovannelli, 2013). Il concetto di autonomia locale e decentramento amministrativo (Rebora, 1990, 1999, Valotti, 1991, Borgonovi, 1991, 2006) in realtà si riscontra già a fine anni ‘70 in sede di attribuzione delle funzioni alle regioni (d.P.R. n 616/77) istituite nel 1970 (Giovannelli, 2013, Borgonovi, 2000), anche se il riconoscimento della necessità

di autonomia locale si ha con la disciplina dell’ordinamento sulle autonomia locali avvenuta con la legge 142/90. Autonomia significa “poter decidere con ampi

margini di discrezionalità nel rispetto dei vincoli legislativi, morali e sociali”

(Masini, 1970, Brunetti, 1994 citati in Giovannelli, 2013, p. 295). Per le pubbliche amministrazioni l’attitudine a perdurare come entità autonome è collegato non solo alla capacità di rigenerare le proprie condizioni operative (economicità), ma anche dal manifestarsi di un comportamento autorizzativo, che se è sempre realizzabile nella teoria, nella pratica si scontra con la valutazione sulla pressione tributaria sopportabile dal sistema socio-economico (Giovanelli, 2013).

Il concetto di autonomia locale è un concetto multidimensionale. Dal punto di vista oggettivo si estrinseca nella potestà normativa e nell’esercizio di azioni amministrative orientate al raggiungimento di finalità e interessi del soggetto titolare di tale autonomia (Rebora, 1999), ma nella pratica l’autonomia gestionale degli enti si esprime in autonomia decisionale, comprendendo non solo l’aspetto statutario e regolamentare, ma anche l’autonomia organizzativa, normativa e amministrava, ed infime autonomia impositiva e finanziaria42. Il principio di autonomia decisionale implica il dovere da parte degli enti di rispondere degli esiti conseguiti con le risorse prelevate alla propria collettività (principio di responsabilità) (Borgonovi, 1991, 1995, Anselmi, 1995, Hood, 1991) e di rendicontarli (principio di rendicontazione), nonché di implementare meccanismi di valutazione della performance (principio di valutazione) (Giovanelli, 2013). Queste principi sono stati rafforzati dalla riforma del titolo V della costituzione nel 2001 e dai successivi interventi in materia di federalismo fiscale. Il moltiplicarsi di soggetti pubblici e privati chiamati a rispondere alle esigenze della collettività e ai mutamenti socio-economici hanno contribuito ad un incremento della spesa pubblica, che ha comportato una sempre maggior carenza di risorse a tutti i livelli di governo, accentuata con la crisi economica. Tale scarsità di risorse affiancata al proliferarsi di interventi in materia di autonomie

42 Per approfondimenti in merito Rebora (1999) Un decennio di riforme. Nuovi modelli organizzativi e processi di cambiamento delle amministrazioni pubbliche (1990-1999). Economia e istituzioni. - Milano : Guerini.

locali da parti del governo centrale ha di fatto indebolito fortemente l’impianto stesso su cui si basavano i concetti di autonomia e decentramento amministrativo. L’armonizzazione contabile è cronologicamente l’ultimo intervento in materia di autonomie locali, che in Italia è stato recepito come tentativo di uniformare gli obiettivi di finanza pubblica, tramite l’adozione di sistemi contabili uniformi e confrontabili. Tali interventi hanno ulteriormente compresso l’autonomia impositiva e finanziaria degli enti locali, già ridimensionata con le politiche di tagli delle risorse, soprattutto a seguito della crisi economica di fine 2007, ma anche l’autonomia organizzativa, e decisionale, con lo spostamento di competenze dagli enti locali allo stato centrale. L’armonizzazione dei bilanci pubblici è un esempio di materia trasferita dalla legislazione concorrente alla legislazione esclusiva dello stato43 (Giovanelli, 2013). In termini di programmazione, il tentativo è stato quello di semplificazione del contesto, ma come già evidenziato nei capitoli precedenti in realtà si sono aggiunte nuove disposizioni senza una riflessione più ampia per un ripensamento generale dell’intero impianto delle autonomie locali che, anche a seguito dei più recenti interventi in materia di province (cosidetta Legge Delrio44) e ancor di più, della revisione costituzionale45 si ritiene sempre più necessario.

In conclusione è necessario affermare come il modello di piano della performance sia uno strumento di programmazione che dovrebbe fungere da utile punto di partenza per la misurazione e gestione della performance. In questo senso sarebbe utile provvedere anche alla definizione specifica di un documento di

43 Tramite la legge costituzionale 1/2012, la quale ha tradotto nella costituzione italiana i principi del Fiscal Compact sottoscritto sul piano europeo, sancendo tra l’altro anche il principio di equilibrio tra entrate ed uscite per i bilanci pubblici, disciplinato poi dalla legge 243/2012 “Disposizioni per l’attuazione del principio di pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma della Costituzione”

44

LEGGE 7 aprile 2014, n. 56 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”.

45 Disegno di Legge Costituzionale n.2613-D “Disposizioni per il superamento del bicameralismo

paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”

rendicontazione che vada oltre quanto previsto dal decreto 150/09 e dalla delibera Civit, in quanto il contesto normativo e reale della pubblica amministrazione locale ha già subito cambiamenti. A questo scopo nell’appendice che segue, come già anticipato precedentemente, è stato illustrata una prima bozza di quelli che possono essere i contenuti (senza scendere nello specifico) di un documento consuntivo della performance, includendo il tema dei controlli interni, modificati con il D.L. 174/2012 e la relativa legge di conversione.

È inoltre necessario specificare nuovamente come il modello di piano della performance descritto e analizzata, sia un’ipotesi teorica semplificata al massimo, per la quale si ritiene sia utile un riscontro nella pratica, partendo da enti con una dimensione organizzativa limitata nella dimensioni e nella complessità e che potrebbero meglio prestarsi alla sperimentazione, rispetto ad enti di maggiori dimensioni in cui le prassi, gli strumenti e i processi sono maggiormente consolidati e più complicati, le cui eventuali modifiche richiederebbero un maggiore sforzo in termini di investimento di risorse finanziarie, umane e strumentali. L’ente di piccole dimensioni ha certamente difficoltà di reperire risorse finanziarie per poter investire in formazione e realizzazione di progetti di miglioramento organizzativo rispetto ad un ente più grande, ma essendo dotato di un grado di complessità organizzativa inferiore potrebbe ovviare a tale inconveniente associandosi con altre amministrazioni simili che abbiamo la medesima volontà e scarsità di risorse da investire.

Infine è importante sottolineare come sia fondamentale che la programmazione e gestione integrata della performance amministrativa funga da fonte di un’attività di comunicazione, interna ed esterna, integrata ed efficace.

Appendice A. La relazione sulla performance in un’ottica

integrata

Figura A.1. Contenuti della relazione della perfomance seconda la Delibera Civit 5/2010

Fonte: Delibera Civit n.5/2010 Linee guida, relative alla struttura e alla modalità di redazione della Relazione sulla performance di cui all’art. 10, comma 1, lettera b), dello stesso decreto”

Figura A.2. Ipotesi struttura relazione sulla performance integrata con i controlli interni a seguito dell’approvazione del D.L.174/2012

Appendice B1. Esempi di indicatori utilizzabili per l’analisi

strategica

Figura B.1. Esempi di indicatori di contesto esterno

Fonte:elaborazione personale

Figura B.2. Esempi di indicatori per la valutazione dello stato di salute finanziaria ente

Fonte; , Padovani, E. Manuzzi, E., Il rating di salute finanziaria dei comuni e delle loro partecipate, Azienditalia n. 10/2011, pp.725-736.

Figura B.3. Esempi di indicatori per la valutazione dello stato di salute finanziaria organismi partecipati

Fonte; , Padovani, E. Manuzzi, E., Il rating di salute finanziaria dei comuni e delle loro partecipate, Azienditalia n. 10/2011, pp.725-736.

Figura B.4. Esempi di indicatori di salute organizzativa

Fonte: Davide Galli (a cura di). Manuale. Il ciclo della performance nei comuni. Ebook 2013 Figura B.5. Esempi di indicatori di salute delle relazioni

Appendice B2. Esempi di indicatori utilizzabili nel portafoglio

servizi e attività

Figura B.6. Esempi di indicatori di qualità, quantità, efficienza ed efficacia

Riferimenti Bibliografici

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