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Per quanto concerne la dimensione culturale, è necessario un cambiamento di tutta la società civile. Ciò che emerge è che deve cambiare lo sguardo delle Istituzioni e del mondo degli adulti sui giovani, sui quali bisogna investire e credere. Anche la cultura del ‘fare scuola’ ha bisogno di un cambiamento; la è

Sistema di orientamento e accompagnamento Long Life ISTITUZIONALE - Normativo - Strutturale - didattico PROFESSIONALE - Formazione - Competenze o skills - Consapevolezza ruolo RELAZIONALE - Capacità di comunicazione - Capacità di relazione SOGGETTIVO - Valori - Aspettative  

LIVELLO CULTURALE

cogente rendere alla scuola il ruolo che le compete a patto che questa esca dalle sue stanze e inizi a dialogare efficacemente con il mondo esterno nel quale i ragazzi vivono e da cui devono partire per costruire il proprio futuro, il proprio progetto di vita caratterizzato sempre più da flessibilità, autonomia e intraprendenza e le cui basi dovrebbero essere poste proprio nella scuola, a partire dai primissimi anni di vita.

Per fare questo c’è bisogno dell’impegno, della collaborazione e delle competenze di tutti.

Se si vuole mettere al centro lo studente, coinvolgerlo, offrirgli una possibilità di crescita e di formazione alla vita ci sarà bisogno di apertura, collaborazione con le expertise delle famiglie, del mondo del professionismo, e degli enti pubblici e privati.

Si impone per la società del terzo millennio un cambiamento radicale, una nuova mentalità.

Sul piano più strettamente ISTITUZIONALE225 l’indagine mette in evidenza alcune ‘falle’ di tipo a) normativo, b) strutturale e c) didattico.

a) Da un punto di vista della normativa l’indagine ha messo chiaramente in evidenza il problema del nuovo obbligo di istruzione definito col regolamento del 22 agosto 2007226 che ha istituito l’obbligo a sedici anni, ma non ha previsto un biennio comune227 con tutto quello che una transizione di questo

                                                                                                               

225  Per istituzionale intendo il livello delle politiche e delle strutture 226

Con questo provvedimento si sarebbe dovuto realizzare, secondo Fioroni, un maggior grado di equità nell’offerta formativa, ma il carattere decontestualizzato delle otto competenze chiave indicate dall’Europa (Imparare ad imparare; progettare; comunicare; collaborare e partecipare; agire in modo autonomo e responsabile; risolvere problemi; individuare collegamenti e relazioni; acquisire ed interpretare l’informazione) e dei quattro “assi culturali” ai quali dovevano essere ricondotte le “conoscenze e abilità” costitutive delle “competenze di base” (asse dei linguaggi; asse matematico; asse tecnologico-scientifico; asse storico-sociale), ha finito per non produrre gli effetti desiderati nella scuola, rimanendo molto lontano dalla cultura e dalle prassi didattiche della grande maggioranza degli insegnanti della fascia scolastica interessata, quella dei 14-16 anni. Cfr. Benadusi L, Niceforo O. (2010), Obbligo scolastico o di istruzione: alla ricerca dell’equità, in: Programma Education FGA Working Paper n° 27 (3/2010)

tipo può comportare228 ai fini di una probabilità di abbandono dei percorsi di istruzione scolastica formale.

La normativa che mette l’Italia in linea con le indicazioni europee non ha previsto, di pari passo, una ridefinizione della struttura dei percorsi di studio obbligatori. La scuola secondaria di primo grado è rimasta strozzata tra la formazione primaria e quella secondaria di secondo grado senza che si sia creato un ponte capace di accogliere anche le richieste degli studenti più propensi a non continuare la scuola dopo i 16 anni e lasciandoli di fatto soli, mal preparati229 e maggiormente a rischio di abbandono e dispersione.

Molti docenti intervistati, oltre ai due dirigenti, confermano questa tendenza che vede un picco di disinteresse che si concretizza in bocciature o in un allontanamento provvisorio o definitivo dalla scuola soprattutto al secondo anno in concomitanza con il compimento dei sedici anni e appena prima di entrare nel triennio di obbligo formativo.

L’estensione dell’obbligo scolastico dai 14 ai 16 anni era necessaria, ma ciò che manca a tutt’oggi è l’impianto strutturale e programmatico, didattico e formativo di supporto230.

Il risultato, come possiamo vedere dalle statistiche presentate nel primo capitolo, non è stato quello atteso e la dispersione scolastica si attesta a tutt’oggi su percentuali che ci collocano ancora agli ultimi posti in Europa. b) Strutturale

Perché questo avvenga bisogna che la scuola cambi.

Come ha affermato un intervistato (TP3), devono cambiare le strutture scolastiche, gli spazi devono essere ripensati per favorire una didattica                                                                                                                

228 Si veda il Capitolo II sulle transizioni e su come il loro aumento sarebbe direttamente proporzionale alla maggior probabilità di lasciare la scuola.

229 Cfr. interviste TP1, TP2, TP6.

230 Per questo cfr. Tuttoscuola, (2014), Dossier Dispersione nella Scuola Secondaria

Superiore Statale. Roma. in: http://www.cestim.it/argomenti/06scuola/2014-06-Tuttoscuola- Dossier-Dispersione.pdf; Bertola, G., & Checchi, D. (2008), Organizzazione delle risorse scolastiche. Motivazione, organizzazione e carriere degli insegnanti nel sistema pubblico italiano (No. 5). Working Paper in: http://www.fga.it/uploads/media/G._Bertola_- _D._Checchi__Organizzazione_delle_risorse_scolastiche_-_FGA_WP5.pdf

cooperativa, i Dirigenti devono smettere di essere burocrati e diventare manager, l’organizzazione deve aprirsi all’esterno e agli stakeholders privati. La scuola deve perdere la ‘muffa dello statalismo’ per rendersi più autonoma, aperta al cambiamento, collaborativa con le amministrazioni e coi privati, accogliente con le famiglie.

A questo si aggiunge la cronica mancanza di finanziamenti, altra nota dolente del livello strutturale; per qualsiasi intervento che riguardi la scuola, sia che si tratti di interventi per il miglioramento degli ambienti, sia che riguardi investimenti per la formazione dei docenti o la progettazione didattica, c’è una falla. Le scuole, di fatto, nell’ultimo decennio, non sono riuscite a fare propria la possibilità di autonomia finanziaria, ma al contempo hanno visto una decremento progressivo dei finanziamenti statali, per cui, ad oggi, il personale della scuola e le famiglie vivono un senso di impossibilità a portare avanti la maggior parte delle iniziative.

È chiaro che, per ciò che concerne l’argomento di questa trattazione, senza fondi, come ricordano tutti i testimoni privilegiati e alcuni docenti intervistati (D1, D2, D6), non è possibile impostare azioni efficaci e continuative di orientamento e quindi si crea un circolo vizioso dal quale difficilmente è possibile uscire.

c) Da un punto di vista della didattica, in contrasto con le più recenti indicazioni europee, lo studente non è affatto al centro del sistema di istruzione, non è protagonista dei propri apprendimenti, piuttosto è un assimilatore di contenuti, presentati attraverso lezioni frontali e una didattica vecchia che non prevede l’utilizzo delle più moderne metodologie di apprendimento cooperativo, di coaching, di peer tutoring, di partecipazione. LIVELLO PROFESSIONALE

Altra nota dolente riguarda la classe docente: tutti gli intervistati sia essi studenti, genitori, dirigenti o orientatori, ma anche i docenti stessi, hanno messo in evidenza, oltre al disagio per la condizione in cui sono costretti a lavorare da anni, in strutture non adeguate e con pochi mezzi, anche la poca

professionalità della categoria per ciò che attiene la didattica, la preparazione e la capacità relazionale231.

La riflessione che ne scaturisce apre a domande che a tutt’oggi necessitano una risposta: come sono gestite la formazione iniziale e quella continua dei docenti? Con quali competenze è stato immesso in ruolo negli ultimi anni il contingente dei giovani docenti? Che competenze hanno sviluppato aggiornato i docenti più anziani? Quale professionalità docente? Quale consapevolezza del proprio ruolo?

Da molte delle interviste emerge una categoria fortemente in crisi, isolata, autoreferenziale, raramente disposta a mettersi in discussione; si evidenzia una categoria mal-formata, un po’ zoppa e lasciata sola.

Negli ultimi anni non si è investito in formazione che, ad oggi, nella maggior parte dei casi, non corrisponde al compito professionale a cui i docenti sarebbero chiamati e qui il condizionale è d’obbligo, perché la scollatura tra ciò che viene insegnato agli studenti e ciò di cui avrebbero bisogno è troppo grande, è un divario che sta diventando davvero incolmabile.

Ciò che viene insegnato ai ragazzi oggi dovrà servire loro, nella migliore delle ipotesi, tra 8-10 anni per entrare nel mondo del lavoro.

I docenti devono cambiare la prospettiva: da somministratori di contenuti, a tutor di esperienze di apprendimento individuale, cooperativo e tra pari, a stimolatori di competenze trasversali e di autoimprenditorialità.

Per far questo i docenti dovranno cambiare mentalità e accrescere le proprie competenze professionali, quelle stesse che poi andranno a stimolare nei loro studenti per renderli consapevoli del loro rapporto col mondo.

Che siano i ragazzi, i genitori o i docenti a parlare, da un punto di vista del RELAZIONALE, dalle interviste emergono un senso di isolamento, di non comprensione delle istanze personali, di non ascolto, talvolta di ineluttabilità.

                                                                                                               

Gli intervistati hanno raccontato che, quando si sono trovati in situazioni difficili, non hanno trovato ascolto e aiuto e si sono dovuti arrangiare da soli. In particolare, i ragazzi si sentono generalmente inascoltati dai loro insegnanti, i genitori non riescono a trovare un canale di comunicazione con i docenti, i quali a loro volta hanno difficoltà a instaurare relazioni di collaborazione e fiducia con gli studenti e le famiglie.

Si può dire che questo network di relazioni, che potrebbe essere ricco e stimolante, non trova un’armonia di suoni, ma rimane su un piano di cacofonia, con gli evidenti problemi che questo comporta.

Altra cosa è ciò che è emerso da un punto di vista della sfera personale, a livello SOGGETTIVO è una grandissima ricchezza di valori e aspettative da parte delle studentesse e degli studenti. Nonostante una parziale disillusione e una sorta di ‘timore reverenziale’ nei confronti del futuro, conservano una freschezza di intenti e hanno solidi valori a cui si riferiscono nelle scelte di vita. Inaspettatamente, il valore dello studio e della preparazione personale come base per un futuro professionale sono molto presenti, come quello della famiglia come punto di riferimento se si parla di famiglia di origine, e di approdo se si considera la famiglia futura. C’è il valore dell’amicizia, ma ci sono anche i valori universali come il rispetto di sé e degli altri e l’amore in tutte le sue espressioni.

Anche il valore del lavoro è molto sentito, sia dai ragazzi sia dai genitori che si augurano che i propri figli possano trovare un lavoro che piaccia loro, ma soprattutto che siano felici che siano felici.

Conclusioni

A conclusione di questa trattazione è possibile affermare che, in base all’indagine svolta, la domanda di ricerca è soddisfatta sotto tutti i punti di vista.

Per ciò che concerne la ricerca, l’analisi della letteratura offre un panorama puntuale e approfondito sull’importanza di accompagnare i giovani nei momenti di transizione e convergono nell’affermare che questi stessi processi necessitino di essere ‘ammorbiditi’ attraverso azioni orientanti alla scelta del percorso di istruzione e formazione che conduca alle scelte di vita desiderate e corrispondenti alle inclinazioni, alle capacità e agli interessi personali.

L’orientamento formativo declinato in tutte le sue possibili espressioni, svolto attraverso una didattica orientativa da docenti orientanti, permette transizioni efficaci che sono la chiave per la prevenzione del disagio scolastico e della dispersione e per il suo contrasto laddove il fenomeno si sia manifestato.

Le interviste, in particolare, hanno ulteriormente dato risposta positiva alla domanda di ricerca soprattutto per ciò che riguarda gli studenti tra primo e secondo grado della scuola secondaria superiore nella provincia di Firenze. Questo può essere uno spunto di riflessione da cui partire per impostare nuove azioni nell’ottica della prevenzione e della lotta alla dispersione in questa fascia di età che sovente è la più coinvolta nel fenomeno.

Inoltre, dall’indagine emergono altre importanti istanze che, a vario titolo, entrano in gioco e sono coinvolte nel fenomeno indagato.

In particolare, la scuola esce da questa indagine assai malandata: ancora troppo autoreferenziale e chiusa in se stessa, non disponibile ad aprirsi.

Nonostante le indicazioni nazionali, costruite sulla base di quelle europee, informino della cogenza di un’apertura e collaborazione col territorio e tutti gli stakeholders interessati, prima fra tutti la famiglia, la scuola rimane distante dal mondo che la circonda.

Ai ragazzi sono ancora proposti contenuti e non si lavora per sviluppare le loro competenze; la didattica rimane prevalentemente frontale, non si stimola lo sviluppo delle skills personali e delle abilità per la vita.

Ad oggi, al contrario di quello che accade in alcune realtà europee, sembra che un conto sia la scuola, un altro sia la vita, laddove la scuola dovrebbe essere parte integrante della vita ed offrire opportunità di incontro con coetanei e con adulti che stimolano, creano curiosità, predispongono apprendimenti personali, invitano alla creatività e all’imprenditorialità.

La scuola dovrebbe intercettare i bisogni di conoscenza e le caratteristiche di plasticità degli studenti, per farne un punto di forza, un traino per un apprendimento continuo. Dovrebbe creare quel flusso entro cui tutto si crea e scorre di cui parla un docente intervistato, ma che spesso, come afferma ancora il docente, rema al contrario232.

Tanta strada è ancora da fare, il mio augurio è che si creino le condizioni normative, strutturali, individuali e della società civile tutta, perché si realizzi il cambiamento che scongiuri quella deriva culturale, economica e sociale che la non assunzione di responsabilità, inevitabilmente, si porta dietro.

                                                                                                               

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