• Non ci sono risultati.

LO SPOSO INFERNALE

Nel documento LINGUAGGIO ASTRALE (pagine 112-141)

tivazione di Giove-Pesci, cioè la ragione dominata dalla compassione e aperta alla grazia, apre la porta del Cielo che sarà poi simbolizzato da Urano emer-gente nel nostro cielo terreno nell’epoca di Lumi.

In un certo senso, Nettuno e Plutone si occuperanno di addomesticare Urano, anche se il verbo addomesticare mal si adatta al precursore della tita-nità; o forse bisognerebbe dire riscattarlo, vale a dire assimilarlo all’io di ve-glia.

Uno stato di coscienza capace di tenere in sé e di accogliere i valori di Nettuno e di Plutone sarà allora abbastanza stabile da poter passare indenne per la rivoluzione di Urano senza che l’io di veglia ne sia irrimediabilmente frantumato; sperimentando l’irruzione di Urano, il numinoso, la rotondità del-l’io è infranta, ma poi si ricompone su un piano più alto o, meglio, più vasto: si pone in ascolto del Sé.

In un certo senso, quei due, Nettuno e Plutone, dovranno agire nei con-fronti di Urano come Giove agì verso il padre Saturno. Come se le funzioni psi-cologiche da essi significate debbano ora pescare nella memoria ancestrale, l’avo Urano, l’origine di tutto, per iniziare da lì a lavorare, onde inaugurare uno stato di coscienza che, questa volta, non tenderà a liberare l’io dalla necessità del karma, ma piuttosto a far sbocciare davvero i semi dell’origine di tutto te-nuti prigionieri da Urano nelle cavità rocciose di Gaia.

Se Nettuno Oceano genera angoscia a causa della sua vastità incommen-surabile per l’io solare, Plutone-sottosuolo provoca semplicemente terrore.

La fanciulla dovette essere rapita da Plutone per trasformarsi in Persefo-ne. Non fu per amore, né per uno sforzo della volontà solare, né per ubbidien-za alla madre Demetra o al celeste padre Giove, che la Core seguì Plutone ne-gli Inferi: fu necessario un rapimento.

Tuttavia, malgrado la disperazione della madre Demetra, la Core, divenu-ta Persefone, restò nel regno di Ade. Prima dovette però assaporare il succo del melograno, che il suo sposo infernale le fece bere non appena l’ebbe con-dotta negli Inferi.

Cos’è che terrorizza di Ade-Plutone? In Grecia non si erigevano templi in suo onore; forse perché era inutile invocare il suo nome.

Ade era il dio della morte e signore dell’aldilà. Vediamo allora di capire cosa ci dicono il suo nome e il suo simbolo.

Il nome Plutone viene dal greco plutos, che significa ricchezza. In realtà, la morte che il nume sovrintende è vista dall’io solare come un ammasso di aride ossa. Plutone, allora, il plutocrate, della vita sembra mantenere krazia, il dominio dell’energia, non le ossa, che sono invece sotto il dominio di Saturno. L’energia di Plutone compare a uno stato indifferenziato, privo di forma: il suo nome evoca una pluralità di energie, una concentrazione di energia allo stato magmatico: molto diversa da quella di Urano, che è insostanziale: quella di Plutone è carica di sostanza, è “ricca” e plurima.

Il suo nome greco è Adès, la cui radice è id dall’ eidon, il perfetto del ver-bo orao, vedere: da cui a-idès: ciò che non è (a) stato visto (idès), dunque è sconosciuto all’occhio. Il dio Adès è infatti colui che vede nell’oscurità.

Il mito narra che Ade possedeva un manto che lo rendeva invisibile e por-tava una luce sulla fronte che gli permetteva di vedere nel buio, di cui lui era signore e padrone; egli era signore di una tenebra che, più che assenza di og-getti, appare come una concentrazione di materia priva di forma o, meglio, è deprivata della forma, e soprattutto non è illuminata della luce del Sole; allora cosa vedeva Ade con quella luce posta sulla fronte?

C’è un termine sanscrito che significa vedere con l’occhio della verità, o essere in presenza della verità: darshan, che inizia con lo stesso suono -d- del-lo -id- greco.

Nella letteratura yogica, darshan si riferisce alla visione della verità incar-nata. Plutone-Ade sembra dunque rappresentare questo tipo di visione: la ve-rità ultimache permane dopo la morte di ogni forma organizzata secondo ca-tegorie concepibili dalla mente lunare.

Egli non si dà all’occhio che vede, è a-idès, non visto, propriamente non esistente sul terreno illuminato dal Sole, epperò egli è; è l’essere che non è più esistente: insostanziale.

Il termine sanscrito darshan viene da darsa, che significa “relativo alla lu-na nuova”, da cui drishti , che significa “percepibile con l’occhio”, e ricorda l’idès greco, ciò che è visto: darsha è invece la “visione” di quando la luna è nuova, dunque oscura, dunque non vista; di converso, la Luna luminosa, cre-ando forme, riveste per così dire d’anima la materia della croce; è la mente che anima la materia.

Dunque, Ade non designa neanche l’anima di colui che è morto. Egli, di fatto, è non esistente, mentre anima-Luna esiste, seppure in forma di ombra o nel sembiante dell’immaginazione sempre cangiante.

L’essere non dato di Ade è soprattutto incorrittibile, almeno quanto lo è la luce del Sole, l’essere dato in sé, non esistente nella carne (Venere) e nelle os-sa (Saturno).

Se Nettuno ci consente di vedere una realtà che oltrepassa le apparenze viste dall’io di veglia o, meglio, dissolve la realtà apparente aprendo un varco col mondo dei sogni, dunque vede la veste animica della Luna, Plutone vede nell’oscurità, vede in un ambito in cui l’occhio ordinario non può vedere sem-plicemente perché non esiste più come organoò non è dato; egli vede dove l’occhio fisico non può esistere e dove non esiste alcuna cosa percepibile at-traverso la vista ordinaria, foss’anche quella dell’anima sognante: vede il ter-mine delle cose, la loro morte. Si direbbe che vede con un occhio spirituale. Ma cos’è questo occhio spirituale? E cosa è spirito, in fin dei conti?

Dal punto di vista di Ade, il nulla non esiste: nel suo regno di tenebre esi-ste un abisso di realtà fatta di una verità che non ha preso forma o, meglio, che ha abbandonato per sempre la forma; a-idès è l’assenza di ciò che è visto, rappresenta l’estrema conseguenza della dissoluzione delle forme del mondo immaginato da Luna e visto da Sole, mentre però ne trattiene l’essenza.

La verità di Ade-Plutone appare dunque essenziale, e molto densa; e qui si darebbe ragione del fatto che Plutone viene associato alla ricchezza, che in realtà, dal punto di vista materiale, appartiene solo a Venere. La sua è una

ric-chezza di senso e di verità e non di cose. Ma lo spirito che consente a Plutone di vedere con quel “terzo occhio” posto al centro della fronte è del tutto reale o, meglio, funzionale. Perché, se è spirituale, non significa che non esiste, sic-come gli consente di vedere.

C’è subito da dire che i tre fratelli, Giove, Nettuno e Plutone, non si cura-no del Tempo, siccome la loro liberazione deriva precisamente dal fatto di avere detronizzato il padre Crono.

Ma ciascuno di essi, questo essere fuori dal tempo, lo vive in maniera dif-ferente: Giove si libera da una Rea condizionante, Nettuno dissolve Rea e Plu-tone la uccide.

Ora si capisce perché Demetra si dispera tanto al rapimento di sua figlia. Rea, realtà tangibile, sposa del Tempo Saturno, muore definitivamente con Plutone. Plutone uccide così la madre, recidendone le radici alla base, in quanto le sottrae la funzione primaria; non la trasforma come fa Giove, non la dissolve come fa Nettuno, semplicemente la inaridisce nella sua veste di De-metra e poi la toglie definitivamente di mezzo nella sua veste di sposa del Tempo: Rea, la realtà oggettuale.

L’io di Plutone è altro, fuori dal tempo e dallo spazio, se di un io si può ancora parlare.

Nella guerra fra dèi e Titani, come del resto in tutte le guerre, si può sem-pre combattere per la propria vita o per proteggere un potere o un privilegio o i beni acquisiti, ma con Plutone, Re dei morti, come fare a combatterlo quan-do è giunta la sua ora? Quali armi potranno avere ragione di lui? Non certo le armi del guerriero Marte, che nell’oroscopo è colui che uccide nell’ottava ca-sa, sotto il segno dello Scorpione. Marte può solo uccidere la carne, mentre non può uccidere l’idea che ne è sottostante, l’essere non esistente, l’essere non dato al mondo rea-le.

Invece Plutone uccide ogni idea di forma; nessuno, tranne Mercurio l’in-gannevole, può impunemente entrare nel suo regno. E, soprattutto, non ci po-trà mai entrare il Sole: l’io solare non conoscerà mai Plutone; o lo conoscerà solo se è disposto a trasformarsi radicalmente, tanto da perdere la memoria della sua forma fisica, cioè della sua esistenza sostanziale.

La vista di Ade non dipende dalla luce mandata dal Sole: la sua luce è di un ordine diverso; è per così dire interna, autoilluminante.

La stessa Psiche, che fu inviata negli Inferi dalla suocera Afrodite, ne uscì solo grazie ai profumi che la sposa di Ade, Persefone, le consegnò intimandole di non disperderli; e saranno paradossalmente questi profumi che, dopo averla fatta cadere in un sonno mortale, la consegneranno all’immortalità per l’inter-cessione compassionevole di Eros.

Allora, la vista di Plutone, il Signore degli Inferi, genera una morte che preannuncia una resurrezione, ma a uno stato diverso da quello precedente al-l’incontro con il nume degli Inferi; infatti, il mito narra che solo dopo al-l’incontro con Ade, la principessa Psiche salirà in Cielo fra le braccia di Eros, questa vol-ta con l’assenso della di lui madre Afrodite che fin’allora l’aveva perseguivol-tavol-ta in ogni modo.

Dopo l’incontro con la sposa di Ade, Psiche diventa immortale ed è ac-colta nell’Olimpo degli dèi.

Esaminiamo ora il glifo di Plutone.

Nel simbolo grafico di Plutone abbiamo, come per Net-tuno, un semicerchio aperto verso l’alto. All’interno però c’è un pallino, completamente isolato dal resto; è un pallino so-speso, in uno stato di perfetto equilibrio che non poggia su alcunché.

Il semicerchio che lo contiene al suo interno poggia sulla croce, che non appare più come una componente indispen-sabile della coppa, come invece era il caso del tridente di Nettuno: la croce sembra sostenere la coppa: appare quasi un aldiquà della coppa.

Plutone, al pari di Mercurio, reca nel suo glifo le tre componenti: croce, coppa e cerchio, colla differenza che il cerchio è contenuto all’interno della coppa: il femminile di Plutone, rappresentato dalla coppa, si prepara così a una nuova nascita; il pallino che si trova al suo interno non è più un riferimen-to al cerchio uroborico senza categorie che fu spezzariferimen-to da Urano, e che ricom-pare nel glifo di Mercurio come segno di oscurità inserito fra la croce e la cop-pa.

Il semicerchio di Plutone si presenta inoltre in una posi-zione affatto diversa dai segmenti rovesciati nel glifo di Ura-no, che si allontanano in una fuga all’indietro e in avanti; e naturalmente è diverso dai semicerchi che compongono la falce lunare che simboleggia la forma così come appare nel nostro Cielo seguendo i cicli del satellite intorno alla Terra. Tutti i simboli planetari contengono la croce all’interno del loro glifo. Tutti tranne Sole e Luna, i simboli, rispettivamente, della luce e della mente.

Siccome ciascuno degli archetipi agi-sce nel mondo relativo, nel mondo formato dalla Luna e visto dal Sole, essi devono re-care il segno di Rea e di Saturno al loro in-terno: la croce.

Il Sole contiene all’interno del suo cer-chio un punto, che lo rende l’espressione simbolica più vicina allo spirito. Plutone, questo cerchio solare, lo porta all’in-terno della sua coppa aperta verso l’alto: ma è un cerchio rimpiccolito, con-centrato, densificato.

È come se, dopo Plutone morte, ci fosse un altro Sole, un altro sistema solare?

Se Marte uccide la carne di Venere, e dunque simbolizza la morte del cor-po fisico, ma non può ferire il punto al centro del glifo solare, il punto della

co-scienza autoreferente, Plutone, in quanto morte assoluta, sembra sfiorare pro-prio quel punto, operando una trasformazione che lo dilata, come a volerne evidenziare la realtà operante. È forse questo il suo occhio spirituale?

Plutone indica nel suo segno grafico una realtà separata, parallela, che si trova all’interno stesso di quella ordinaria regolata in primo luogo da Rea e da Saturno tramite la croce. Una realtà che è inconoscibile per la croce, che nel glifo di Plutone compare a sostegno di una riapertura senza però sfiorare il pallino, che così resta sospeso all’interno della coppa, dunque completamente indipendente: autoreferente.

Il pallino di Plutone appare come un piccolo Sole condensato, che ha per-so il suo punto, e perciò non è più per-solo spirito; sembrerebbe quasi una materia spiritualizzata, che ha compresso in sé il punto, quasi rendendolo definitiva-mente manifesto; il punto geometrico si dilata e prende forma in Plutone: non è più geometrico, ma carico di sostanza, reso esso stesso sostanziale, in defi-nitiva ucciso come punto, per tornare cerchio, denso, quasi risvegliato nella materia, divenuto cosciente tramite la visione, il darshan.

Se Giove trasforma Rea in Era, Plutone uccide Rea con la morte che è parte di lui, parte del suo darshan, della sua visione: la pura vista della morte sottomette la croce del tempo a un Sole nuovo, denso e separato da tutto: un Sole che è divenuto tutt’uno col suo punto centrale e spirituale. Cosa illumina questo Sole oscuro? Quale ambito appartiene alla luce ch’egli espande?

L’avvistamento del nume

La scoperta del pianeta che sarebbe stato chiamato Plutone viene attribuita al-l’astronomo inglese Lowell, il quale, com’era accaduto all’incirca cinquant’an-ni prima con Nettuno, era arrivato a ipotizzare l’esistenza di un corpo celeste ai margini del nostro sistema solare grazie a dei calcoli matematici. Ma fu un allievo di Lowell che, il 21 gennaio del 1930, poté avvistare il pianeta dall’os-servatorio che portava il nome di Lowell, il quale era ormai morto da quindici anni.

Low- basso e well- bene sembra davvero un nome appropriato per lo

“scopritore” del re degli Inferi, e pare anche perfettamente consenguente che, quando Plutone fu veramente visto, il suo “scopritore” era morto da quindici anni: più o meno il tempo che Plutone impiega per transitare in un segno.

L’astronomo Tombaugh vide su una lastra fotografica, presa il 21 gennaio del 1930, un puntino che sembrava saltare da una parte all’altra: si trattava del pianeta X, che Lowell aveva cercato per anni immaginandolo dell’estensio-ne di Giove. In realtà era molto più piccolo.

La scoperta del nuovo pianeta fu annunciata al mondo il 21 febbraio del 1930, ma le foto che erano servite a determinarne l’avvistamento avevano co-minciato a essere prese giornalmente a partire dal 15 gennaio dello stesso an-no.

Dal 21 gennaio al 21 febbraio, il Sole transita nel segno dell’Aquario, do-ve è tradizionalmente considerato in esilio.

Da parte sua, Plutone si trovava, rispetto alla Terra, nel segno del Cancro, domicilio della Luna e cosignificante della fine della vita nell’oroscopo domifi-cato: non della morte fisica, ma dell’ultima dimora del corpo: la tomba. Il Can-cro e la IV casa, il Fondo del Cielo, segnano l’inizio e la fine della vita: la prima dimora del feto, cioè l’utero dominato dalla Luna, e l’ultima dimora che è la tomba e la rinomanza del defunto, sempre sotto l’intendenza della Luna.

Ciò che resta delle spoglie di un morto, quando anche l’ultimo osso è sta-to consumasta-to dal tempo, è la sta-tomba, o il luogo in cui il corpo è stasta-to sepolsta-to, e naturalmente può restare di lui il ricordo nella memoria dei posteri, ciò ch’egli ha lasciato alla sua dipartita: le opere, che sono rappresentate dal se-gno opposto al Cancro, il Capricorno.

Il Cancro è anche il segno della memoria. Saturno, da parte sua, sovrin-tende alla durata che permette alla memoria di essere appunto ciò che è: un’immagine e dei segni che permangono nel tempo: la storia.

Allora, Plutone, scoperto in un giorno sotto il segno dell’Aquario, dove il Sole è esiliato, appare come prima cosa contrapposto alla stella che ci dà la luce, mentre sembra, per la sua posizione nel segno del Cancro, essere amico della Luna.

Però Plutone uccide la mamma.

Cominciamo per il momento a vederlo nella sua contrapposizione al Sole. Il sistema solare si chiude con Plutone, che è a tutt’oggi il pianeta più lon-tano dal Sole: si trova ai confini del sistema solare.

Ancora i pianeti X e Y vagheggiati da una certa astrologia di recente for-mazione in Italia e cosignificanti l’utero e la vagina non sono stati scoperti. E’ stato invece recentemente scoperto un corpo celeste posto oltre i limiti del no-stro sistema solare, dunque appartenente a un altro sistema attiguo al nono-stro, ma facente parte della nostra stessa galassia. Ciò sembrerebbe confermare l’estremità di Plutone nel nostro sistema solare.

Ci sarebbe però a questo punto da chiedersi come mai, per questa nuova astrologia, i due organi di cui sopra debbano essere relegati all’estremità del sistema solare, lontani dalla luce del Sole, mentre, per esempio, Marte fallo appare addirittura visibile a occhio nudo. Chissà che non avessero ragione nel Medio Evo a ravvisare negli attributi della femmina l’infernale demonio.

Comunque, a tutt’oggi, Plutone è l’ultimo pianeta, situato al confine del nostro sistema solare; e la mitologia ci dice che i tre regni principali erano ge-stiti dai tre fratelli: Giove, Nettuno e Plutone. Saturno rimase in eterno nell’iso-la dei Beati.

Il mito greco propone una trinità e una tripartizione del creato, al pari del-la mitologia indù che pardel-la sempre dei tre mondi, i loka: del-la Terra degli uomini, il Paradiso dei deva e gli Inferi dominati dal dio della morte Yama.

Si tratta di regni indipendenti; Plutone è poi così indipendente che nessu-no lo può vedere: Adès semplicemente nessu-non esiste per i vivi, nessu-non è dato alla lu-ce del Sole.

Le tenebre

Per vedere noi abbiamo bisogno della luce del Sole. Plutone, posto alla massi-ma distanza dal Sole, rappresenta dunque il suo avversario: l’antagonista del Sole. E’ l’altra faccia di Apollo: è l’ombra di Apollo.

Egli rappresenta in un certo senso l’impossibilità del Sole, poiché il Sole, a differenza di Selene-Luna, non ammette ombre al suo interno.

Solo Mercurio poteva far visita a Plutone, egli aveva libero accesso nel suo regno. Il pianeta Mercurio offre di fatto una sola faccia al Sole, l’altra ap-pare sempre in ombra. Il mito, inoltre, narra che Mercurio possedeva un cap-puccio che lo rendeva invisibile, all’occorrenza. Questo capcap-puccio non è forse simbolizzato nel suo glifo dal semicerchio aperto verso l’alto?

Mercurio ci insegna dunque che, per poter entrare e uscire a piacimento dalle tenebre, è necessario avere in sé le tenebre, non come componente so-stanziale del proprio essere, ma come realtà scissa: una specie di cappuccio che il nume indossa a suo piacimento: quando per esempio deve fare visita al signore degli Inferi.

Plutone rappresenta le tenebre, e Mercurio contiene l’ombra come realtà scissa e separata dalla luce: o l’una o l’altra, a differenza della Luna che passa dall’una all’altra per gradi dati dalle lunazioni, simboleggiando in tal modo la

Nel documento LINGUAGGIO ASTRALE (pagine 112-141)