di Daniela Pasquinelli d’Allegra
2. Il lungo iter dell’inclusione scolastica
La scuola dunque. E l’educazione. Al momento, del resto, tra gli unici esempi concreti e pienamente realizzati (almeno in molti casi) di inclusione di persone differenti (per forme di diversabilità, per svantaggi economici e sociali ecc.) vi sono quelli che si riscontrano nell’ambiente educativo e sco- lastico. La scuola e la cultura offrono ancora una volta l’esempio coerente di cosa significhi e come si possa realizzare nello spazio vicino a ciascuno
un modello di inclusione esportabile su una scala più ampia, al tempo stes- so geografica e sociale.
Il cammino legislativo italiano (agganciato in ogni caso, soprattutto ne- gli ultimi decenni, agli importanti input internazionali ed europei di cui per brevità non si tratta in questa sede) verso l’inclusione a scuola di tutti i sog- getti, compresi quelli con disabilità e svantaggi, è stato lungo e non scevro di difficoltà; esso è riassumibile in cinque tappe, intercettate da altrettanti termini specifici: separazione-inserimento-integrazione-inclusione.
a) Separazione: questa fase dura dalla Riforma Gentile del 1923 fino alla fine degli anni Sessanta; per ottemperare all’obbligo scolastico gli alun- ni e le alunne1 con lievi disabilità (come i bambini con ritardo mentale
lieve, ma persino i bambini provenienti da famiglie economicamente e socialmente disagiate o figli di emigrati dalle regioni del Sud che sape- vano esprimersi solo nel loro dialetto) vengono mantenuti separati dagli altri, ghettizzati nelle cosiddette “classi differenziali”; la disabilità fisica e psichica grave viene invece affrontata con un approccio prevalente- mente medico-riabilitativo in istituti specializzati, dove i casi più gravi sono ospitati per lunghi periodi che li costringono anche alla separazio- ne dalla famiglia.
b) Inserimento: un primo passo avanti si compie all’inizio degli anni Set- tanta del Novecento (legge 118/1971), quando viene sancito l’inse- rimento degli alunni con disabilità lieve nelle classi comuni della scuola dell’obbligo. Cosa comporta tuttavia l’inserimento? Non essendo ancora prevista la figura dell’insegnante specializzato per il sostegno né alcun altro supporto dedicato, è l’alunno svantaggiato a trovarsi immesso in una realtà non idonea, scandita dalle prescrizioni di programmi ministe- riali ai quali deve adattarsi cercando di non arrecare ritardi all’anda- mento della classe. La definitiva abolizione delle classi differenziali si deve alla legge 517/1977, che «è incentrata sull’idea di scuola acco- gliente e partecipata, un luogo di relazioni non burocratiche ma umane, che opera secondo categorie pedagogiche e non meramente efficientisti- che […]. All’interno di questa visione si colloca anche la specifica fun- zione del sostegno da assicurare a chi si trova in situazione di handicap, ed è significativo notare che la legge non propone la soluzione della de- lega, né all’insegnante appositamente nominato né ad altri operatori, ma promuove una assunzione collegiale di responsabilità» (Fiorin, 2008, p.
1 È doveroso precisare che da qui in avanti si è scelto di utilizzare soltanto il maschile,
non per una sottovalutazione della parità di genere, ma semplicemente per contenere il nu- mero di battute senza nulla togliere alla comprensione del testo.
52). Il ruolo dell’insegnante specializzato viene poi sancito dalla legge 270/1982.
c) Integrazione: una svolta notevole in questo percorso si compie con la legge-quadro 104/1992, che è considerata la pietra miliare dell’integra- zione scolastica dei disabili in tutti gli ordini di scuola e nell’università, prevedendo anche provvedimenti per facilitare l’integrazione sociale. In ogni caso è ancora la parte più debole a doversi integrare in un sistema scolastico e sociale già strutturato per il funzionamento “comune”, pur potendo contare su tutte le tutele e i supporti prima inesistenti.
d) Inclusione: una serie di leggi e decreti si succede negli anni, facendo compiere ulteriori passi avanti nell’assicurare «a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le com- petenze» (art. 2 Legge 53/2003) in una scuola che «accogliendo e valo- rizzando le diversità individuali, ivi comprese quelle derivanti dalle di- sabilità, promuove, nel rispetto delle diversità individuali, lo sviluppo della personalità» (D. Lgs. 59/2004).
I principi di una scuola inclusiva vengono enucleati nelle “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione”, varate dal Miur nel 2012 e tuttora vigenti. Nel documento introduttivo si legge tra l’altro: «La scuola raccoglie con successo una sfida universale, di apertura verso il mondo, di pratica dell’uguaglianza nel riconoscimento delle differenze […]. La scuola realizza appieno la propria funzione pubblica impegnandosi in questa prospettiva, per il successo scolastico di tutti gli studenti, con una particolare attenzione al sostegno delle varie forme di diversità, di disabilità o di svantaggio». L’ultimo provvedimento in ordine di tempo è un decreto applicativo della legge 107/2015 (legge che, nonostante le molteplici criticità, è stata resa nota come “La Buona Scuola”), che riguardo alla scuola inclusiva recita: «L’inclusione scolastica: a) riguarda le bambine e i bambini, le alunne e gli alunni, le studentesse e gli studenti, risponde ai differenti bisogni edu- cativi e si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate al- lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno nel rispetto del diritto all’auto- determinazione e all’accomodamento ragionevole, nella prospettiva della migliore qualità di vita; b) si realizza nell’identità culturale, educativa, progettuale, nell’organizzazione e nel curricolo delle istituzioni scolasti- che, nonché attraverso la definizione e la condivisione del progetto indi- viduale fra scuole, famiglie e altri soggetti, pubblici e privati, operanti sul territorio» (D. Lgs. 66/2017, art. 1).
La scuola inclusiva è dunque una scuola accogliente, che nella sua glo- balità (dirigente, docenti, non docenti, famiglie…) crea un ambiente di apprendimento aperto e solidale e, nella sua rete di relazioni con il terri-
torio, si fa comunità educante. Non sono più gli allievi con bisogni edu- cativi speciali a doversi adattare alla scuola, ma è la scuola che si rende idonea a prendersi cura di ciascun allievo con le sue peculiarità e le sue particolari attitudini ed esigenze.
3. L’apporto della geografia all’inclusione
Per preparare le nuove generazioni a costruire una società inclusiva, l’apporto della geografia è senza dubbio fondamentale nell’intero percorso d’istruzione e formazione, ma anche nel corso della vita, al di là degli spe- cifici indirizzi professionali e lavorativi intrapresi, attraverso una sorta di diffuso “aggiornamento” realizzato grazie a una seria divulgazione scienti- fica. È infatti auspicabile «un più deciso orientamento della sensibilità col- lettiva verso le tematiche che occupano la scena informativa. Ponendo con forza l’idea che la territorialità è un elemento cruciale del nostro pianeta e che il territorio è il frutto più prezioso del lavoro umano: l’uomo non po- trebbe essere quello che è, e, di conseguenza, fare quello che fa, senza il suo impegno nel creare sue proprie geografie, interpretando creativamente i dati di natura e agendo intelligentemente su di essi» (Turco, 2017, p. 53).
A disposizione della formazione continua la geografia mette i suoi me- todi di lettura sincronica e diacronica del territorio e il suo codice unico e specifico: il linguaggio cartografico. L’uso di quest’ultimo non si limita al- l’ottenere la competenza nel leggere e interpretare carte geografiche a varia scala, ma si estende al saper utilizzare grafici per elaborare dati statistici e modelli per l’analisi dei sistemi territoriali. Oggi l’applicazione dei GIS (Sistemi Informativi Geografici) e in genere delle geotecnologie ha fatto compiere alla geografia un balzo in avanti «dando supporto e “freschezza” alla ricerca, e alla didattica, e aprendo un vasto ventaglio di opportunità agli studi interdisciplinari, con la geografia, appunto, a ricoprire il ruolo di in- terprete e di collettore. L’elaborazione GIS non va intesa come “fine” ma come un “potente mezzo” con il quale scavare in profondità, suscitare pen- siero critico, alimentare il confronto scientifico in una concezione di sinte- si» (Pesaresi, 2017, p. 19).
L’applicazione didattica della cartografia computerizzata, consentendo una lettura interattiva dei fenomeni fisici e antropici, offre infatti la possibi- lità di mettere a frutto l’ottica inclusiva nella gestione partecipata e di pro- gettare nuove strategie di ridistribuzione territoriale, trovando campo d’e- sercizio privilegiato in ambiente universitario, ma anche nelle classi della scuola secondaria di secondo grado. Tuttavia in ogni ordine e grado di