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La Macroeconomia dell’Economia Aperta

La disciplina della macroeconomia in un sistema economico aperto è lo studio del comportamento dell’economia quando si prendono in considerazione i diversi legami commerciali e finanziari tra le nazioni.

Esistono tre principali relazioni che si generano nell’avere una economia aperta, e questi sono:

i. La relazione tra il commercio estero e il PIL.

47 iii. La relazione tra il risparmio e gli investimenti.

Il commercio estero prevede, nel suo svolgersi, la realizzazione di scambi sia d’importazione che di esportazione. Si definiscono “esportazioni nette” le esportazioni di beni e servizi meno le importazioni di beni e servizi.

I fattori che possono influenzare queste variabili sono:

i. Importazione: questa variabile dipende principalmente dal PIL e dai prezzi relativi dei beni nella nazione rispetto a quelli delle nazioni estere, i cui effetti sono:

- Quando il PIL aumenta, si genera un aumento nelle importazioni, perché si compra di più all’estero sia da parte dei consumatori, sia da parte delle imprese che richiedono più materie prime.

- Il tasso di cambio e i prezzi relativi dei beni nazionali ed esteri. Queste due variabili influenzano sia il volume che il valore delle importazioni. Quando il prodotto estero aumenta di prezzo o scende il tasso di cambio della nostra moneta, il volume e valore delle esportazioni tendono a crescere.

- Si deve anche considerare la propensione marginale alle importazioni, che rappresenta la parte del prodotto aggiuntivo che viene speso nelle importazioni.

- Variabili come il costo dei trasporti e l’atteggiamento dei governi nei confronti del commercio estero influenzano le importazioni.

ii. Esportazione: è l’immagine speculare delle importazioni, cioè dipende dal prodotto estero e dai prezzi relativi dei beni.

Per studiare come influiscono le variazioni dei flussi commerciali sul PIL e sull’occupazione, si deve considerare che, in presenza del commercio internazionale, viene aggiunta, oltre al consumo, gli investimenti e la spesa pubblica, la quarta componente della produzione di un

48 Paese, che sarebbero le esportazioni nette, le quali fanno aumentare la domanda aggregata. Rappresentato per la funzione di domanda aggregata:

Y= C + I + G (X – M) à DA

Dove Y rappresenta tutta la produzione del Paese; C il consumo interno; I rappresenta gli investimenti del Paese; G la spesa pubblica; X l’esportazione del Paese; M sono le importazioni totali.

Come si può prevedere, nel caso in cui le esportazioni siano maggiori rispetto alle importazioni, si osserverà un effetto positivo sulla domanda aggregata; invece in caso contrario, se le importazioni sono maggiori rispetto alle esportazioni, si avrà un effetto negativo sulla domanda aggregata.

L’incorporazione della variabile esportazione comporta l’attivazione del effetto moltiplicatore, poiché in un economia aperta, un aumento del reddito viene in parte destinato all’importazione, ossia quella parte va fuori dalla nazione.

In quanto ai sistemi dei cambi e i tassi d’interessi, la politica macroeconomica dipende dal sistema dei cambi, i quali possono essere:

• Tassi fissi: i Paesi che hanno tassi di cambio fissi e un’elevata mobilità di capitali, con facilità di trasferimento da un Paese all’altro, senza barriere normative, si contraddistinguono per avere tassi d’interesse pressoché allineati fra loro, dove qualsiasi loro variazione in due Paesi attira gli speculatori, i quali vedranno una valuta e acquisteranno l’altra fino a che i tassi si livelleranno.

• Tassi flessibili: in quest’ambito la politica economica diventa molto efficace. Ad esempio se si genera un aumento del tasso d’interesse, questo provoca un aumento di domanda di valuta, che determina a sua volta un aumento del tasso di cambio con ovvie conseguenze sulle esportazioni, che diminuiscono con ripercussioni negative sul PIL reale.

49 Altre variabili devono considerare l’effetto di avere un’economia aperta, come il risparmio e gli investimenti.

Nel caso in cui si avesse un’economia chiusa, gli investimenti dipenderebbero esclusivamente dal risparmio interno; mentre nel caso di un’economia aperta, i mercati finanziari mondiali sono un’altra fonte alla quale si può ricorrere sia per cercare capitale sia per investire i propri risparmi. Nel caso di un’economia chiusa i risparmi sono uguali agli investimenti, questo si spiega perché, se semplifichiamo al massimo le cose e non consideriamo né la spesa pubblica né le esportazioni, si avrà che, dal punto di vista dei prodotti, il PIL è uguale alla somma del consumo più gli investimenti; nel caso dei redditi, il PIL inteso come reddito nazionale è pari al consumo più i risparmi. Quindi, se consumo più investimenti è pari a consumo più risparmio, allora investimenti è pari a risparmio.

Per essere più precisi possiamo definire che il risparmio totale equivale alla somma tra risparmio privato e risparmio pubblico; quindi gli investimenti, com’è stato detto prima, anche saranno composti dalla somma del risparmio privato e risparmio pubblico.

Grafico 1.2: “Equilibrio tra investimenti e risparmio”

In questo Grafico 1.2 possiamo osservare l’equilibrio nel punto “E” dove s’incontrano la funzione di risparmio, rappresentato con la lettera “S”, e gli investimenti, rappresentati con la

50 lettera “I”, mentre “r” rappresenta il tasso d’interesse. Come possiamo notare, un disavanzo pubblico provocherà una riduzione nel risparmio pubblico, e perciò una riduzione degli investimenti. In quel caso la curva del risparmio si sposta a sinistra e raggiunge un nuovo equilibrio con un tasso “r1” più alto come si vede nel Grafico 1.3.

Grafico 1.3: “Effetto di una riduzione del risparmio”

In questo caso, nel Grafico 1.3 possiamo osservare come si svolge una relazione inversa tra queste variabili di risparmio e tasso d’interesse, dove una contrazione del risparmio provoca uno spostamento della funzione verso la parte sinistra, trovando un nuovo equilibrio in E’, con r1 maggiore rispetto al r0 dell’equilibrio precedente.

In un’economia aperta si ha un maggior numero di opportunità, poiché ha fonti alternative d’investimento e sbocchi alternativi per il risparmio, nel senso che si può destinare una parte dei risparmi per fare degli investimenti all’estero. Ma un Paese che ha un’economia aperta, deve porre il proprio tasso d’interesse interno uguale a quello mondiale, perché una sola nazione da sola è troppo piccola per influenzare una modifica a livello mondiale sul tipo di cambio, dato che la mobilità che hanno i capitali in un’economia aperta è troppo elevata, il capitale finanziario si sposterà per equilibrare i tassi di interesse sia all’interno che verso l’esterno.

51 Se aggiungiamo le esportazioni nette in queste funzioni d’investimenti, avremo che gli investimenti totali sono pari agli investimenti più gli investimenti esteri, questi ultimi riferiti alle esportazioni. Più sinteticamente:

I + X = R

P

+ R

G

Da cui avevamo detto che à

I= R

P

+ R

G e che

X= R

P

+R

G

– I

Dove:

RP = Risparmio Privato. X= Esportazioni.

RG = Risparmio Pubblico o di Governo. I= Investimenti Interni.

Le esportazioni nette sono dunque determinate dalla differenza tra risparmi e investimenti interni e dal tasso d’interesse mondiale. Le variazioni dei cambi sono il meccanismo mediante il quale si adeguano i risparmi e gli investimenti.

Dall’equazione dell’investimento interno, che è pari ad entrambi i risparmi, possiamo capire l’effetto dell’aumento del disavanzo pubblico. In questo caso diminuiscono gli investimenti, aumentano i tassi d’interesse interni rispetto al mondiale, si produce un aumento degli investitori esteri verso il Paese, perciò si genera un aumento nel tasso di cambio e diminuiscono le esportazioni, tutto ciò fino ad arrivare al punto in cui si elimina il divario tra risparmio e investimenti.

Altri esempi importanti della teoria del risparmio e degli investimenti in un’economia aperta sono i seguenti casi:

• Nel caso del generarsi di un aumento del risparmio privato o una spesa pubblica che sia inferiore a quanto previsto dal Paese, si provocherà un aumento nel risparmio nazionale che comporterà uno spostamento verso la destra nella scheda del risparmio nazionale. Questa situazione determinerà un deprezzamento del cambio fino a quando le esportazioni nette non aumenteranno quanto sia necessario per bilanciare l’aumento del risparmio privato.

52 • Per quanto concerne un aumento degli investimenti interni, per esempio a causa di un miglioramento del clima commerciale o dell’esplosione d’innovazione, determinerà uno spostamento della scheda degli investimenti, che porterà con sé un apprezzamento del tipo di cambio fino a quando le esportazioni nette ridurranno i suoi volumi quanto basterà per equilibrare il risparmio e gli investimenti.

• Se invece abbiamo un aumento dei tassi d’interesse mondiali, si comporterà una riduzione del livello degli investimenti, portando un ampliamento del divario tra risparmi e investimenti, un deprezzamento del cambio e l’incremento delle esportazioni nette e degli investimenti stranieri.

Nel caso delle politiche economiche in un’economia aperta, com’è stato detto, ci sono un maggior numero di opportunità rispetto a un’economia chiusa. I fattori più importanti sono:

• Nei mercati aperti il numero di concorrenti aumenta e di conseguenza s’impedisce che i produttori nazionali possano monopolizzare un settore e stimola l’adozione di nuove tecnologie avanzate per rendersi più competitivi.

• Istituzioni sicure di mercato che forniscono un ambiente sicuro per gli investimenti e l’imprenditorialità mediante un insieme di diritti di proprietà certi, per assicurare che investitori e artisti creativi percepiscano profitto dalle proprie attività.

• Un clima macroeconomico stabile ha delle conseguenze positive per il Paese, per esempio, imposte ragionevoli e prevedibili, inflazione bassa e tassi di cambio relativamente stabili generano un ambiente più attraente per far arrivare dei flussi di capitale dall’estero verso il Paese.

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2.10. Contrapposizione tra le scuole macroeconomiche

Da una parte abbiamo la scuola classica che si mette in confronto con la rivoluzione Keynesiana. L’analisi classica è stata articolata sulla legge di Say o anche chiamata legge degli sbocchi. Tale legge afferma che “l’offerta crea la propria domanda” e che la sovrapproduzione è impossibile per la sua stessa natura, in questo modo la flessibilità di prezzi e dei salari consente di ripristinare in tempi veloci l’equilibrio.

Le conseguenze di questa teoria sono le seguenti:

• L’economia ha solo brevi periodi in cui non sussiste la piena occupazione e la piena utilizzazione della capacità produttiva, perciò non vi sono lunghe e protratte recessioni e depressioni economiche e i lavoratori qualificati possono trovare impiego velocemente con un salario corrente di mercato; un’eventuale disoccupazione presente, sarebbe solo di tipo frizionale.

• Si fa anche riferimento al fatto che, secondo questa teoria, le politiche macroeconomiche relative alla domanda aggregata non possano influenzare il livello di disoccupazione e di prodotto reale, mentre le politiche monetarie fiscali possano incidere sul livello dei prezzi e sulla composizione del PIL reale. Per esempio nel caso in cui uno stato diminuisca l’offerta di moneta, la domanda aggregata si sposterebbe e si avrebbe la situazione prima descritta.

Questa teoria di Say è stata confrontata con la teoria di Keynes, la quale è stata considerata una vera rivoluzione nella macroeconomia. La teoria Keynesiana dice che prezzi e salari non sono abbastanza flessibili da permettere un veloce riequilibrio e che ci possono essere periodi molto lunghi, in cui il prodotto è ben al di sotto del prodotto potenziale e una porzione cospicua della forza di lavoro è involontariamente disoccupata. Una nazione potrebbe rimanere per un lungo periodo in condizioni di bassa produzione e grande miseria, in quanto non esiste né un meccanismo di autocorrezione né una mano invisibile che riportino l’economia alla piena occupazione.

54 La curva dell’offerta aggregata esposta da Keynes, infatti, non è verticale e corrispondente al prodotto potenziale, ma ha una pendenza positiva, di conseguenza se le domanda aggregata aumenta, con sé aumentano i prezzi, il prodotto e perciò diminuisce la disoccupazione.

Da questo è possibile concludere che, attraverso le politiche economiche, lo Stato può stimolare l’economia e contribuire a mantenere i livelli elevati di prodotto e occupazione, ad esempio nel caso di aumento della spesa pubblica si genera uno spostamento della domanda aggregata in alto a destra.

La scuola monetarista, da un'altra parte, considera che ciò che determina principalmente le variazioni dei prezzi e del prodotto è la fluttuazione dell’offerta di moneta. Affermano che i prezzi dipendono dalla quantità di moneta circolante, un’offerta stabile dà prezzi stabili, un aumento dell’offerta di moneta determina un aumento dei prezzi e del PIL nominale.

Le principali divergenze rispetto al modello di Keynes sono:

• Innanzitutto non concordano sulle forze che agiscono sulla domanda aggregata. Da una parte i monetaristi ritengono che la domanda sia influenzata unicamente dall'offerta di moneta e che l’effetto di quest’ultima su di essa sia stabile e prevedibile, e che la politica fiscale o le variazioni indipendenti dalla spesa, se non sono accompagnate da oscillazioni della moneta, abbiano effetti trascurabili sul prodotto e sui prezzi. Gli economisti keynesiani, invece, pur concordando che l’effetto della variazione della moneta ha un impatto importante sulla domanda aggregata, prodotti e prezzi, sostengono che tanti altri fattori sono importanti. I keynesiani indicano inoltre, come prova conclusiva, il fatto che la velocità aumenta sistematicamente al salire dei tassi d’interesse, per cui mantenere costantemente la moneta non basta per mantenere costante il PIL nominale o reale.

• La seconda principale differenza riguarda il comportamento dell’offerta aggregata. I keynesiani si incentrano nell’inerzia dei prezzi e dei salari, invece i monetaristi ritengono che i keynesiani esagerino la rischiosità dei prezzi e dei salari e che la curva dell’offerta aggregata di breve periodo sia piuttosto molto più ripida rispetto a quanto accettato da un keynesiano.

55 Il principale contributo dei monetaristi alla politica economica è stata la promozione di norme monetarie fisse che rendano costante l’offerta di moneta e la mantengano in tutte le condizioni economiche.

Grazie agli economi Robert Lucas, Thomas Sargent e Robert Barro si sviluppa la cosiddetta “nuova teoria macroeconomica classica”. Questa teoria segue un approccio nello spirito della scuola classica discussa in precedenza, in quanto afferma che i prezzi e i salari sono flessibili e si adeguano rapidamente per bilanciare la domanda e l’offerta, ma viene aggiunto un nuovo elemento, che sarebbero le aspettative razionali, questo vuole dire che i cittadini utilizzano l’informazione disponibile sul mercato per costituirsi determinate aspettative per il futuro.

Questa nuova visione porta con sé conseguenze particolari, come per esempio:

• La nuova scuola classica sostiene che la maggior parte della disoccupazione sia volontaria: la disoccupazione, secondo questo nuovo pensiero, aumenta perché un maggior numero di persone è alla ricerca d’impieghi migliori, non perché non riescano a trovare lavoro.

• Nel caso delle fasi di recessione dei cicli economici, la nuova economia classica lo spiega dicendo che l’elevata disoccupazione insorge a causa d’impressioni errate, cioè i lavoratori sono confusi sulla situazione economica e lasciano volontariamente il proprio impiego nella speranza di trovarne di migliori.

• Le variazioni delle aliquote fiscali non hanno alcun effetto sulla spesa per consumi. Secondo questa visione gli individui sono lungimiranti, nel senso che si preoccupano anche della generazioni future. Se, ipoteticamente, lo Stato riduce le imposte che un cittadino deve pagare, ma lascia invariate le proprie spese, questa misura comporterà un maggior deficit pubblico che in futuro dovrà essere risanato, e di conseguenza lo Stato dovrà aumentare le imposte in un futuro per pagare gli interessi sui nuovi prestiti. Secondo la versione Ricardiana i consumatori hanno aspettative razionali sulla politica futura, perciò, quando si verifica un taglio delle imposte, le persone sanno che ci dovrà essere un aumento futuro di queste ultime e a quel punto le persone non spenderanno

56 questi soldi in più che avranno per effetto della riduzione d’imposta, invece quello che faranno sarà risparmiare per averli per un futuro aumento delle imposte, e allora il consumo rimarrà senza variazione.

Come conclusione si può dire che, secondo la teoria dell’equivalenza Ricardiana, le variazioni delle imposte non hanno alcun effetto sul consumo.

Da questo punto di vista sembra che la nuova macroeconomia classica affermasse che esistesse un’inefficacia da parte delle politiche monetarie e fiscali sistematica nel combattere la disoccupazione, con aspettative razionali e prezzi e salari flessibili. La politica economica non può influire sul prodotto reale o sulla disoccupazione, semmai le politiche governative possono peggiorare la situazione con misure discrezionali imprevedibili, che forniscono segnali economici fuorvianti, e generano distorsioni nel comportamento economico e provocano sprechi. Piuttosto che rischiare tale confusione, sostengono che il governo dovrebbe evitare qualsiasi politica macroeconomica discrezionale e affidarsi a regole fisse.

Da queste tre teorie economiche presentate emergono principalmente tre conclusioni:

i. La crescita economica di lungo periodo: in generale i macroeconomisti convengono che nel lungo periodo sono il prodotto potenziale o la crescita della capacità a determinare la tendenza del tenore di vita, dei salari reali e dei redditi reali. Nel caso del prodotto potenziale, questo dipende inoltre dalla quantità di fattori come lavoro e capitale, nonché dalla tecnologia, dall’imprenditorialità e delle capacità manageriali presenti in una economia. L’importante conclusione che si può trarre da questi dati è che per influire sulla crescita economica di lungo periodo è necessario incidere sulla crescita dei fattori o determinare miglioramenti di efficienza e tecnologia.

ii. Il prodotto e occupazione di breve periodo: nel breve periodo il quadro è meno chiaro. Il prodotto e l’occupazione sono determinati dall’interazione della domanda e dell’offerta. I fatti tendono a indicare che, almeno per alcuni anni, le variazioni della domanda aggregata possono decisamente incidere sui movimenti ciclici del prodotto e

57 dell’occupazione. Ciò porta a concludere che le politiche monetarie e fiscali hanno la possibilità di stabilizzare i cicli economici.

iii. Disoccupazione e inflazione: i diversi studiosi hanno determinato che l’inflazione può essere influenzata dalla pressione della domanda nei mercati del lavoro e del prodotto. Se la disoccupazione viene spinta oltre il tasso naturale, l’inflazione tende a ridursi, mentre produzione e occupazione elevate tendono a determinare l’accelerazione dell’inflazione, ma il trade-off tra inflazione e disoccupazione appare stabile nel tempo e nello spazio, per cui la gestione dell’inflazione è un processo complicato. Siccome, inoltre, non sembra esserci trade-off duraturo, i Paesi non possono ottenere costantemente una minore disoccupazione consentendo all’elevata inflazione di persistere.