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La mancata promulgazione dei decreti-legge: il controllo oltre la lettera della Costituzione nel caso

IV. I CONTROPOTERI NEL PROCEDIMENTO LEGISLATIVO : P RESIDENTI DELLA R EPUBBLICA E C ONSEIL

6. La mancata promulgazione dei decreti-legge: il controllo oltre la lettera della Costituzione nel caso

422 Ciò secondo una dinamica già individuata anche in Francia, mutatis mutandis, in materia referendaria. Per

tale impostazione, che si mutua in questa analisi italiana, ci si rifà a D. RIBES, Le réalisme du Conseil

Constitutionnel, in Cahier du Conseil constitutionnel, 2007, pp. 196 e ss nonché S.SALLES, La présence de l’argument

conséquentialiste dans les délibérations du Conseil constitutionnel, in www.droitconstitutionnel.org.

423 Con sentenza 7/1996 la Corte, decidendo nel merito il primo ricorso per conflitto di attribuzioni avente

come parte il Presidente della Repubblica (in quanto l’ordinanza 379/91 che chiudeva per ragioni di rito il cd.

caso Curcio seguiva di fatto alla rinuncia al ricorso), aveva salvato il decreto presidenziale del 20 ottobre 1995 di

nomina del nuovo ministro a seguito della sfiducia individuale votata nei confronti di Filippo Mancuso argomentando che “il Presidente della Repubblica, in tale fase, è chiamato, dunque, ad un ruolo attivo che, in mancanza di

dimissioni, richiede l'esercizio di poteri che attengono alla garanzia costituzionale, in vista del ripristino del corretto funzionamento delle istituzioni”.

424 Tale considerazione non diminuisce affatto la caratura e il prestigio delle nomine presidenziali, ma è

fisiologico che il Presidente scelga giuristi spesso affini alle proprie vedute. Ciò è tanto più evidente quanto più orientata politicamente è la storia dei singoli giudici costituzionali, che non raramente (soprattutto nei primi anni della Repubblica) vantano un passato parlamentare. Negli ultimi anni tale (pur assolutamente lecita) tendenza sembra tuttavia attenuarsi, risalendo al 2000 la nomina di Giovanni Maria Flick (già ministro della giustizia nel primo governo Prodi) a giudice costituzionale. Sul punto si ricordino le polemiche suscitate dalla sentenza della Corte sul lodo Schifani: E la destra accusa la Corte “scalfariana”, in il Corriere della sera, 14-I- 2004, p. 6.

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Quanto si diceva poco sopra a proposito del fatto che laddove la Corte è intervenuta nella definizione o nella precisazione delle prerogative presidenziali (in ragione della lacunosità del dettato costituzionale) l’ha fatto espandendole si riconferma anche a proposito del potere del capo dello Stato di firmare o meno i decreti del Governo (sent. 406/1989 Cote costituzionale)425. Il fatto emblematico da cui si vuole partire per

identificare tale potere è quello del rifiuto di emanare il cd. decreto-legge salva Eluana. Si tratta certamente di un caso esemplare in tema di contropoteri proprio in ragione della sua unicità per lo scontro istituzionale che ha originato426.

Quello del controllo presidenziale sui decreti-legge costituisce uno spettro particolarmente importante per mettere in luce il potere di veto del Presidente che, in tale caso, non è semplicemente sospensivo ma può essere configurato come assoluto. Ciò non solo nel momento dell’emanazione (rifiuto formale ex ante) ma anche, in una visione sostanzialistica del problema, anche nella fase di promulgazione della legge di conversione dei decreti-legge (rifiuto ex post)427. Pur nel silenzio della Costituzione sul punto

(riecheggiando in ciò letteralmente il tenore del testo costituzionale francese del 1958428) la

dottrina italiana è pressoché unanime nel ritenere che il capo dello Stato possa rifiutare di emanare un decreto-legge, come del resto l’effettività costituzionale (nel silenzio della Costituzione si potrebbe ben evocare la figura della consuetudine espositiana) abbondantemente dimostra429.

425 Esula da questa considerazione il già citato caso Cossiga (deciso definitivamente con la sentenza 290 del

2007 Corte Cost.), nel quale non si discuteva del potere di un Presidente in carica, né tanto meno di un potere tipicamente presidenziale, quanto più propriamente di un privilegio extra-funzionale non riconducibile alla funzione di garanzia esercitata dal capo dello Stato (e che anzi avrebbe infirmato il ruolo di contropotere che in questo lavoro si riconosce al Presidente).

426 Si tratta di un caso che sottolinea la coabitazione di fatto tra Presidente della Repubblica e Presidente del

Consiglio, che può essere emblematicamente riportato al noto scontro fra Mitterrand e Chirac in occasione del rifiuto del Presidente francese di emanare nel 1986 le ordonnances in materia sociale del governo di centro- destra, come si vedrà al par. 8 di questo capitolo.

427 Dal 1987, con la ritardata promulgazione della legge che avrebbe dovuto convertire il decreto legge n.

882/1986 recante fiscalizzazione degli oneri sociali, proroga degli sgravi contributivi nel Mezzogiorno ed interventi per settori in crisi, si contano almeno nove casi di questa specie. Più generalmente sul controllo del Presidente sulla decretazione d’urgenza si veda recentemente A.CARIOLA, I controlli sugli atti del Governo, con

particolare riguardo ai decreti-legge, in A.RUGGERI (a cura di), Evoluzione del sistema politico-istituzionale, cit., pp. 87 e ss.

428 Anche nella Costituzione francese il testo nomina il potere di rinvio delle leggi ma non quello del rifiuto di

emanazione delle ordonnances.

429 Così efficacemente G.SERGES, Il rifiuto di emanazione del decreto legge, www.astrid-online.it. In realtà, sulla

scia della sentenza 406/1989, la dottrina non è concorde sul fatto che il rifiuto possa assumere le forme di un rinvio (per analogia con l’art. 74 Cost.) o di un veto tout court; così M.LUCIANI, L’emanazione presidenziali dei

decreti-legge, cit., p. 139 e ss. Per i precedenti si ricordino innanzitutto Pertini, sul decreto 24 giugno 1980, sulla

verifica delle sottoscrizioni per referendum abrogativo e 3 giugno 1981 sulla disciplina delle prestazioni del servizio sanitario, nonché Cossiga (3 luglio 1989) su profili professionali del personale Anas e Scàlfaro (7 marzo 1993) su finanziamento pubblico ai partiti. Si fa notare tangenzialmente che in ben due di questi casi di rifiuto di emanazione si tratta di intervento presidenziale volto a difendere lo strumento del referendum abrogativo, il che non è secondario per comprovare la funzione del Presidente come garante dei contropoteri

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Il caso del decreto-legge sul caso Englaro, nella prospettiva che qui ci interessa, è riassunto in poche battute e si esaurisce nell’arco di una manciata di giorni. La stampa ne parla per la prima volta il 4 febbraio 2009: allora il provvedimento non raccoglie (pare) nemmeno l’assenso del Presidente del Consiglio. Due giorni dopo viene pubblicata sulla stampa, su iniziativa del Quirinale, la lettera personale indirizzata al Presidente del Consiglio nella quale il Presidente Napolitano esprimeva gravi ed insuperabili dubbi di costituzionalità sul decreto non ancora deliberato in Consiglio dei Ministri. Come noto il contenuto di tale lettera, prima di essere divulgato dagli uffici del Quirinale, venne reso noto da Berlusconi in conferenza stampa, a seguito del diniego presidenziale. Mai prima di allora il capo del Governo aveva ufficializzato con tanta evidenza il suo disaccordo con il Presidente della Repubblica430. Nessun ricorso vero e proprio alla moral suasion quindi nel

caso del “decreto Englaro”, anzi, pur non esimendosi dall’intervenire anticipatamente sull’attività normativa degli organi deputati, questa volta il Presidente lo fa proprio per anticipare ulteriormente la soglia del veto. Delle due l’una: o il controllo è anticipato alla fase di elaborazione dell’atto oppure è rimandato ad altro organo, mentre si cercherebbe di evitare attentamente (e misteriosamente) di esercitarlo puntualmente al momento giusto, quello della firma. Non è casuale infatti che anche in questo caso il conflitto istituzionale emerga proprio a seguito di quella lettera recapitata al Presidente del Consiglio prima della deliberazione del Consiglio dei Ministri. Altrettanto non è forse casuale che tale caso esemplare sia seguente a quello del lodo Alfano e riveli un modus operandi completamente diverso da parte del Presidente che, se forse non lo mette al riparo da critiche, almeno lo salva dall’ambiguità.

Se come abbiamo detto non è dubbio che il Presidente della Repubblica possa esercitare una forma di controllo (sospensivo o impeditivo) nei confronti di un atto governativo è meno sicuro che potesse farlo nel caso di specie o che piuttosto vi fossero più ragioni di farlo nel caso in esame che in quelli già sopra evocati in materia di rinvio. Le ragioni dell’incostituzionalità del decreto in parola erano tutt’altro che pacifiche, come è stato da più parti messo in luce431. Quello che sorprende quindi nella vicenda Englaro è il

ancor prima che degli equilibri istituzionali. Più generalmente in relazione a tutti questi casi (ricordati peraltro nella lettera di Napolitano) il Governo, diversamente da ciò che è avvenuto nel caso Englaro, a seguito delle riserve espresse dal capo dello Stato, avrebbe desistito dal sottoporre i singoli decreti alla firma del Presidente, come sottolinea A.GHIRIBELLI, Il potere del Presidente della Repubblica in sede di emanazione dei decreti-legge: il caso

Englaro, in www.giurcost.it. L’A. sottolinea come in un altro caso del gennaio 1986 il Presidente della

Repubblica rifiutò l’emanazione di un decreto-legge in materia di emittenti radiotelevisive private proprio aderendo all’opinione del Presidente della Corte Paladin.

430 Ricostruisce la vicenda con l’usata dovizia di particolari M.BREDA, Il Quirinale e la sorpresa della lettera svelata,

in la Repubblica, 7-II-2009, p. 1.

431 Se Pizzorusso, Vassalli e Pace si espressero per l’incostituzionalità del decreto, di diverso avviso erano

Capotosti, Marini, Mirabelli e (a quanto si apprende) Onida. Si veda Giuristi divisi sul decreto. “Cosa storta”. “No,

saggio”, in Corriere della sera, 7-II-2009, p. 5. Il Presidente nella sua missiva evocava principalmente tre rilievi

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fatto che il Presidente, normalmente così cauto nell’utilizzo del potere di rinvio, in tale occasione, abbia invece utilizzato senza remore e in prima battuta proprio il più decisivo rifiuto definitivo di emanazione. In questa occasione si può dire che proprio la concretezza del caso venisse ad annullare l’astrattezza del dubbio di costituzionalità e a creare un’anomala assimilazione tra giudizio della Corte e scrutinio presidenziale. In altre parole: il fatto “gridava” le ragioni dell’incostituzionalità che spesso sfuggono al controllo in astratto ed alimentava lo scontro con chi non condivideva le stesse ragioni. Infatti l’incostituzionalità né in astratto né in concreto è mai propriamente auto-evidente e deriva sempre da un’interpretazione, cioè sempre dalla decisione del contropotere. Di più: il frangente del controllo decretale come veto assoluto getta una luce ulteriore sull’accostamento già fatto tra controllo presidenziale e quello esercitato del giudice delle leggi e consentirebbero anche in questa materia di rintracciare quella complementarietà già individuata fra i due organi in sede legislativa. Anche le differenze che la dottrina ha spesso cercato di tratteggiare per individuare una netta demarcazione tra controllo presidenziale e quello della Corte in nome di una non necessaria diversificazione si fa sottile fino ad annullarsi432. Le valutazioni del Presidente e della Corte possono tranquillamente

sovrapporsi: anche fare riferimento al merito costituzionale come elemento qualificante e specifico del sindacato presidenziale non definisce affatto una reale divisione di campi, se si considera che nemmeno la Corte esercita un controllo di mera legittimità sugli atti ma anzi, con l’uso della ragionevolezza, ormai da anni ha costituito una giurisprudenza al limite con l’opportunità costituzionale.

7. Il garante della Costituzione francese: chef de l’Etat o Conseil