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Segue: Dottrina Ciampi nel rapporto tra Presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale: il caso de

IV. I CONTROPOTERI NEL PROCEDIMENTO LEGISLATIVO : P RESIDENTI DELLA R EPUBBLICA E C ONSEIL

4. Segue: Dottrina Ciampi nel rapporto tra Presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale: il caso de

Il legame fra Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale va ben oltre il collegamento evidente tra i due derivante dal potere presidenziale di nominare un terzo dei giudici della Consulta così come emerge dall’art. 135 Cost393. La dottrina da tempo si è

confrontata sul punto, giungendo ad esiti divergenti, in particolare per quanto riguarda il tentativo (a nostro parere non così essenziale) di ricercare in base a quali elementi i due tipi di controllo esercitati dalle due alte istanze si differenzino. Per essere più perspicui: la dottrina ha spesso cercato, in modo più o meno dichiarato di individuare le modalità d’azione e le caratteristiche che distinguono il Presidente dalla Corte costituzionale soprattutto in merito al controllo che i due organi esercitano sulle leggi394. La ricerca di una

tale differenziazione appare invero poco utile, considerando che tali organi non hanno

"costituzionalizzasse" tutto e il contrario di tutto sarebbe non una costituzione ma il caos”, G. ZAGREBELSKY, La

Costituzione come bandiera, in La Repubblica, 30-I-2012.

393 Il legame tra Corte e Presidente iniziò a divenire tangibile fin dal discorso d’insediamento alla presidenza

di Giovanni Gronchi, che ebbe un ruolo senza dubbio determinante nell’attuazione della disposizione costituzionale istitutiva della Corte stessa. Come la migliore dottrina ha notato – opponendo giustamente il blocco delle strutture di governo e di quelle di garanzia, nella nostra stessa prospettiva – l’affiancamento della giustizia costituzionale al capo dello Stato ha notevolmente diffuso e stemperato la responsabilità del controllo sulle leggi che prima gravava esclusivamente sul Presidente. Si veda L.CARLASSARE, Strutture di

governo e strutture di garanzia nell’attuazione della Costituzione, Relazione al Convegno “La Costituzione della Repubblica Italiana. Le radici, il cammino” - Bergamo, 28-29 ottobre 2005, in www.astrid-online.it.

394 Fonda tale distinzione Roberto Romboli, con la sua nota divisione fra Corte come garante della “Costituzione dei diritti” e del Presidente come tutore della “Costituzione dei poteri”, in R.ROMBOLI, Presidente della

Repubblica e Corte costituzionale, in M. LUCIANI-M. VOLPI (a cura di), Il Presidente, cit., pp. 334-335. La ricostruzione in parola appare invero poco utile e si ritiene preferibile la visione unificante del Cheli, che parlando di funzione di controllo costituzionale (ed inserendosi così pienamente nella lettura del Barile) annota, al di là delle differenze procedurali che connotano l’azione presidenziale e quella giurisdizionale: “la

funzione di controllo costituzionale cui l’attività degli stessi organi può essere ricondotta resta pur sempre unitaria, in quanto diretta al medesimo fine della salvaguardia della Costituzione e alla garanzia della stabilità costituzionale”, così E.CHELI, Il

Presidente della Repubblica come organo di garanzia costituzionale, in. A.PACE (a cura di), Studi in onore di L. Elia, vol. II, Milano, 1999

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pressoché nulla in comune al di là della loro funzione di garanzia. Non solo: essa è foriera di conseguenze indesiderabili, idonee a favorire più o meno direttamente la contrazione della responsabilità costituzionale del Presidente su leggi incostituzionali in sede di rinvio o, all’opposto in modo quasi paradossale, l’ampliamento eccessivo dei limiti del suo potere395.

Solitamente si afferma che il Presidente si differenzi dalla Corte anche perché ad esso sarebbe impossibile effettuare uno screening di tutta la legislazione in sede di promulgazione. Tenendo per vera questa ipotesi, a tutto concedere, non si vede per quale motivo si dovrebbe escludere la doverosità del rinvio per i casi di macroscopica incostituzionalità. Creare un’area di discrezionalità politica in merito al rinvio (relativo all’an e/o al quomodo) per differenziarlo sostanzialmente dal controllo esercitato dalla Corte crea una superfetazione scientifica che non trova riscontro nelle esigenze dell’ermeneutica costituzionale. Potremmo dire infatti che sempre di controllo costituzionale si tratta, pur con una differenza: che quello presidenziale è essenzialmente controllo eventuale di costituzionalità in astratto (potendo quindi estendersi al merito costituzionale e a quanto concerne lo spirito della Costituzione) basato sull’auto-correzione del controllato (come tipicamente accade nei controlli amministrativi sulla gestione) mentre quello della Corte è necessario, concreto, puntuale (basato sulla corrispondenza sul chiesto e il pronunciato come tipicamente nei controlli di tipo formale)396.

Esempio chiaro dell’atteggiarsi del capo dello Stato nel senso di distinguere il proprio controllo (da un punto di vista non solo quantitativo ma anche qualitativo) da quello della Corte è sicuramente la vicenda poco felice del lodo Alfano (in costanza della presidenza Napolitano) che, per molti versi riprende coerentemente quella del precedente lodo Schifani (capo dello Stato allora era Ciampi)397. Si è già messa in luce la particolare

situazione che si venne a creare in quell’occasione398: la pendenza concomitante della legge

di conversione del decreto-legge 92 del 2008, contenente la norma cd. blocca-processi, e della legge 124/2008 (lodo Alfano) ha per molti versi giustificato, agli occhi di chi vede nel Presidente un controllore politico (in tal senso ben distinto dalla Corte), il mancato rinvio

395 Tale ultima conclusione è chiara se si considerano le motivazioni che portarono il Pres. Cossiga a rinviare il

15-IX-1990 la legge sull’obiezione di coscienza, derivando proprio dall’asserita differenza tra potere presidenziale e quello del sindacato costituzionale l’estensione del parametro del rinvio non solo al merito costituzionale ma anche a quello meramente politico.

396 L’obiezione per cui nel nostro sistema non esiterebbe un sistema di costituzionalità in astratto ha un rilievo

meramente formalistico che perde di vista l’unica possibile e credibile definizione del controllo presidenziale sulle leggi. Si vedano le suggestioni espresse in A.SPADARO, Prime considerazioni sul Presidente della Repubblica

quale garante preventivo della Costituzione ed eventuale parte passiva in un conflitto per interposto potere, in A.ANZON-B. CARAVITA-M.LUCIANI-M.VOLPI (a cura di), La Corte costituzionale e gli altri poteri dello Stato, Torino 1993, pp. 285 ss.

397 La precisa ricostruzione delle vicende che portarono all’approvazione del lodo Schifani, con riferimento al

comportamento del capo dello Stato in merito al suo coinvolgimento nell’iter procedimentale legislativo sono analizzate in APUGIOTTO, “Veto players” e dinamiche istituzionali nella vicenda del “lodo Maccanico”, in Quad. cost., 2004, pp. 258 e ss.

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della legge che prevedeva l’immunità per le più alte cariche dello Stato399. In altre parole il

non rinvio della l. 124 del 2008 (e anzi la sua veloce promulgazione) poteva essere la condizione per evitare il “male maggiore”, ovvero l’approvazione della blocca-processi. A tutto concedere appare comunque immotivato il contenuto sia del comunicato con cui il Presidente aveva autorizzato la presentazione del disegno di legge Alfano alle Camere del 2 luglio 2008, sia quello con cui si rendeva nota la promulgazione della legge (23 luglio 2008): in entrambi i casi il Presidente aveva evocato la giurisprudenza costituzionale (erroneamente, per quanto concerne il merito della questione, a giudicare dal contenuto dalla sent. 262/2009) per giustificare prima l’autorizzazione poi la promulgazione.

Non era certo la prima volta che il capo dello Stato “usava” la giurisprudenza costituzionale, anzi si può dire che i richiami alle pronunce del giudice delle leggi nei messaggi di rinvio, dall’avvento del fatto maggioritario, si siano fatti negli anni decisamente più ricorrenti e circostanziati400. Si tratta di un elemento importante, che sottolinea proprio

la continuità delle funzioni esercitate dai due organi, Presidente e Corte. In particolare si ha l’impressione che il capo dello Stato tenda proprio ad “appoggiarsi” sulla giurisprudenza del giudice delle leggi per rafforzare la persuasività dei messaggi di rinvio, alimentando la sinergia del circuito dei contropoteri401. Si tratta di un prassi virtuosa, che tuttavia può

essere foriera di passi falsi, laddove il capo dello Stato dimostri scarsa prudenza e giunga a forzare l’interpretazione offerta dalla Corte, quasi a configurarne un revirement. Proprio il caso del lodo Alfano dimostra come il coinvolgimento della Corte possa essere quanto mai

399 Per una ricostruzione di queste dinamiche si veda anche D.CHINNI, Quirinale e legge Alfano: riflessione sulle esternazioni presidenziali, e M.C.GRISOLIA La legittimità del “lodo Alfano” tra controllo del capo dello Stato e controllo

della Corte costituzionale, entrambi in R.BIN,G.BRUNELLI,AGUAZZAROTTI,A.PUGIOTTO,P.VERONESI (a cura di), Il lodo ritrovato. Una quaestio e un referendum sulla legge n. 124 del 2008, Torino, 2009, p. 98 e ss.e 143 e ss. Il trade-off tra lodo Alfano e pacchetto sicurezza appare comunque problematico, considerando che il Presidente Napolitano (pur dopo l’espunzione del blocca-processi) non ha esitato a promulgare criticamente quello stesso pacchetto sicurezza che conteneva comunque (si veda il comunicato del Quirinale del 15 luglio 2009) altri profili non poco problematici che avrebbero di per sé motivato il rinvio (per tutti: il reato d’immigrazione clandestina).

Si veda F. CHIARELLI, Il Presidente della Repubblica e i decreti legge sui “Pacchetti Sicurezza”, in www.amministrazioneincammino.luiss.it.

400 Fino al 1993 sono stati solo due i casi in cui il capo dello Stato ha evocato la giurisprudenza della Corte:

Pertini nel messaggio del 19 gennaio 1983 in materia di vincoli di bilancio e Cossiga in quello del 1 febbraio 1992 in materia di obiezione di coscienza. Dal 1994 si riscontrano invece sei casi: il messaggio di rinvio di Scàlfaro del 11-VIII-1994 in materia di riorganizzazione del sistema sanitario, quello di Ciampi in materia d’incompatibilità dei consiglieri regionali (5-XI-2002), di riforma del riassetto del sistema radio-televisivo (15- XII-2003), di riforma dell’ordinamento giudiziario (16-XII-2004), e in quello della legge cd. Cirielli (20-I- 2006). Anche il rinvio di Napolitano sul cd. collegato lavoro (31-III-2010) fa abbondante riferimento alla giurisprudenza della Corte.

401 In questa lettura si sostanzia la natura consolare dei rapporti che legano il Presidente alla Corte in un

rapporto di stretta collaborazione nel quale un potere controlla l’altro nella suggestiva lettura di Spadaro: A. SPADARO, Storia di un "consolato" di garanzia: il Presidente-garante e la Corte-custode a cinquant'anni dall'inizio

dell'attività della Consulta, in AAVV, La ridefinizione della forma di governo attraverso la giurisprudenza costituzionale,

Napoli, 2006, pp. 603 e ss. Si sottolinea tuttavia che non si tratta di un rapporto paritario: ai sensi dell’art. 134 Cost. il tutore della Costituzione che prevale sarebbe sempre e comunque la Corte Costituzionale.

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rischioso, sia per quanto riguarda l’autonomia di giudizio della Corte, sia (ex post) per l’autorevolezza Presidente. L’arma della citazione può quindi trasformarsi da vettore di rafforzamento reciproco delle due istituzioni in un pericoloso volano, determinato da dubbie ragioni di opportunità politica che adombrano un atteggiamento “auto- giustificazionista” e deresponsabilizzante da parte della Presidenza. Con ciò non si vuol dire che Presidente e Corte non possano offrire due diverse interpretazioni della stessa norma ma laddove l’una contraddica l’altro è chiaro che la coerenza e compattezza di quello che abbiamo definito il circuito dei contropoteri non può che esserne scalfito402.

La linea presidenziale espressa nei due comunicati precitati ha infatti creato un evidente imbarazzo per la Corte. La sentenza 262/2009 ha espressamente richiamato i due comunicati del Quirinale e ha dovuto escludere proprio per fair play costituzionale la sussistenza del vizio di violazione del giudicato costituzionale rispetto alla precedente sentenza 24 del 2004 sul lodo Maccanico-Schifani403. Di più: non bisogna nemmeno

sottovalutare l’impatto ampiamente negativo che, forse non casualmente, la sentenza del 2009 ha avuto nei rapporti tra Presidente del consiglio e capo dello Stato404 nonché tra

Corte costituzionale e governo405. In altre parole anche se il Presidente mantiene un “basso

profilo” in sede di promulgazione, le incostituzionalità passate sotto silenzio in questa fase rischiano di diventare ancor più eclatanti in sede di giudizio incidentale, giungendo ad addossare alla Corte la responsabilità di una censura definitiva. Il pericolo sotteso a tali situazioni è quello che si produca una costante “traslazione in avanti” del disvelamento e della risoluzione dell’incostituzionalità, che sarebbe in tal modo ritardato e demandato all’organo di ultima istanza406.

Strumentale a questo differimento della risoluzione dell’incostituzionalità è certo una prassi di moral suasion troppo pervasiva che giunge a configurare il Presidente come un “co-legislatore interessato” e che non può essere che dannosa per l’equilibro della forma di

402 Conferma tale tesi anche l’autorevole opinione di Zagrebelsky sul recente caso del conflitto di attribuzioni

tra il Presidente della Repubblica Napolitano e la procura palermitana: “Presidente e Corte, ciascuno per la sua parte,

sono entrambi “custodi della Costituzione”. Sarebbe un fatto devastante, al limite della crisi costituzionale, che la seconda desse torto al primo; che si verificasse una così acuta contraddizione proprio sui principi che sia l’uno che l’altra sono chiamati a difendere”. G.ZAGREBELSKY, Napolitano, la Consulta e quel silenzio sulla Costituzione, in Repubblica, 17-VIII-2012.

403 Si vedano le opportune considerazioni di A.PUGIOTTO, La seconda volta, in Cassazione penale, 2010, pp. 33 e

ss.

404 Da più parti si è affermato (soprattutto dall’on. Berlusconi) che il capo dello Stato avrebbe sostanzialmente

garantito l’immunità della legge Alfano all’esame della Consulta. Non rileva particolarmente che il fatto sia vero o meno, in quanto esso mette comunque in luce che in ogni caso la moral suasion esercitata dal Presidente Napolitano non mise comunque questi al riparo dalle accuse di parzialità giunte dopo la sentenza della Corte. Si veda Lodo Alfano bocciato, Berlusconi accusa Napolitano, in Il messaggero, 8-X-2009, pp. 2-3.

405 Il ragionamento dell’on. Berlusconi in occasione della bocciatura del lodo Alfano davanti alla Corte, che

evocava il contrasto tra la (nemmeno dissenziente) promulgazione presidenziale e della sentenza della Corte, non era poi così stravagante. L’ira di Berlusconi: affondo su Napolitano e Consulta, in Il mattino, 8-X-2009, p. 4.

406 A questo rischio non si sottrae nemmeno la Corte, se si pensa alla sentenza 23/2011 in materia di legittimo

impedimento che, come ogni sentenza interpretativa o di manifesta infondatezza, rimanda ai giudici ordinari la risoluzione dell’antinomia.

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governo407. Non si vuole dire che moral suasion non deve mai e in nessun modo avere luogo

(si tratta di una consuetudine invalsa anche prima della presidenza Ciampi) ma che debba arrestarsi al punto idoneo che consenta al capo dello Stato di mantenere la sua terzietà rispetto al singolo provvedimento in esame. In realtà non si vuole escludere che il Presidente sia un co-legislatore: se diamo a questo termine una accezione non partigiana, esso designa semplicemente colui che prende parte al procedimento legislativo. Invero non pare dubitabile che un rinvio presidenziale che ha l’effetto di inserirsi all’interno del procedimento legislativo e che anzi lo fa ripartire con precise indicazioni “emendative” non sia per nulla configurabile come intervento sostanziale di colegislazione. A differenza del caso dell’intervento della persuasione morale però qui si è di fronte ad un contropotere attivo che agisce come colegislatore ai sensi della Costituzione, alla luce delle forme procedurali prescritte. Il problema quindi non è il contributo del Presidente nella confezione del testo normativo, quanto le modalità e la trasparenza di tale apporto.

Il problema si pone anche in senso inverso, cioè dalla Corte al Presidente. In realtà la Corte non nomina mai la “giurisprudenza presidenziale” anche nei rari casi in cui s’imbatta in una legge già rinviata dal capo dello Stato. Ciò non solo per l’esiguità del numero delle leggi rinviate dal Presidente (se paragonate a quelle scrutinate dalla Corte) ma anche per il fatto che nella maggior parte dei casi le leggi rinviate sono o riapprovate con le modifiche chieste dal Presidente o abbandonate oppure, ancora, toccano vizi di costituzionalità408 (o di merito) che normalmente non possono giungere fino alla suprema

Corte409. In conclusione solo in pochi casi la Corte ha potuto esprimersi su una legge già

rinviata dal Presidente (mentre è pressoché ordinario, benché non fisiologico nella nostra lettura, che la Corte sia spesso giunta a decidere dell’incostituzionalità di una norma passata indenne al vaglio del capo dello Stato). Non sempre l’interpretazione della Corte è stata la medesima di quella presidenziale ma in tal caso il rischio di delegittimazione per il capo dello Stato esiste solo in corrispondenza di leggi particolarmente sensibili dal punto di vista politico410. Non si dimentichino poi importanti pronunce nelle quali la Corte, pur senza mai

407 Già durante la presidenza Ciampi, in occasione della discussione parlamentare della legge Cirami, l’ex

Presidente Scàlfaro aveva messo in guardia il suo successore da un ricorso al metodo della persuasione, idoneo a creare un pericoloso precedente: Scàlfaro, il governo ha messo Ciampi ai limiti della Costituzione, in L’unità, p. 11.

408 Si tratta delle leggi insuscettibili di essere applicate in un procedimento, quelle astrattamente o

concretamente irrilevanti o che riguardino la copertura finanziaria oppure che toccano più specificamente la “Costituzione dei poteri”: anche se non bisogna sottovalutare a questo ultimo proposito l’importanza del giudizio per conflitto di attribuzioni, in tali materie notoriamente il Presidente rimane l’unico custode della Costituzione e il suo scrutino non può che essere particolarmente accurato.

409 Solo in questo senso si potrebbe affermare una necessitata complementarità fra Presidente e Corte,

dovendo il capo dello Stato necessariamente rinviare quelle leggi insuscettibili di essere giustiziate dalla Corte.

410 Si è visto a tal proposito il caso del lodo Alfano. Diverso fu il caso dell’ordinanza (d’infondatezza)

458/1998 che giunse a sconfessare profondamente l’interpretazione di Cossiga (rinvio dell’agosto 1991) in merito alla costituzionalità della figura del giudice di pace. Diverso (e decisamente più frequente) il caso contrario, ovvero di una legge non rinviata dal Presidente ma poi censurata dalla Corte: ciò è accaduto 43

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citarlo corrobora l’interpretazione costituzionale già offerta dal Presidente sul medesimo testo411. Esemplare, in tale prospettiva, la sentenza 360 del 1996 in materia di reiterazione

dei decreti-legge, che fece seguito ad un solenne monito rivolto dal Presidente Scàlfaro al Governo nella medesima materia412.

Con un’efficace generalizzazione si potrebbe dire che, vigente il sistema proporzionale, il Presidente era spesso criticato per le leggi che rinviava (soprattutto nel caso della presidenza Cossiga)413, mentre nel regime maggioritario, dalla Presidenza Ciampi

in particolare e soprattutto durante quella di Napolitano, l’osservazione critica mossa al Presidente è esattamente di segno opposto. La conseguenza di ciò è rotonda: il tentativo di esasperare la differenza tra funzione di controllo giuridico esercitata dalla Corte e dal Presiedente può condurre (e conduce di fatto) ad una deresponsabilizzazione del secondo sul fronte del rinvio.

Non solo: il rinvio deve essere riguardato anche sotto il profilo contenutistico, dalla prospettiva del tipo di messaggio che accompagna la decisione presidenziale. Benché la dottrina non abbia mai sottolineato quest’aspetto, a quanto sembra, esso è dirimente per delineare con più esattezza il tema in questione. Soprattutto a partire dalla presidenza Ciampi i messaggi che accompagnano il rinvio cambiano decisamente struttura: mentre nel sistema proposizionale il rifiuto di promulgazione assumeva la forma di una laconica comunicazione alle Camere, nella stagione del maggioritario i messaggi presidenziali diventano decisamente più corposi e particolareggiati. Si assiste in altre parole alla necessità del capo dello Stato di motivare in senso vero e proprio il rinvio, con un’argomentazione giuridica che assume quasi le forme di una pronuncia para-giurisdizionale. Anche in questo profilo di strategia argomentativa si avverte un sottile avvicinamento tra Presidente e Corte. Ancora: potremmo osservare che nella prassi suindicata delle leggi promulgate “con motivazione contraria” si celi proprio il malessere di un contropotere che tenta di uscire dalla tradizionale e stringente alternativa veto/assenso: in ciò non si può non vedere un’analogia con il cammino effettuato sia dalla Corte che dai comitati promotori dei referendum e che ha portato la prima, come già accennato, alla formulazione delle sentenze interpretative e il secondo ai quesiti di abrogazione parziale e manipolativi.

volte a Pertini, 54 volte a Cossiga, in 26 occasioni durante la presidenza Scàlfaro e 8 con Ciampi (al gennaio 2004). Si veda Il Quirinale: nessun dramma, in democrazia è fisiologico, in Il corriere della sera, 14-I-2004, p. 6.

411 Così ad esempio la sent. 373/1995 della Corte costituzionale sulla legge di conversione (già rinviata) del

decreto-legge n. 401/1994 recante disposizioni urgenti in materia di organizzazione delle unità sanitarie locali e, soprattutto la serie di sentenze che tra il 2006 e il 2008 giunsero a modificare la cd. ex Cirielli già rinviata del Presidente Ciampi.

412 Si ricordi la lettera del 30 maggio 1996 nella quale il Presidente auspicava che “prima del prossimo autunno, e cioè prima della sessione di bilancio, il problema possa essere avviato a definitiva soluzione. Se questo accadrà mi sarà evitato di dover esercitare con accentuato rigore i miei poteri di garanzia dinanzi alla reiterazione di decreti legge decaduti”. Non è

casuale che la sentenza della Consulta sia dell’ottobre di quello stesso anno.

413 Unica eccezione a questa “regola” è probabilmente quella di Einaudi, che non rinviò nel 1953 la cd. legge-