IV. I CONTROPOTERI NEL PROCEDIMENTO LEGISLATIVO : P RESIDENTI DELLA R EPUBBLICA E C ONSEIL
12. Segue: Revirement giurisprudenziale e contrasto con il giudice delle leggi
Raramente come nel caso della vicenda del burqa è possibile osservare non solo l’intercambiabilità delle basi giuridico-costituzionali che possono motivare un preciso provvedimento legislativo ma anche come questa fungibilità di principi possa essere sintomo dell’ “opportunismo giuridico” del legislatore. Si è già detto come, secondo l’opinione espressa dalla stessa missione parlamentare, il fondamento di una legge sul burqa potesse basarsi su due esigenze (alternative o cumulative fra loro): il principio di laicità e di dignità della donna da un lato e quello legato al rispetto dell’ordine pubblico dall’altro. Nessuna delle due basi giuridiche sembrerebbe essere sufficiente per il Conseil d’Etat a motivare un bando generalizzato del velo integrale. Quando il governo aveva deciso di adire in via consultiva il Conseil d’Etat aveva riposto troppa fiducia in una pronuncia assai criticata del supermo giudice amministrativo nel quale veniva discutibilmente affermato il principio (indisponibile dal singolo) della dignità della persona umana492. Il principio della
dignità era stato poi strettamente correlato in quella precedente decisione ad un non ben definito principio di ordine pubblico che, manifestamente, rischiava, se confermato, di introdurre nell’ordinamento l’opinabile connotazione dell’ordine pubblico ideologico (non materiale).
490 A parere di chi scrive la scelta di prevedere l’ordinaria segretezza degli avis così importanti del Conseil in
questa fase (e diversamente da quanto non avvenga in Italia ove essi sono normalmente pubblici) deriva probabilmente proprio dal pericolo che essi possano essere “usati” dall’opposizione parlamentare in funzione anti-governativa.
491 Si veda capitolo III, par. 11.
492 La concatenazione delle decisioni è importante: la decisione del Conseil d’Etat Morsang sur Orge del 27
ottobre 1995, cosiddetta “du lancer du nain” segue (non casualmente) ad una decisione del Conseil constitutionnel del 24 luglio 1994 nella quale il principio della dignità umana era stato elevato a principio di valore costituzionale. Nella decisione del Conseil d’Etat si va oltre questa generica affermazione, sottolineando come il principio in questione inibirebbe all’individuo di praticare attività contrarie alla sua dignità di uomo. Si vede come, se il Conseil d’Etat non avesse mutato giurisprudenza, la sua decisione non avrebbe potuto che confortare un’interdizione generalizzata del velo integrale.
176
Il parere del Conseil d’Etat, davanti alla possibilità di giungere ad una definizione così lata di ordine pubblico arretrava dunque e ritornava sulla giurisprudenza passata, usando come sostegno per il revirement uno scudo importante: la giurisprudenza costituzionale e, ancor più, la giurisprudenza CEDU che, a parere del giudice amministrativo sembrava sbarrare ogni strada ad un divieto generalizzato del velo integrale fondato sull’ordine pubblico o sul principio della dignità umana493. Pare insomma di capire
che il Conseil d’Etat smentisca se stesso pur senza ammetterlo, dopo aver fatto mostra dell’inevitabilità della soluzione, alla luce della lunga teoria di decisioni giurisprudenziali citate nel parere stesso, sembrando demandare ad altri la responsabilità del decisum. Certo al Conseil constitutionnel ma, soprattutto, alla CEDU e ciò per una ragione estremamente importante: in Francia il giudice che deve fare valere la contrarietà di una norma interna con una convenzionale non è il Conseil constitutionnel, ma il giudice ordinario (secondo la già citata decisione CE Nicolo del 1989). In questo senso, è il Conseil d’Etat a fare valere in Francia le ragioni della CEDU e del suo imponente repertorio giurisprudenziale, che si presenta sostanzialmente come un’estensione del tradizionale bloc de constitutionnalité. Il Conseil d’Etat inoltre si spinge assai avanti nel medesimo parere, prendendo posizione sull’interpretazione della giurisprudenza offerta dal Conseil constitutionnel nella materia discussa: come il nostro capo dello Stato, anch’esso si è esposto al rischio (per se e per lo stesso giudice delle leggi) di legare le mani all’ultimo custode della Costituzione.
La presa di distanze del Conseil constitutionnel non si è fatta attendere: quando ha dovuto giudicare della costituzionalità della legge 1192-2010 (che costituiva un’aperta sconfessione del Conseil d’Etat) non ha mancato di validare l’intera legge con la decisione 613 del 2010 DC. La pronuncia del Conseil constitutionnel è sorprendentemente breve e giunge a fare sostanzialmente quello che il supremo giudice amministrativo non aveva osato fare, cioè estendere la nozione di ordine pubblico oltre i suoi confini tradizionalmente materiali, forte di una concezione assolutamente rigida (tipicamente francese) del principio di uguaglianza, affidandosi ad una forma di giudizio di proporzionalità quanto mai evanescente. Ciò che desta stupore è che la decisione sia
493 Il Conseil d’Etat sottolinea come « (…) Il faut néanmoins souligner que cette conception de l’ordre public, qui a retenu l’attention de la mission de l’Assemblée nationale, n’a jamais été élaborée ni par la doctrine juridique, ni par les juges, et qu’elle ne semble pas rencontrer d’échos dans les systèmes juridiques de nos voisins européens. Elle serait donc soumise à des risques importants de censure constitutionnelle et d’aléas conventionnels. Les occurrences de l’ordre public dans la jurisprudence constitutionnelle renvoient en effet quasi-systématiquement aux composantes traditionnelles » (p. 28). Se però il Conseil
constitutionnel non aveva mai preso prima un’esplicita posizione sui temi di cui si tratta, ben diverso è il discorso sulla giurisprudenza CEDU, che da un lato aveva sancito pochi anni prima la prevalenza della libertà di autodeterminarsi sul principio della dignità individuale (arrêt KA et AD c. Belgio del 17 febbraio 2005 in materia di pratiche sado-masochiste) e l’insussistenza dell’ordine pubblico come concetto slegato da un pericolo concreto per la collettività (23 febbraio 2010, Ahmet Arslan c. Turchia). Un’interpretazione accurata del parere del Conseil è data da D. DE BECHILLON, Voile intégral : éloge du Conseil d'État en théoricien des droits
177
passata sostanzialmente inosservata e non abbia sollevato particolari obiezioni da parte della dottrina maggioritaria.
L’argomento di cui trattiamo apre a questo punto sull’ultimo capitolo del nostro lavoro perché si ritiene che la decisione sulla legge che vieta la dissimulazione del viso negli spazi pubblici costituisca forse (ed inaspettatamente) il modo più emblematico per mettere in luce la relazione non sempre facile fra i due Conseil (aspetto che la dottrina che si è occupata della questione non ha in nessun modo messo in luce) e la conseguente l’insidiosità di un aperta incoerenza tra le giurisprudenze del giudice amministrativo e quello costituzionale in una materia tanto delicata come quello del contrasto tra ordine pubblico (vero o presunto che sia) e libertà individuale. Ciò si traduce in un rischioso e brusco revirement di sistema (dal Conseil d’Etat al Conseil Constitutionnel) che nuoce alla coerenza e alla compattezza del circuito dei contropoteri provocato (se seguiamo la lettura del supremo giudice amministrativo) da un immotivato revirement del giudice delle leggi494. La
medesima decisione ci permette poi di individuare ed anticipare gli elementi essenziali per analizzare l’attività del giudice costituzionale francese. In primo luogo l’insidiosità del contrôle de proportionnalité esercitato dal Conseil constitutionnel soprattutto a partire dai primi anni ‘00 (in ciò assimilabile al certo più corposo e consolidato controllo di ragionevolezza effettuato dalla Corte italiana) come scappatoia di fatto per insidiose political questions, nonché la strategia e metodologia decisionale usata dal giudice delle leggi e la sua funzione di contropotere495.
494 Il revirement di giurisprudenza costituisce un fenomeno importante per capire non solo la solidità di
un’istituzione ma è anche utile per valutare come il giudice stesso possa subire il condizionamento di altri organi giurisdizionali e/o politici. Da questo punto di vista un revirement normalmente nella giurisprudenza costituzionale francese è profondamente condizionato da quello che anche la dottrina chiama “droit vivant
contextuel”. Per fare un esempio di ciò Thierry Di Manno ricorda la celeberrima (vedremo nel capitolo
successivo perché) decisione del Conseil constitutionnel del 1993 in materia di immigrazione: “Le revirement du
Conseil constitutionnel a alors principalement pour objet de supprimer une divergence de jurisprudence avec les juridictions ordinaires, dans l’intérêt bien compris de l’unité du droit”. T. DI MANNO, Les revirements de jurisprudence du Conseil
constitutionnel français, in Les cahiers du Conseil constitutionnel, 2006, p. 137-138.
495 Per tutti questi aspetti si rimanda al capitolo successivo. Tuttavia, anticipando la conclusione dell’analisi
che verrà effettuata, si vuole riportare l’opportuna conclusione di uno dei pochi contributi dottrinali che ha esaminato davvero sotto la lente del diritto costituzionale l’esemplificativa decisione sul burqa: “n’est-ce pas pour
exercer un contrepoids face à la majorité que la justice constitutionnelle a été mise en place? Admettre que le juge constitutionnel doit se plier à la volonté de la majorité, c’est nier l’intérêt du contrôle de constitutionnalité des lois dans une démocratie”. L’A.
osserva anche come il controllo di proporzionalità del Conseil constitutionnel si sia originato da quello tradizionalmente usato dal Conseil d’Etat e mette in risalto proprio sul caso del burqa come il diverso esito a cui giungono i due giudici derivi proprio da una concezione troppo restrittiva del controllo di proporzionalità accolta dal Conseil constitutionnel rispetto a quella usata dal Conseil d’Etat: “Le juge administratif y a d’ailleurs
développé les différents degrés du contrôle juridictionnel, celui exercé à l’égard des pouvoirs de police en matière de restriction des libertés s’apparentant au contrôle dit « maximum ». Or, en l’espèce, le contrôle exercé est un contrôle minimum limité à l’erreur manifeste d’appréciation, et encore se limite-t-il à l’emploi d’une « formule incantatoire » qui ne permet pas au lecteur de la décision de saisir le raisonnement développé pour considérer qu’il n’y a pas d’erreur manifeste”. Così M. FATIN-ROUGE STEFANINI, Le Conseil constitutionnel face à la loi anti-burqa : entre garantie des droits fondamentaux, sauvegarde de l'ordre
178