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di Massimiliano Civica

Nel documento Il Popolo e i suoi servi (pagine 181-185)

Ettore Petrolini credeva profondamente nell’eguaglianza, per lui gli uomini erano veramente e naturalmente tutti uguali: tutti imbecilli, lui per primo. È questo, probabilmente, il “segreto di Pulcinella” della sua arte. Lo aveva capito tra i primi Pietro Pancrazi che (in un articolo in cui polemizzava con i Futuristi che pretendevano iscrivere Petrolini tra le loro fila) di lui scriveva:

Il segreto di Petrolini, come tutti i grandi segreti, è stato assai semplice. Petrolini ha avuto il coraggio di essere idiota, apertamente, liberamente e allegramente idiota; più idiota che poteva. E c’era in realtà — e forse c’è ancora — tutta una letteratura che tende segretamente all’idiozia come a una suprema liberazione, senza tuttavia avere il coraggio delle ultime risoluzioni. Petrolini invece questo l’ha avuto; e, perciò, egli ha ora il diritto di figurare come un modello e un maestro tra quelli che forse credevano di nobilitarlo accogliendolo come compagno. È invece ancora lui che può insegnare agli altri.

Petrolini dunque artista dell’idiozia. Ma qual era il suo modo di essere idiota, la specificità della sua idiozia? O, per dirla con Pancrazi, quali erano le ulti-me risoluzioni che Petrolini ha avuto il coraggio di intraprendere sul cammino dell’idiozia?

Io credo che, queste sue risoluzioni, siano fondamentalmente due.

1. Petrolini primus inter pares degli idioti

Petrolini non si tirava fuori dalla mischia dell’idiozia, si considerava un idio-ta tra gli idioti. Tra il Petrolini creatore di macchiette e il soggetto delle sue macchiette non c’era scarto critico: egli, cioè, non metteva parodisticamente

alla berlina gli altri ponendosi al riparo di un piano d’intelligente distacco. In lui, insomma, non c’era alcun pathos della distanza tra chi fa parodia e chi è oggetto di parodia.

Oggigiorno la satira è spesso autoindulgente, tronfia della propria intelligenza, piena di un senso di superiorità rispetto alla vittima di turno dei suoi strali. Vediamo infatti comici che, mentre fanno il verso a qualcuno — uomo della strada, politico o personaggio famoso che sia — al contempo, uscendo per un attimo dalla parte, ammiccano in tralice al loro pubblico (di riferimento), come a dire: «Noi sappiamo che questo qui è scemo, mentre lui non ha co-scienza di essere ignorante e imbecille, per questo noi ridiamo di lui». Petrolini invece non voleva essere più intelligente degli altri, anzi si autode-nunciava imbecille tra gli imbecilli. Così, ad esempio in Gastone, mettendo alla berlina il tipo dell’attore di varietà (e, dunque, sé stesso), affermava di essere «vuoto, senza orrore di sé», si descriveva come colui che era condannato a fornire «le tre ore di buonumore, il ridere, ridere, ridere!». Alla folla che ri-empiva i teatri per applaudirlo, Petrolini si mostrava — affacciandosi dietro la macchietta di quell’imbecille di Gastone — per quell’imbecille che egli stesso era; perfettamente conscio e soddisfatto della funzione che era chiamato a svolgere: quella di un fantoccio senza orrore di sé che si dimena e “fa le facce” sulla scena per fornire agli spettatori le loro tre ore di buonumore. Prendere in giro prendendosi in giro: imbecille lui che mostra la sua vacuità e imbecille il pubblico che, per vedere quella vacuità, paga.

Per questo suo mettersi allo stesso livello esistenziale di imbecillità del suo pubblico, quello stesso pubblico gli era grato e lo riconosceva come un suo rappresentate ed amico.

Scrive lo stesso Petrolini:

[...] perché in fondo in fondo il pubblico li ama i propri zimbelli, e talvolta li ammira e li stima; e ne assapora certe sentenze apparentemente scipite. Li ama e li stima perché senza saperlo riconosce in essi ancora una volta sé stesso; perché sente che posseggono quella sublime idiozia che è la sola intelligenza capace di trionfare su certi problemi insolubili e di rispondere a certe domande.

L’idiozia come bene comune contro certi problemi insolubili. L’idiozia come porto franco, asilo e sospensione dall’obbligo, non di trovare un senso per la vita e la morte, ma dall’obbligo di dover scegliere tra il senso e il non senso, di dover schierarsi o per il senso o per il non senso.

2. Il fine ultimo dell’idiozia è l’idiozia

Dietro la maschera del giullare si nasconde il filosofo. Dietro la maschera di Fortunello c’è sempre e solo un idiota. Il coraggio più estremo di Petrolini è stato quello di vedere nell’idiozia un fine, non un mezzo. Di fronte alle

doman-de insolubili lui rispondoman-de con un’idiozia, ovvero respinge la domanda al mitten-te. La sua idiozia è assoluta, totalizzante, non ammette che la si metaforizzi, che vi si cerchi o veda qualcosa dietro o oltre.

In fondo, tra il nichilista che proclama il non senso della vita e il fedele che invece lo afferma, c’è una parentela: entrambi credono in una dialettica, en-trambi prendono posizione, enen-trambi hanno certezze; di fatto, affermando che c’è o non c’è senso, essi rimangono all’interno del “senso comune”. Per essi tertium non datur, mentre Petrolini è l’alfiere di una personalissima terza via: la sua idiozia è un bordeggiare costante tra senso e non senso, tra vuoto e pieno, senza mai pendere da una parte o dall’altra. È il rifiuto, titanico se vogliamo, di prendersi la briga di mettersi a cercare un senso (o un non senso). Petrolini, letteralmente, non se ne occupa, perché l’idiozia è al di là del “senso comune”, perché lui è imbecille, e l’imbecillità è l’unica risposta che salva da chi si e ti pone domande. Ascoltiamo ancora:

La cretineria dei mei Salamini non ha nessun dovere di essere intelligente, cioè di cercare una ragione intelligente dove questa non esiste.

[...] Perché sì.

Ecco la vera, l’unica ragione. Perché?... Perché sì.

UN PROFESSORONE: Perché la terra gira? SALAMINI: Perché si.

UN SECONDO PROFESSORONE: Perché la lira italiana vale meno di quella francese? SALAMINI: Perché sì.

TERZO PROFESSORONE: Perché la Germania ha perso la guerra? SALAMINI: Perché sì.

La fede assoluta che Petrolini ha nell’idiozia, il suo stare sempre da un’altra parte rispetto alla logica e all’antilogica (perché essere idioti è terza via rispet-to ad esse), fanno sì che egli sia inafferrabile, non inquadrabile, non definibile. Petrolini rifiuta tutto tranne l’idiozia e, così facendo, nessuno può farlo suo. Non accetta che gli sia dato un ruolo, un senso o una forma: contro critici, giornalisti ed esegeti lui affila le armi di un’idiozia che si avvoltola su sé stessa e non va da nessuna parte:

Mi dicono che in quanto artista io ho per obbligo di creare e di crearmi ogni sera. Ma io m’infischio di questo mio obbligo di creazione: e poi m’infischio di infischiarmene. Entro nel nulla; nelle su-preme sfere dell’idiozia; e il mio motto resta sempre quello degli anni passati: «Ho crompato [sic] i salamini e me ne vanto». Sistema filosofico che non ammette contraddizioni, non ammette repli-che: t’inchioda lì amici e nemici. Non si va più in là; non si danno spiegazioni. Non c’è argomento in pro o in contro che regga: «Ho crompato [sic] i salamini e me ne vanto». È una tragicomica sfida al senso comune...

Di fronte a tutto ciò non si sa che pesci pigliare, non si sa letteralmente come “pigliare Petrolini” e, anche, se sia il caso “di pigliarsela a male” con lui. In que-sto senso è emblematico un aneddoto. Si racconta che Mussolini avesse deci-so di dare un’onorificenza a Petrolini per i successi che aveva avuto con i suoi spettacoli all’estero, e incaricò un gerarca di dargli una medaglia. Nell’attimo esatto in cui il gerarca stava appuntando la medaglia sulla giacca di Petrolini, quest’ultimo fece il saluto fascista e urlò: «E io me ne fregio!». Il povero gerar-ca, confuso, non sapendo se mandarlo al confino o ridere, se ne andò. Petrolini dunque non vuole né trarre conclusioni né, come Amleto, farsi trarre a conclusione. Ma come si è conclusa la storia della sua vita? Un aneddoto racconta che in punto di morte, davanti al giornalista Silvio D’Amico che lo vegliava, nel momento dell’agonia si tirò su nel letto e disse: «Muoio per una donna, ma non la amo!» e subito dopo spirò. Soffriva di angina pectoris, e sic-come la parola angina ha una terminazione femminile, Petrolini immaginava che fosse una donna e spesso diceva scherzando: «Angina è la donna che, prima o poi, mi ruberà il cuore!»

Nel documento Il Popolo e i suoi servi (pagine 181-185)