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Teatro contemporaneo e grecità

Nel documento Il Popolo e i suoi servi (pagine 162-166)

Questo potrebbe essere stato il rapporto del pubblico con questo tipo di spet-tacolo; ma chi sono gli spettatori di oggi? Quanto conoscono il teatro greco o la ricerca teatrale contemporanea, o le relazioni tra le due cose di volta in volta messe in campo?

Il pubblico attuale non ha visto, per motivi anagrafici, le opere di questi pri-mi anni, ma continua a fare riferimento ad allestimenti “alla maniera greca”, alimentando un fraintendimento. Le fonti storiche non ci confortano, poco si conosce della messa in scena greca, se non attraverso pitture vascolari e i pochi documenti del tempo. I testi antichi mettono sempre alla prova registi e scenografi sulla loro rappresentabilità; arduo se non impossibile essere fe-deli ad una tradizione di cui ci sono giunte scarse testimonianze. Anche Luca Ronconi individuava come problema fondamentale «il grande lasso storico di dimenticanza» dovuto a «una non continuità di tradizione rappresentativa»9;

9 L. Fontana, Conversazione con Luca Ronconi, in “Numero unico, XXXVIII Ciclo di Rappresentazioni Classi-che”, Siracusa, INDA Fondazione, 2002, p. 42.

tuttavia sappiamo che gli avvenimenti erano vissuti dagli spettatori nel proprio tempo e ne ricaviamo ancora vivo il tema spesso perfettamente aderente agli accadimenti contemporanei.

Fondamentale è l’assenza della skenè, smontata sotto Carlo V con il rivesti-mento della cavea, i cui blocchi di calcare in opera quadrata furono ricicla-ti dalle maestranze per la costruzione dei basricicla-tioni che dovevano proteggere Ortigia, la parte a cui si era ridotta la città a quel tempo; l’assetto originario del teatro greco di Siracusa è modificato: oggi il luogo ne esalta le vestigia in forma di rudere restituendo uno spazio neutro che, perfettamente al passo con le istanze contemporanee del teatro, fornisce infinite possibilità sceniche che possono prendere corpo a partire dalle antiche pietre mimetizzando l’in-tegrazione, o dirompere con elementi di contrasto che pongono la “finzione in evidenza”. Questa configurazione, che rende necessario il progetto scenico, di anno in anno, risente del tempo e dell’impostazione della scena contempo-ranea elaborata dalla ricerca dei gruppi artistici che si avvicendano. Da sem-pre, dopo la riapertura del Teatro Greco, si è di fatto portato in scena teatro contemporaneo, e non teatro “alla maniera greca”, per il quale il pubblico si riferisce a un ricordo di un teatro pregno di una recitazione accademica, di magistrali interpretazioni dei grandi attori, anch’essa in un secolo profonda-mente modificatasi.

È così che questa splendida impronta teatrale, priva di “quarta parete”, ada-giata sul colle Temenite, propone ogni anno spettacoli per i quali è profuso un arduo impegno e un lungo lavoro creativo e di ricerca. Il pubblico siracusano, veterano del teatro, cresciuto tra le sue pietre, educato sin dalla scuola allo studio della cultura greca e dei classici, mantiene vivo e si tramanda il ricor-do di spettacoli memorabili, delle interpretazioni storiche, del successo degli allestimenti scenici che abilmente lo hanno blandito, toccando le corde del ricordo e delle affinità classiche assorbite nell’immaginario.

Un pubblico che però si divide e che, anche se preparato sui testi, vi assiste sempre ricercando il racconto storico e mitologico. Spesso sfugge l’univer-salità dei temi, che superano l’evento storico rappresentato; la regia tenta di cogliere e trasmettere la condizione umana, il senso esistenziale della tragedia, i grumi delle inimicizie, le relazioni sociali e umane sviluppate anche nella de-bolezza e nella forza insite nella natura umana. L’attualità dei testi immortali spesso spinge a trasposizioni, a trasferire all’attualità situazioni che i ricorsi storici propongono nella storia dell’umanità.

Al centro delle tragedie ci sono Dei che muovono la vita umana e che, so-prattutto oggi, si tramutano in escamotage concettuali, incarnando aspetti del pensare, del sentire e dell’agire umano. Dunque la scenografia non cerca il

mimetismo, anzi si orienta verso una ri-mediazione che arricchisca lo sguardo veicolando il messaggio attraverso spazi funzionali che si adeguino alla vastità del teatro: la misura dello spazio che impedisce l’astrazione.

Ma le sperimentazioni, il rinnovo, la reiterazione necessaria e sempre nuova sembra non cogliere l’approvazione del pubblico: il consenso è “sfaccettato”; gli habituè vivono nel ricordo del passato, la massa — la maggioranza non si-racusana — se non attratta da nomi importanti e presenti nei circuiti teatrali, giocando la carta della riconoscibilità, prende le distanze dalle scelte innovati-ve, necessariamente lontane da una visione filologica, gridando poi all’azzardo e all’allontanamento da una — non ben definita — tradizione.

Forzature e contrasti verso un’attualizzazione spesso non ripagano, ma la so-brietà e il minimalismo non vanno scambiati per trascuratezza o eretismo. Abdicando a ogni intento di accattivarsi il pubblico, il difficile obiettivo per-seguito è far leva sulle azioni educative del teatro, portandolo ad un lento percorso di conoscenza, fornendo codici di accesso per apprezzare scelte con-temporanee e necessità poetiche, scardinando i preconcetti. La scenografia, come la drammaturgia non dovrebbe essere «mai giudicata sulla base di quei segni esteriori di sedicente modernità che solo all’apparenza dànno a un’opera lo status di “contemporanea”, essendo poi risaputo che la nozione di contem-poraneità è essa stessa sottoposta a una mutazione continua talmente rapida che è quasi impossibile — oltre che limitativo — giudicare un’opera “al passo coi tempi” solo perché in possesso di certi requisiti del “qui e ora”». Queste parole sono di Ronconi, prese in prestito da uno dei suoi ultimi scritti, dove esorta il pubblico a divenire accorto e autosufficiente; si auspica che «privo di guida» trovi una sua “rotta” nel testo10, comprendendone nella violenza delle passioni e nel destino dei personaggi, l’inafferrabile essenza delle tematiche e dei motivi, la potenza archetipa dei personaggi che hanno prodotto nel tempo le numerose riscritture confermandone l’estrema modernità.

Uno scavo analitico dunque è necessario per ri-plasmare il materiale testua-le esistente e sottoporlo ad una inevitabitestua-le contaminazione nella traduzione, nella regia e nella scenografia.

«Le nostre conoscenze» sostiene Peter Stein «si sono arricchite nel tempo con l’osservazione, ma se non si conoscono in profondità le radici della tragedia, la lingua originale, lo stato di trasmissione del testo dall’antichità fino ad oggi, si comincia troppo presto a sviluppare una maniera che diventa appropriazione dell’opera e sovrapposizione delle proprie ossessioni agli elementi e alle idee

della tragedia. [...] Allora la cosa più importante è mantenere la distanza da tutti questi testi e, con il supporto di più forme di sapere, sviluppare un con-cetto che dia la possibilità agli attori di oggi di dare vita a queste opere»11. Il Nuovo teatro, i cui principi si tentò di delineare nella redazione del Ma-nifesto di Ivrea (1967), aborriva quel sistema ormai stantio di distribuzione degli spettacoli, soffocato dalle ingerenze politiche e dominato dalle esigen-ze commerciali legate alla domanda del pubblico, tipicamente borghese, che costituiva l’esercito degli abbonati. Il teatro da allora richiese a gran voce la «creazione di nuove estetiche indipendenti dal dominio del testo»12; un teatro capace di progetti sperimentali, di innovazione dei linguaggi come mezzi per restituire interesse e partecipazione attiva del pubblico, differenziato come al tempo dei greci, per classi sociali e per cultura, costituito da «[...] gente diversissima [...] che sceglie però di assistere alla stessa rappresentazione, non per una casualità [...], ma perché ha voluto essere lì, come fatto di consumo, di nutrimento» didattico più che di svago, disposto a riflettere su ciò che vede, a ricevere novità e provocazioni: un teatro «che Pasolini chiamava rito culturale. Il teatro come cosa per tutto il popolo»13. Il luogo siracusano si comporta per-fettamente secondo l’esigenza comune e sentita del ripensato rapporto tra platea e palcoscenico, tra interprete e pubblico, senza diaframmi con totale coinvolgimento.

È necessario oggi puntare su un nuovo pubblico, recuperare «l’attività dello spettatore e la ricerca di rapporti attivamente dialettici»; attestandosi a storici concetti brechtiani che riguardano la funzione che l’artista assegnava al teatro in rapporto al suo pubblico: «le scelte visive del suo teatro, la purezza del suo spazio drammatico, di un “assoluto reale”, sarebbero diventati un importante riferimento, anche formale, per il teatro successivo»; uno spazio concepito per attrarre, anche fisicamente lo spettatore, che nega il suo ruolo di oggetto da contemplare14.

Un nuovo pubblico, dunque, composto da varie classi e generazioni, dove i gio-vani sono da sempre quelli che dimostrano maggiore disponibilità e ricettività nei confronti delle novità in ogni campo della cultura.

11 E. Giliberti, Conversazione con Peter Stein, in “Numero unico, XL Ciclo di Rappresentazioni Classiche”, Sira-cusa, INDA Fondazione, 2004.

12 F. Perrelli, Ivrea ’67: presbiopia e miopia, in AA.VV., Ivrea Cinquanta. Mezzo secolo di Nuovo Teatro in Italia. 1967-2017, Genova, AkropolisLibri, 2018.

13 A. Latella, La relazione con il pubblico, “Il Patalogo. Annuario del teatro 2005” n. 28, Milano, Ubulibri, 2005. 14 Cfr. «il nuovo progetto culturale» di cui scrive Massimo Castri, citato in A. Malaguti (a cura di), La scena della contemporaneità. Indagine sulle arti dello spettacolo in Italia e in Europa, Milano, Franco Angeli, 2009.

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