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CAPITOLO II POETICA

2.2 Modelli poetici e influenze letterarie

2.2.3 Menandro

Già nel 1947, quando Pallada era un poeta quasi del tutto sconosciuto, RAINES195

scriveva “the most imitator of Menander is Palladas of Alexandria” e tale affermazione può essere considerata ancora valida. E’ pur vero che, fra tutti i poeti comici, Menandro è in genere il più frequentemente citato forse per il messaggio etico-moraleggiante veicolato nei propri versi. In ogni caso l’interesse palladiano per Menandro è interessante proprio perché così marcato ed evidente rispetto a quello per altri poeti196. Potremmo sinteticamente affermare che Pallada imita Menandro seguendo tre importanti canali: è il suo principale modello letterario; lo chiama direttamente in causa nei suoi epigrammi per citarne i detti (vd. Pall. AP 10.52)197; lo imita in quanto autore scolastico. D’altra parte l’imitazione palladiana si rivolge principalemnte alle gnomai e ciò vale non solo per Pallada198: la stessa Anthologia è costellata di espressioni, proverbi, sintagmi che nel contenuto e nella forma imitano e riproducono, del corpus menandreo, soprattutto le gnomai. In effetti, è noto che i manoscritti delle gnomai

monostichoi erano in circolazione già a partire dal III sec. d.C. anche se è improbabile,

come rileva RAINES199, (ma non impossibile) che il compilatore dell’Antologia avesse

accesso diretto a queste raccolte, poiché in tal caso il numero delle sentenze sarebbe stato ancora più alto. E’ forse più semplice pensare a dei florilegia di sentenze ed

195

RAINES 1947:95.

196

Sarebbero auspicabili ulteriori studi su questo problema oltre agli importanti contribuiti di BARBIERI

2002/3e RAINES 1947.

197

La definizione di Menandro come “uomo delle Muse e delle Cariti” doveva essere comune vd. anche

adesp. AP 9.187 αὐταί σοι στομάτεσσιν ἀνηρείψαντο μέλισσαι/ ποικίλα Μουσάων ἄνθεα

δρεψάμεναι·/αὐταὶ καὶ Χάριτές σοι ἐδωρήσαντο, Μένανδρε,/ στωμύλον εὐστοχίην δράμασιν ἐνθέμεναι.

198

Sull’importanza delle massime e in particolare di quelle menandree nella formazione scolastica cfr. CRIBIORE 2001:199-201;MORGAN 1998:145, la studiosa fra l’altro nota come anche la cultura latina recuperò gran parte della cultura gnomica di ascendenza menandrea (o sapienziale) basti pensare al fatto che i “detti” di Catone erano una traduzione diretta delle sentenze di Menandro.

199

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epigrammi la cui origine, come più volte rilevato, poteva essere legata ad esempio agli ambienti scolastici (cfr. infra). In ogni caso, in qualsiasi modo Pallada avesse avuto accesso alle gnomai menandree, è certo che le conosceva a livello quasi mnemonico e amava citarle, come dimostra il continuo ricorso a questo tipo di materiale da parte del poeta. Vi è perfino il caso di epigrammi composti come veri e propri “centoni” di sentenze menandree, volendo citare anche solo pochi esempi Pall. AP 11.286 (οὐδὲν γυναικὸς χεῖρον, οὐδὲ τῆς καλῆς·/δούλου δὲ χεῖρον οὐδέν, οὐδὲ τοῦ καλοῦ·/χρῄζεις ὅμως οὖν τῶν ἀναγκαίων κακῶν·/εὔνουν νομίζεις δοῦλον εἶναι δεσπότῃ;/καλὸς δ' ἂν εἴη δοῦλος ὁ τὰ σκέλη κλάσας) ricalca in maniera quasi letterale due sentenze di Menandro (fr. 801 K-A τὸ γαμεῖν, ἐάν τις τὴν ἀλήθειαν σκοπῇ,/κακὸν μέν ἐστιν, ἀλλ' ἀναγκαῖον κακόν200

), Pall. AP 10.95 (μισῶ τὸν ἄνδρα τὸν διπλοῦν πεφυκότα,/ χρηστὸν λόγοισι, πολέμιον δὲ τοῖς τρόποις), benché si tratti di un concetto comune, subisce sicuramente l’influenza di Men. sent. 483 Jäkel (μισῶ πονηρόν, χρηστὸν ὅταν εἴπῃ λόγον). Come notato da RAINES201colpisce il fatto che le sentenze menandree ebbero larga diffusione in un tipo di letteratura che poi torna frequentemente anche nell’opera di Pallada, si tratta delle iscrizioni sepolcrali (vd. infra § 2.3.2) dove il dato della letteratura gnomologica è effettivamente molto forte.

E’ interessante notare la diversa modalità con cui Pallada e Menandro citano da un lato le sentenze e dall’altro i proverbi, tale diversità, infatti, riflette la distinzione concettuale che entrambi dovevano percepire202: i proverbi sono espressioni «codificate», citati come si citano le frasi d’autore, con le sentenze, invece, il poeta ripropone un concetto noto, ma non noto in una specifica formulazione. Questa differenza si esprime nei due poeti anche a livello formale, attraverso l’utilizzo o meno di formule introduttive, in questo caso Pallada si allontana dal modello: Menandro tende ad introdurre il proverbio con la formula τὸ λεγόμενον (e.g. Asp. 372), più raramente con il termine ῥῆμα (e.g. Asp. 189 sgg.), anche se vi sono casi in cui non utilizza nessuna formula preliminare203; Pallada, invece, solitamente cita il proverbio in «medias res» senza nessuna espressione introduttiva (e.g. 9.503, 9.394 etc.), fanno eccezione, in questo senso, gli epigrammi *9.379, 10.48 e 10.55 dove compaiono rispettivamente le formule φάσι παροιμιακῶς, ἐστὶ παροιμιακόν e φησίν. Nell’unico caso in cui Pallada utilizza una formula introduttiva, si serve dell’espressione παροιμιακῶς laddove in Menandro il termine παροιμία in questo senso ricorre una sola volta (Dis. Exp. 27 sgg.). Per quanto riguarda le sentenze, invece, sia Pallada che Menandro riservano loro il medesimo trattamento introducendo accorgimenti fonici ed espedienti retorici come anafore, allitterazioni etc. in modo tale che l’attenzione del lettore venga focalizzata

200

Cfr. RAINES 1947:96.Data la disorganicità dell’epigramma che appare privo diunità strutturale, lo

studioso non esclude l’ipotesi che le singole sentenze, che sembrano susseguirsi indipendentemente l’una dall’altra, in origine fossero separate e siano state unite da interventi successivi dei copisti. Per altri esempi di “centoni” menandrei in Pallada si rimanda al commento.

201

RAINES 1947:94-95.

202

Cfr. SCHIRRU 2005:6 sgg.

203

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sopra di essi e risulti più semplice la memorizzazione. Si possono citare esempi come Men. Adelph. II fr. 9.1 K-A ἔργον εὑρεῖν συγγενῆ/ πένητός ἐστιν, Georg. fr. 2.5 Sandbach τὸ τῆς τύχης γὰρ ῥεῦμα μεταπίπτει ταχύ con allitterazione di τ e assonanza τύχης /ταχύ; Pall. AP 10.73 εἰ τὸ φέρον σε φέρει, φέρε καὶ φερου204

, Pall. AP 10.58 γῆς ἐπέβην γυμνὸς γυμνός θ' ὑπὸ γαῖαν ἄπειμι·, Pall. AP 10.34 εἰ τὸ μέλειν δύναταί τι, μερίμνα καὶ μελέτω σοι...etc.: gli accorgimenti fonici vengono anche introdotti per conferire alla sentenza un valore sapienziale.

Ma il punto in cui l’imitazione del dettato menandreo diviene più marcata ed esplicita riguarda il tema della volubilità della Tyche, presente in maniera quasi ripetitiva in entrambi i poeti: per questo problema si rimanda agli importanti contributi di BARBIERI205 e BOWRA206 e, in parte, al capitolo sulla religione palladiana (vd. § 4.1).

L’immagine della volubilità della Tyche, icasticamente rappresentato dal termine ῥεῦμα, è un concetto elaborato ed espresso da Menandro in forma gnomico-sentenziosa che Pallada recupera introducendolo in molti dei suoi epigrammi, basti pensare ad epigrammi come il 10.62 (v.2 τοῖς ἰδίοις ἀλόγως ῥεύμασι συρομένη) o il 10.87 (v.2 Τύχην τε πόρνης ῥεύμασιν κινουμένην). Questo tema, sviluppato secondo un lessico e una forma proprie di Menandro, è così frequente in Pallada (cfr. e.g. 9.180, 182, 183 10.96 etc.) che si può sottoscrivere l’affermazione di BARBIERI207: “la riflessione

sull’instabilità della Fortuna” rappresenta il “nucleo generatore della memoria menandrea in Pallada”. Nel capitolo IV, affrontando la specifica questione del ruolo esercitato dalla Tyche nel mondo filosofico di Pallada, si evidenzia come l’epigrammista recuperi da Menandro l’idea dell’instabilità ma che nello stesso tempo approfondisca quest’aspetto giungendo all’idea che la Tyche operi volutamente in vista dell’ingiustizia e del male degli uomini; il problema sarà ampiamente discusso a livello teorico e filosofico nel capitolo IV, in questa sede, invece, è importante soffermarsi sul significato poetico-letterario di tale rielaborazione. Prima di tutto, è necessario sottolineare come l’imitazione palladiana di Menandro non possa prescindere dal filtro della scuola: nel caso citato sopra, ad esempio, l’interesse al tema dell’ingiustizia della

Tyche potrebbe essere legato, oltre che ad una preferenza personale del poeta, ad

un’intera letteratura “scolastica” circolante che il poeta-grammatico sicuramente conosceva e di cui presumibilmente si serviva in classe. Possediamo infatti un interessante papiro pubblicato da BARNS208 contenente una collezione di gnomai di vari autori, per la maggior parte derivanti dall’opera di Menandro, confezionato ad uso scolastico209, che rappresenta un’importante testimonianza del tipo di testo utilizzato nelle scuole egizie al tempo di Pallada. Le gnomai sono incentrate principalmente sul

204 BARBIERI 2003/4 205 BARBIERI 2003/4. 206 BOWRA 1960A. 207 BARBIERI 2003/4:114. 208 BARNS 1950:126sgg. 209 Cfr.BARNS 1950:136sgg.

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tema della Tyche e la fonte cui si attinge è essenzialmente Menandro: è chiaro che Pallada, in qualità di insegnante, avrà letto o comunque conosciuto queste antologie di

gnomai ed è possibile che non solo, ma anche da esse, gli sia derivata l’“ossessione” per

il tema della Tyche210. BARBIERI211ritiene che il florilegio debba essere considerato “il

normale canale di accesso a Menandro” per Pallada e giustifica questa affermazione dimostrando che i motivi menandrei proposti dall’epigrammista in genere possono essere ricondotti ad un generico Volksglaube o più specificamente alla tradizione gnomologica212. Chiaramente l’ipotesi dovrà essere applicata non solo alle sentenze ma in generale all’opera di Menandro, poiché la dipendenza palladiana dal comico non si esprime solo nella riproposizione delle gnomai, si tratta, più generalmente, di una percezione delle cose che i due poeti condividono (ad esempio l’atteggiamento misogino e misantropico213, l’invito ad evitare pensieri metafisici214 o a ricercare il silenzio215 etc.) o se si vuole di singoli elementi intellettuali in cui Pallada, affine a Menandro, si riconosce tale. Inotre le strette analogie fra alcuni epigrammi di Pallada e altri testi poetici riconducibili non solo a Menandro ma al genere comico in generale (vd. Pall. AP 11.381 πᾶσα γυνὴ χόλος ἐστίν· ἔχει δ’ἀγαθὰς δύο ὥρας/ τὴν μίαν ἐν θαλάμῳ, τὴν μίαν ἐν θανάτῳ cfr. Hipp. fr. 66 Degani δύ' ἡμέρ⌋αι γυναικός εἰσιν ἥδισται,/ὅταν γαμῆι τις⌋ κ⌊ἀ⌋κφέρηι τεθνηκυῖαν, adesp. fr. 1265 K-A γυναῖκα θάπτειν κρεῖττόν ἐστιν ἢ γαμεῖν = Men. sent. 151 Jäkel) confermerebbero l’ipotesi di una fonte comune, almeno a livello tematico.

Il quadro descritto porta ad enucleare due canali attraverso cui il modello menandreo penetra il dettato poetico palladiano: non possiamo escludere un rapporto diretto tra i due poeti vista anche la forte circolazione dell’opera di Menandro in ambiente scolastico, ma la via principale credo debba essere considerata quella dei florilegi e delle sillogi di testi gnomici e filosofici di vario genere contenenti, fra gli altri, anche i testi menandrei, in particolare le raccolte di sentenze. A conferma di ciò, si possono menzionare i numerosi casi in cui un nesso presente in Pallada, che l’epigrammista potrebbe avere derivato direttamente da Menandro, è presente anche in altre antologie

210

La questione è affrontata anche nel commento a Pall. AP 10.62 (vd. ad loc.).

211

BARBIERI 2003/4:114-5.

212

Anche CAMERON 1965A:228aveva fortemente sostenuto la possibilità che Pallada, data la sua attività

di insegnante, avesse avuto accesso al testo menandreo solo nella forma dello gnomologio. BARBIERI

2003/4: 114-5 si sofferma in particolare su Pall. AP 10.73: citando chiari paralleli con alcuni testi

menandrei (sent. 15 Jäkel ἀνδρὸς τὰ προσπίπτοντα γενναίως φέρειν, 813 φέρειν ἀνάγκη θνητὸν ὄντα τὴν τύχην, fr. 159 K-A = Stob. 4.44.40 ὧν δὲ μὴ αἴτιος τρόπος,/τά γ' ἀπὸ τῆς τύχης φέρειν δεῖ γνησίως τὸν εὐγενῆ) lo studioso non pensa ad uno specifico rapporto fra i due autori, ma ad un comune deposito di

testi gnomici da cui entrambi potevano dipendere. FRANKE1899: 47-72 in particolare 71 ipotizzava

addirittura l’esistenza di una silloge compilata dallo stesso Pallada in cui sarebbero confluiti non solo i suoi stessi epigrammi e le sentenze menandree, ma testi gnomici e comici di vario genere, in particolare gli epigrammi di Luciano cfr. § 6.3.

213

Vd. e.g. Pall. AP 9.165.1 e 9.167.1 cfr. Men. fr. 508 K-A, sent. 278, 380 e soprattutto 66 Jäkel.

214

Vd. e.g. Pall. 11.56 cfr. Men. sent. 246 Jäkel, ma si tratta in ogni casi di temi topici vd. e.g. Eur. Alc. 799, Crat. AP 7.327 etc.

215

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gnomologiche contemporanee a Pallada, ma con diversa attribuzione: oltre al già citato Pall. AP 10.73 (vd. supra), è importante ricordare Pall. AP 9.394 (vd. ad loc.) dove il nesso ὀδύνης καὶ φροντίδος υἱέ sembra presupporre Men. Dysc. 88 ὀδύνης...ὑός, ma non si deve trascurare il fatto che il distico è attestato in forma leggermente variata nel florilegio di Georgide (p. 96 Boissonade) dove, però, è attribuito a Coricio di Gaza e nella raccolta dello Pseudo-Focilide (vv. 44 sgg.) che confermano, ancora una volta, il dato di una letteratura gnomica caotica e “ingarbugliata” in cui i motivi sentenziosi, dopo aver subito un processo di rielaborazione formale, passano da una silloge all’altra impedendo, di fatto, ogni tentativo di attribuzione. In sintesi credo che una corretta comprensione della fruizione palladiana di Menandro non possa prescindere dalla necessità di collocare il modello nel preciso contesto della letteratura gnomica e filosofica tramandata nelle sillogi e nelle antologie.