Le misure a bassa frequenza non sono molto complicate da effettuare: sup-poniamo di avere un circuito, del quale conosciamo, mediante specifiche, il valore della resistenza di carico RL(con relativa incertezza); misurando sem-plicemente la tensione efficace ai suoi capi, Vef f, potremo trovare la potenza semplicemente mediante la relazione:
PL = Vef f
RL
Come mai parliamo di grandezze efficaci? La risposta `e semplice: il segnale `e idealmente sinusoidale, tuttavia il mondo in cui viviamo `e reale, e non ideale, dunque eventuali fenomeni di distorsione all’interno del segnale (come il rumore) provocherebbero enormi errori di misura, utilizzando un tipo di voltmetro diverso da quello a valor efficace.
Data dunque una resistenza nota, un voltmetro diventa un wattmetro, semplicemente tarando la scala con grandezze quadratiche. In questo caso, l’incertezza relativa varr`a:
εPL = 2εVef f + εRL
Il discorso che abbiamo effettuato `e assolutamente corretto, fatta un’ipote-si che non abbiamo finora esplicitato: il generatore di tenun’ipote-sione o corrente del quale misuriamo la potenza, affinch`e questa potenza sia un dato utile, deve essere adattato; in altre parole, l’impedenza di carico deve essere uguale al complesso coniugato dell’impedenza interna del generatore. Finora abbiamo considerato tutto adattato, ma molto spesso pu`o capitare di non essere cos`ı fortunati: consideriamo di avere, per ipotesi, impedenze puramente resistive, e cio`e non consideriamo disadattamenti sotto il punto di vista delle reattanze; al fine di avere carico adattato, la resistenza vista dal generatore dovr`a essere semplicemente uguale alla sua resistenza interna.
Come possiamo garantire l’adattamento anche quando effettivamente non c’`e, per poter effettuare una misura di potenza utile? Semplice! Adat-tando il carico, mediante un dispositivo in grado di farlo: il trasformatore. Per trasformatore intendiamo quindi semplicemente due induttori accoppiati, idealmente privi di perdite (ossia che non introducono, nel nostro circuito, errori di consumo).
L’idea fondamentale `e la seguente:
Si inserisce un trasformatore con pi`u possibilit`a di accoppiamenti, e in cas-cata un attenuatore variabile At, con resistenza caratteristica sempre uguale a R0: il primo blocco serve ad adattare il generatore al resto del circuito, il secondo a variare la portata del circuito di misura.
Disponendo di pi`u induttori, tutti accoppiati tra loro, selezionabili medi-ante un comando esterno, `e possibile sceglierne diverse coppie, in modo da ottenere diversi rapporti di spire ingresso-uscita, considerando N1 il numero di spire dell’induttore in ingresso (primario), ed N2 il numero di spire del-l’induttore in uscita (secondario). Supponiamo dunque di avere, a destra del secondario, una resistenza nota R0 (propria dell’attenuatore); il generatore che stiamo studiando vedr`a un’impedenza pari a:
RL= R0
µ
N1
N2
¶2
La potenza attiva entrante nel trasformatore sar`a pari a:
PAV = VE
RL
Dove VE `e la tensione ai capi del primario del trasformatore; la potenza disponibile del generatore, ossia la potenza massima che `e in grado di fornire, ad un carico adattato, si potr`a calcolare facilmente a partire da un’ipotesi preliminare: consideriamo errori di consumo bassi da parte degli induttori accoppiati, e quindi potenza entrante nell’attenuatore At quasi uguale alla potenza attiva entrante nel trasformatore prima calcolata. Considerando V0 la tensione ai capi dell’ingresso dell’attenuatore, la potenza in ingresso ad esso, P0, sar`a pari a:
P0 = V
2 0
R0
Considerando dunque come detto bassi errori di consumo del trasforma-tore:
Passiamo al blocco successivo: in ingresso all’attenuatore avremo la poten-za P0 prima presentata; in uscita da esso, vedremo nuovamente una resistenza pari a R0, nella quale entrer`a una certa potenza PM; supponendo di misurare con un misuratore M la tensione VM ai capi di quest’ultimo resistore R0, la potenza su di esso varr`a:
PM = VM2
R0
Poich`e consideriamo valida la relazione P0 ' PAV, possiamo dire che:
V2 M R0 = A2 tV2 0 R0 = A 2 tP0 ' A2 tPAV
I discorsi che abbiamo finora fatto sarebbero corretti, se fossero verificate le ipotesi sulle quali ci siamo basati; ci`o purtroppo non `e del tutto vero, in quanto gli induttori che vengono utilizzati per realizzare i trasformatori, per quanto di buona qualit`a, sono un elemento critico per il circuito che abbiamo realizzato, e senza dubbio avranno un errore di consumo non trascurabile: gli avvolgimenti con i quali sono realizzate le spire degli induttori, infatti, sicu-ramente dissiperanno una percentuale di potenza entrante non trascurabile. Dal momento che per`o le frequenze dei segnali che stiamo considerando sono relativamente basse (al limite, frequenze acustiche), possiamo pensare che gli induttori si comportino abbastanza similmente a dei corto circuiti, e quindi considerare valido tutto il nostro discorso. Si veda comunque da ci`o quanto imprecise siano le misure di potenza, rispetto a quelle di tensione o corrente. Prima di passare al secondo tipo di misure di potenza, una piccola par-entesi: perch`e si effettuano misure di potenza, parlando anche solo di basse frequenze? La potenza `e storicamente (e non solo) il parametro pi`u utile per indicare concetti quali efficienza, guadagno, attenuazione; caratterizzare un certo insieme di blocchi sotto il punto di vista del rapporto potenza in uscita su potenza in ingresso, significa ottenere un numero molto elevato di infor-mazioni riguardo ad esso: abbiamo accennato al fatto che trattiamo, finora, frequenze al massimo acustiche: le tecniche che abbiamo appena introdotto, sono in grado di garantirci una misura di discreta accuratezza di potenza di amplificatori acustici, in modo da permetterci di conoscere le caratteristiche di un dispositivo piuttosto che di un altro, quali per l’appunto guadagno in potenza o efficienza.