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Voltmetri a valore efficace

Nel documento Misure Elettroniche (pagine 60-64)

3.2 Strumenti in corrente alternata (AC)

3.2.3 Voltmetri a valore efficace

Finora, abbiamo calcolato in vari modi una continua, basandoci su sistemi di diverso tipo, e a partir dal valore ricavato abbiamo calcolato, mediante alcune leggi, il valore efficace Vef f. I voltmetri a valore efficace sono pi`u interessanti (nonch`e pi`u usati degli altri, molto spesso), in quanto misurano, a prescindere dalla forma d’onda del segnale, il suo valore efficace, Vef f. Il valore efficace `e una definizione basata a partire dalla definizione di potenza media, che dunque andr`a ripresa:

P = 1 T R T |v(t)|2dt R

Legato a questa definizione di potenza, si introduce dunque la definizione corretta di valore efficace come:

Vef f = s 1 T Z T |v(t)|2dt

Come gi`a detto, una delle cose veramente interessanti di questo strumen-to, `e il fatto che `e utilizzabili in forme d’onda di qualsiasi tipo: sinusoidali, non sinusoidali, distorte, rumorose (ossia rumori di diverso tipo). Se i due tipi di strumenti prima presentati non sono in grado di presentare per come sono realizzati in maniera corretta il risultato, strumenti di questo genere presentano come risultato il valore efficace, e lo presentano correttamente qualsiasi sia il segnale.

Esistono due categorie di voltmetri a valore efficace: una basata su prin-cipi elettromeccanici, in grado di realizzare strumenti robusti, perfetti per applicazioni industriali, ma assolutamente non accurati; la categoria che uti-lizzeremo noi, da laboratorio, per studiare elettronica di segnale, si basa su

elaborazioni analogiche del valore efficace Vef f, mediante circuiti abbastanza elaborati, di diverso tipo.

Questo tipo di sviluppo analogico di Vef f si basa sostanzialmente sulla definizione di valore efficace, implentata mediante blocchi in grado di effet-tuare il quadrato del segnale, di integrarlo, e di far la radice dell’integrale appena ricavato.

Altro schema piuttosto interessante `e la conversione elettrotermica, che ora vedremo pi`u nel dettaglio.

Conversione elettrotermica

Dati due resistori identici, anzich`e misurare direttamente la tensione efficace, si calcola l’equivalente tensione continua in grado di mandare il resistore alla temperatura a cui si trova, a causa del passaggio di corrente. Si tratta della soluzione pi`u utilizzata in ambito di voltmetri a valore efficace.

Entrando meglio nel merito, sappiamo che una tensione v(t), ai capi di un resistore R, provoca una variazione (incremento) di temperatura ∆θ, per effetto Joule. Questa tensione `e alternata, ma noi potremmo valutare comunque l’incremento di temperatura, considerando, anzich`e l’alternata, la continua equivalente in grado di effettuare questa variazione di potenza dissipata dal resistore in calore. Possiamo dire che:

V2 ef f R = V2 DC R E quindi: Vef f = VDC

Lo schema di principio di questo tipo di voltmetro si basa su di un amplificatore differenziale.

Riscaldando un resistore, si avr`a un riscaldamento di una delle giunzioni dell’amplificatore differenziale, o meglio delle giunzioni dei BJT utilizzati per realizzare l’amplificazione; si viene a creare uno squilibrio dettato da una variazione di temperatura di uno dei due transistor, e quindi vi sar`a una variazione delle tensioni tra base ed emettitore. Questo segnale `e una tensione continua, e sar`a diversa da quella dall’altro capo dell’amplificatore, poich`e solo da una parte introdurremo una variazione termica. L’amplifi-catore differenziale amplifica la differenza di tensione, presentando in uscita una continua. L’utilizzo, nel contesto del circuito riscaldante, di un anello di controreazione, permette di ridurre gli errori, prendendo la continua anche quando questa tender`a a 0.

Questo tipo di meccanismo `e molto interessante, ma anche problematico: il fatto di lavorare con segnali cos`ı piccoli, implica la necessit`a di introdurre, in ingresso al convertitore, un amplificatore / attenuatore, al fine di avere una v(t) amplificata e quindi una tensione tangibile in uscita all’amplificatore differenziale.

Introdurre un amplificatore equivale ad introdurre un filtro passa basso, e quindi bisogner`a far s`ı che l’amplificatore contenga tutte le armoniche del segnale che intendiamo studiare. Ci`o introduce i problemi di dinamica del-l’amplificatore, nel nostro circuito, aumentando la sua inerzia. Introducendo ad esempio un segnale di tipo impulsivo, quindi con Vef f basso ma VP, ossia tensione di picco, molto elevata, l’amplificatore potrebbe saturare in quan-to non in grado di rappresentare un segnale a frequenza molquan-to elevata, e dunque falsare il valore efficace presentato dallo strumento. Questa situ-azione per il nostro voltmetro, che non sar`a in grado di presentare dunque una certa gamma di segnali, a causa di questo problema dell’amplificatore; l’unica soluzione, `e quella di partire con un’attenuazione pi`u elevata possi-bile, riducendola man mano, in modo da ridurre l’impulsivit`a del segnale, eliminare il problema della rilevazione del picco troppo elevato, e cercando cos`ı di raggiungere un risultato buono, seppur con risoluzione probabilmente non molto elevata.

Capitolo 4

Misure di frequenza

Potremmo incominciar a studiare le misure di frequenza, chiedendoci per quale motivo ci si concentra a misurare una grandezza di questo tipo; la risposta `e semplice: le misure di frequenza sono molto semplici da realizzare, e con sistemi poco elaborati si ottengono incertezze relative dell’ordine di 10−6; con sistemi elaborati, si riesce a migliorare di molto, rispetto a questo ordine di grandezza, l’accuratezza e l’incertezza relativa della misura.

Molte grandezze, misurabili in modo diretto, possono essere convertite in frequenze mediante trasduttori, e quindi essere misurate mediante una misura indiretta, basata sulla misura di frequenza, ottenendo un’ottima accuratezza. Esistono diverse definizioni, legate al concetto di frequenza, ossia diversi tipi di frequenza potenzialmente misurabili; presentiamo un esempio pratico, in grado di permetterci di comprendere meglio queste definizioni. Supponi-amo di disporre di un fenomeno ciclico, nella fatispecie di una sinusoide, la cui fase ψ(t) `e variabile nel tempo. Se la sinusoide ha velocit`a costante nel tempo, allora ψ(t) sar`a una retta, poich`e al variare del tempo si avr`a una variazione lineare della fase. Pu`o capitare che ψ(t) sia una curva generica, che segue la retta solo come curva inviluppo; si definisce, a partire dalla funzione ψ(t), il concetto di frequenza istantanea fi come:

fi = dψ(t)

dt

Partiamo da questa definizione; supponiamo di considerare, anzich`e un certo punto t0 nel quale calcolare la pendenza della curva, ossia la frequenza istantanea, un certo intervallo di tempo ∆T , ossia una differenza di angolo, una differenza tra due punti della fase. Supponiamo di considerare, di tutte le differenze di angolo, una ampia T1; si definisce dunque, a partire dalla definizione di prima (estesa per`o in un concetto di media in un dato intervallo di tempo, e non pi`u considerata in un contesto istantaneo):

fm = ∆ψ(t) ∆T ¯ ¯ ¯ ¯ ∆T =T1

Se il periodo `e molto grande, potremo pensare di aver ottenuto la pul-sazione media del segnale di fase ψ(t) su tutto il dominio del segnale.

A seconda dei metodi di misura, e di cosa vogliamo misurare, potremo studiare frequenze istantanee piuttosto che medie su periodi piuttosto che medie assolute; dal momento che per ora ci concentreremo prevalentemente su misure di frequenza basate su metodi di conteggio, avremo bisogno di utilizzare misure di pulsazioni (di frequenze) medie su periodi.

4.1 Misure di frequenza mediante tecniche di

conteggio

Per realizzare una misura di frequenza mediante tecniche di conteggio, os-sia una misura in grado di contare il numero di cicli (o periodi) che si ripetono in un certo intervallo di tempo campione, servono sostanzialmente tre ingredienti:

• Un dispositivo in grado di evidenziare elementi ciclici, ossia elementi in

grado di evidenziare gli eventi da contare;

• Un dispositivo in grado di contare gli eventi rilevati;

• Un dispositivo in grado di generare una base tempi, ossia una

sor-ta di dominio del tempo discreto, sul quale ci baseremo per misurare frequenze.

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