CAPITOLO II : LA LEGGE 67/2014 E L’ESTENSIONE DELLA
7. segue: La richiesta parziale di messa alla prova
dopo l’entrata in vigore della legge n.67/2014 concerne la possibilità, per il soggetto imputato di più reati, alcuni soltanto rientranti tra quelli indicati dall’art.168 bis c.p., di avanzare istanza di sospensione del procedimento ex art.464 bis c.p.p. solo in relazione a questi ultimi239. La criticità riguarda non tanto l’ammissibilità di una richiesta in tal senso240
237 Così ancora M.S. CALABRETTA e A. MARI, opera cit., pag.30
238 In questi termini M. MONTAGNA, Sospensione del procedimento con messa alla prova in Le nuove norme sulla giustizia penale cit., CEDAM, 2014 pag. 398
239 È infatti possibile che per alcuni di essi il beneficio, in ragione dei limiti edittali o rationae materiae, non possa essere richiesto oppure potrebbe essere che sia proprio l’imputato che chiede la messa alla prova solo per uno o più reati e voglia celebrare il giudizio in relazione agli altri: così, sul punto, V. BOVE, La messa alla prova per gli adulti: una prima lettura della L. 67/14 in www. penalecontemporaneo.it e M. L. GALATI – L. RANDAZZO, La messa alla prova, Le applicazioni pratiche della legge n.67/2014 GIUFFRÈ, pag. 84 ss
240 Sul punto si segnala una ordinanza resa dal Tribunale di Torino il 21 maggio 2014 nella quale si rinviene la possibilità di operare la scissione in caso di procedimento oggettivamente cumulativo. Tale situazione apparrebbe sovrapponibile alla c.d. richiesta di patteggiamento parziale, esclusa da parte della giurisprudenza di legittimità. Ad avviso dei giudici di Torino la sospensione del procedimento con messa alla prova per gli adulti ed il patteggiamento sarebbero istituti con finalità e natura giuridica diversi, in quanto il patteggiamento risponderebbe esclusivamente ad esigenze deflattive del dibattimento mentre la messa alla prova avrebbe anche finalità rieducative e di risocializzazione della persona autrice di reati, oltre che alla rinuncia, in caso di esito positivo della prova, ad esercitare la pretesa punitiva,
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ma, più specificamente, il giudice, il quale ha l’obbligo di valutare se non vi siano cause di immediato proscioglimento.
Si tratta di un problema non meramente teorico, atteso che una volta richiesta ed ammessa la sospensione con messa alla prova di un medesimo procedimento penale, si pongono importanti quesiti relativi ad eventuali incompatibilità del giudice investito della questione. La legge n. 67/2014 non sembra essersi posto, in casi del genere, problema della incompatibilità o meno del giudice che, dopo aver deciso nell’ambito dello stesso procedimento sulla messa alla prova per uno o più reati, sia chiamato a pronunciarsi nel merito in ordine agli altri reati commessi oppure in caso di esito negativo della prova in relazione a quel medesimo reato. La questione che si pone è se il giudice che si è pronunciato sulla messa alla prova ammettendo l’istanza del richiedente e che, successivamente, in caso di esito positivo della stessa, ha dichiarato l’estinzione del reato, sia diventato incompatibile rispetto agli altri reati non oggetto di messa alla prova, in relazione ai quali dovrà istruire un nuovo procedimento panale. Questa situazione è assimilabile
posto che in questo caso il reato si estingue. Sul piano sistematico, è stato richiamato l’art.18 let. b) c.p.p. che prevede la possibilità per il giudice di disporre la separazione dei processi ove, nei confronti di uno o più coimputati per una o più imputazioni, sia stata ordinata la sospensione del procedimento. In realtà, detto orientamento pare non considerare che anche il patteggiamento comporta l’estinzione del reato e di ogni altro effetto penale se, nel termine di cinque anni quando la sentenza concerne un delitto o di due anni se la sentenza concerne una contravvenzione, l’imputato si astiene dal commettere un delitto o una contravvenzione della stessa indole, così come dispone il comma 2 dell’art.445 c.p.p. L’ orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità esclude la configurabilità di un patteggiamento parziale, se non nel caso (residuale) di reati esclusi dall’accordo per i quali sussistono cause di non punibilità immediatamente rilevanti ex art.129 c.p.p., in quanto i benefici ricollegabili al rito trovano una precisa giustificazione soltanto a seguito di un completo effetto deflattivo che si può realizzare attraverso la definizione simultanea di tutti i reati contestati. Si tratterebbe, inoltre, di una separazione irrituale di processi, non contemplata dall’art.18 c.p.p. Tali ragioni sarebbero sovrapponibili anche alla sospensione del processo con messa alla prova, per la quale, dunque, appare improbabile disporre la sospensione solo per alcuni reati all’interno del medesimo procedimento, ad eccezione di quelli per i quali sussista una causa di non punibilità ex art.129 c.p.p. Dal punto di vista della difesa dell’imputato/indagato sarebbe decisamente utile aderire all’orientamento della giurisprudenza che ammette la messa alla prova parziale. E il legislatore non ha neanche escluso l’ammissibilità di una richiesta parziale: così, ancora, M. L. GALATI – L. RANDAZZO, La messa alla prova cit.
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all’ipotesi in cui il giudice, investito della richiesta di sospensione del procedimento di messa alla prova, decida di ammettere il richiedente, salvo poi revocare l’ordinanza di sospensione per esito negativo della prova. quindi, nel primo caso il giudice ha emesso una sentenza di estinzione per alcuni soltanto dei reati di un medesimo procedimento, mentre nel secondo ha emesso una ordinanza di revoca e dovrà pronunciarsi sul reato per cui aveva ammesso la messa alla prova e, dunque, aveva conosciuto gli atti salienti del procedimento. La soluzione di questa questione dipende dalla portata della cognizione che si attribuisce al giudice della messa alla prova: se si propende per una cognizione meramente sommaria, e quindi il giudice che pronuncia la sentenza di estinzione del reato non compie nessun vaglio, neppure minimo, sul merito, non vi sarà nessun profilo di incompatibilità mentre appare più plausibile ritenere che il giudice che ammette l’imputato alla messa alla prova compie tutta una valutazione nel merito, dato che può prendere visione del fascicolo del dibattimento ai fini del calcolo della durata del lavoro di pubblica utilità. Comunque la dichiarazione di estinzione del reato presuppone un vaglio preventivo in ordine alla insussistenza delle cause di proscioglimento secondo quanto disposto dall’art.129 comma 2 c.p.p. Nel caso di messa alla prova parziale, il giudice che ha ammesso alla prova l’imputato e che poi ha pronunciato in ordine alla stessa dovrà ritenersi incompatibile a giudicare gli altri reati connessi o il reato per il quale aveva ammesso alla prova ma che poi aveva revocato241.
Sul “probation parziale” si è pronunciata anche la Suprema Corte di cassazione242, rispondendo, in senso negativo, al quesito se sia ammissibile una richiesta di messa alla prova parziale, presentata da un soggetto nei cui confronti siano contestati cumulativamente sia reati rientranti nell'elenco dell'art. 168 bis, sia fattispecie non ricomprese in
241 Ancora V. BOVE, Messa alla prova per gli adulti: una prima lettura della L. 67/14 in www.penalecontemporaneo.it e M. L. GALATI – L. RANDAZZO, La messa alla prova, Le applicazioni pratiche della legge n.67/2014 GIUFFRÈ, pag. 84 ss 242 Cass. pen., Sez. II, 12 marzo 2015 (dep. 8 aprile 2015), n. 14112 in
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tale disposizione. La Cassazione, investita del ricorso, inizia ad affrontare la questione dall'esame del quadro normativo di riferimento (artt. 464 bis e ss. c.p.p. e 168 bis e ss. c.p.), che nulla dispone in modo espresso per i casi in cui siano contestati, nei confronti di uno stesso soggetto, sia reati per cui risulti astrattamente ammissibile la messa alla prova, sia fattispecie per cui il rito speciale non può essere concesso. Nel silenzio del legislatore, la Corte afferma che, in tali ipotesi, non potendosi sospendere l'intero procedimento, l'unica soluzione processuale potenzialmente percorribile sarebbe quella sostenuta dal giudice di merito, ovvero fare applicazione dell'art. 18 c.p.p.
Nella seconda parte della motivazione, tuttavia, la Corte sembra negare da un punto di vista generale l'ammissibilità della messa alla prova parziale, ponendo l'accento sulla ratio, fortemente improntata alla risocializzazione e rieducazione (art. 27, comma 3 Cost.) che caratterizza l'istituto.
In particolare, i giudici rilevano che, nel caso in cui l'imputato sia chiamato a rispondere nello stesso procedimento non solo di reati per cui sia astrattamente ammissibile la nuova probation processuale, ma anche di crimini per cui non sia possibile accedere al beneficio, appare stridente con la struttura del sistema e con gli stessi presupposti dell'istituto che possa avvenire una "parziale" risocializzazione del soggetto interessato.
A conferma di ciò i giudici individuano anche un argomento letterale: il legislatore, nel formulare l'art. 168 bis c.p., non facendo riferimento ai reati ma ai procedimenti per reati, avrebbe lasciato intendere «una visione unitaria e complessiva della prospettiva di risocializzazione del soggetto che potrà realizzarsi attraverso la messa alla prova previa sospensione dell'intero "procedimento" ma solo quando ciò sia possibile in relazione a tutti i reati in contestazione».
Né, continuano i giudici, la messa alla prova parziale sarebbe inammissibile per un problema di mancato effetto deflativo del procedimento, come nel caso del patteggiamento parziale, quanto piuttosto per il fatto che, pur avendo l'imputato un diritto di accesso
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all'istituto, non «appare pensabile che taluno possa essere "risocializzato" solo per alcuno dei fatti in contestazione e nel contempo continui a rispondere di ben più gravi fatti-reato connessi per i quali l'accesso all'istituto non è consentito.
Del resto, rileva ancora la Corte, non bisogna dimenticare che il sistema non prevede un diritto assoluto in capo all'imputato di accedere all'istituto, ma richiede sempre l'esercizio di un potere valutativo da parte del giudice, che deve inquadrarsi non solo nel più ampio quadro della situazione personale dell'imputato, ma anche del contesto processuale nel quale verrebbe a operare la sospensione del procedimento.
Difatti, l'ammissibilità della richiesta di messa alla prova presuppone necessariamente una valutazione prognostica positiva sulle possibilità rieducative dell'interessato, per la cui formulazione non può prescindersi dal tipo di reato commesso, dalle modalità di attuazione dello stesso e dai motivi del delinquere, al fine di valutare se il fatto contestato debba considerarsi o meno un episodio del tutto occasionale.
Di conseguenza, a parere della Corte, nei casi in cui siano contestati all'imputato anche reati per cui non sia astrattamente concedibile la messa alla prova, non sarebbe possibile effettuare proprio quel vaglio positivo sulla possibilità di risocializzazione del richiedente, che rappresenta il vero ed unico motivo fondante dell'istituto.
Ciò perché, conclude il Collegio, l'essenza rieducativa della messa alla prova non può ricollegarsi al solo fatto di consentire all'imputato di ottenere l'estinzione del reato, ma ha basi più profonde, che tendono all'eradicazione completa delle tendenze di condotta antigiuridica del soggetto e che contrastano con l'idea di un individuo semi-risocializzato La decisione del Supremo Collegio desta qualche perplessità nella parte in cui sembra desumere dalla ratio rieducativa e risocializzante dell'istituto una presunzione assoluta di non concedibilità della messa alla prova parziale, ove siano contestati nei confronti del medesimo soggetto anche reati per cui il rito non può essere concesso. Né sembrano del tutto convincenti le argomentazioni della Cassazione secondo cui l'istituto sarebbe ammissibile solo ove fosse possibile una simultanea e
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totale risocializzazione dell'imputato. Infatti, se è senz'altro vero che il legislatore, nello stabilire i criteri cui il giudice deve fare riferimento per decidere se concedere la messa alla prova, ha previsto un giudizio prognostico, basato sui parametri dell'art. 133 c.p., sull'idoneità del programma di trattamento presentato e sul fatto che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati (art. 464 quater, comma 3, c.p.p.), ed è altrettanto vero che la lettera della legge non fa riferimento a criteri stringenti dai quali si possa trarre in maniera inequivocabile la conclusione per cui non sarebbe possibile accedere all'istituto quando siano contestati anche reati non ricompresi nell'art. 168 bis c.p.
Di conseguenza, impedire l'accesso al beneficio a un richiedente, solo perché sia contestata nei suoi confronti anche un'imputazione per cui non sia concedibile la messa alla prova, significherebbe costruire in via esegetica una preclusione assoluta non prevista dalla littera legis, che, al contrario, all'art. 18, comma 1, lettera b) c.p.p., prevede espressamente la possibilità di separare i processi se per una o più imputazioni, è stata disposta la sospensione del procedimento243.