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2. EVOLUZIONE E IMPATTO DELLA TECNOLOGIA

2.3 La digitalizzazione: l’impatto sui modelli di business

2.3.2 Modelli di business non digitali

Le aziende coinvolte nell’industria discografica hanno lentamente trovato un punto d’appoggio nel mondo digitale, precedentemente visto come un ostacolo. Come fanno notare Wikstrom (2010) e Preston&Rogers (2011) l’industria discografica dipende e poggia ancora e in larga parte sulla gestione e sfruttamento dei diritti connessi al copyright. Quando la musica registrata è utilizzata per altri propositi, i possessori di diritti ricevono royalties dall’utilizzo delle registrazione e dall’uso del contenuto di queste. Alcuni modelli però, sono stati resi obsoleti dalla digitalizzazione. Ad esempio i modelli concentrati sulle vendite fisiche, hanno dovuto rinnovarsi sfruttando canali digitali online per vendere cd e dvd, utilizzando siti come Amazon o Ebay. Tuttavia la migrazione in rete dei consumatori di musica, e il conseguente declino delle vendite dei formati fisici ha costretto le case discografiche non solo a modificare ma anche a reinventare i propri modelli di ricavo non digitali. Oltre ai precedentemente citati modelli che fan leva sui download online ne esistono altri dotati di una visuale ad ampio raggio: dalle suonerie e quindi il mondo della telefonia mobile, all’uso di musica in videogames, film, TV, video musicali e passando per la gestione dei live tour degli artisti.

Diversi sono perciò gli investimenti sostenuti dall’industria non necessariamente inerenti al digitale, e volti alla compensazione delle perdite dovute alla crisi del mercato fisico. Per risanare il mercato uno strumento spesso utilizzato è quello del bundling dei i formati fisici. In questo modo al normale album fisico vengono aggiunti contenuti come bonus track, foto inedite, riviste digitali con i testi delle canzone, poster personalizzabili e lettere delle band. Si offrono così dei veri e propri cofanetti. Trattasi di un modello di ricavo che fa leva su consumatori predisposti a pagare un prezzo premium per un contenuto extra.

Un altro modello di ricavo non digitale ma che sta crescendo d’importanza è la performance live di musicisti e dj (djing). Sebbene sia un vecchio modello, i ricavi connessi alle live performance e dal djing sono notevolmente aumentate negli ultimi anni, tanto da controbilanciare le cadute di vendita dei formati fisici. Per dare un’idea si pensi che nel 2009 in UK i ricavi derivanti dalle performance dal vivo hanno superato quelli della musica registrata: 1,54 bilioni di sterline contro gli 1,35 del mercato fisico. La stessa considerevole crescita connessa alla musica live è avvenuta dagli Stati Uniti come si può evincere dal grafico in Fig.21.

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Figura 21. Crescita dell'industria della musica live statunitense dal 2003 al 2006 (Fonte: Capgemini 2008)

La crescita del settore live ha chiaramente comportato l’aumento dei prezzi per i concerti . Tanto che gli artisti son diventati più dipendenti in termini economici dalle live performance piuttosto che dalle pubblicazioni di album (IFPI 2011). I prezzi variano poi in base alla popolarità dell’artista in questione. Se le live performance erano precedentemente considerate un mero strumento di promozione e un modo di rendere popolare un’uscita discografica, sono oggi invece un modello di ricavo assolutamente redditizio al quale l’artista si deve affidare. Ne sono prova le forti posizioni e il potere contrattuale detenuto da grandi aziende di promozione di eventi musicali live quali Live Nation o AEGLive.

A questo proposito le agenzie di promozione e di live music si sono rinnovate offrendo dei pacchetti a 360° al musicista. Questi pacchetti includono l’organizzazione di tour, licenze, sponsorship e merchandising. In questo modo le agenzie live prendono il posto e rivestono alcuni ruoli precedentemente ricoperti dalle case discografiche, assumendosi il rischio del business in cambio di maggiore controllo sul processo creativo e organizzativo dell’evento. Oltre alle agenzie di booking e musica live anche alcune etichette e case discografiche hanno iniziato ad offrire dei servizi per l’artista a 360°, ricoprendo tutte le varie fasi della catena del valore: produzione, assistenza e promozione, pianificazione e produzione e gestione del merchandising. Tutto in un solo pacchetto. La Warner Music per esempio prevede nei propri contratti sottoscritti con gli artisti l’elaborazione e gestione del website, e di altri servizi connessi come la vendita di musica online o la gestione dei fan club (PwC Wilkfsky Gruen Associates 2010). Questo tipo di contratti rischia però di escludere dal mercato artisti indipendenti e player minori del settore, con la conseguente riduzione da parte delle case discografiche del loro “albo artisti”. Si concentreranno infatti solo sugli artisti di maggior successo, da cui

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si aspettano risultati immediati e maggiormente efficaci. L’individuazione e lo sviluppo dei talenti finisce così per essere affidato alle etichette indipendenti. Solo dopo aver costruito una solida fanbase e venduto un significativo numero di registrazioni, le major potranno offrire un contratto all’artista interessato.

Infine un ultimo modello di ricavo a cui stanno facendo sempre più riferimento le case discografiche è quello del branding musicale. Come fa notare Wikstrom (2010) le major stanno investendo sempre più in brand consolidati e a basso rischio, e che dimostrano buoni ricavi ormai da decenni. Un esempio è quello dei consistenti investimenti che vengono fatti nel branding di particolari artisti, rockstar o popstar, appartenenti al passato ma rimasti comunque icone della musica. Non è un caso che la maggior parte dei ricavi provenienti dalle royalty sia attribuibile ad artisti ormai deceduti come Elvis Presley, John Lennon o Bob Marley. Si investe anche in brand che rappresentano un particolare genere musicale (Motown record, Christmas song, ecc…) che rappresenta immaginari che vanno al di là della musica o su idoli pop anche attuali che hanno dimostrato di avere strategia di successo vincenti.