• Non ci sono risultati.

2. EVOLUZIONE E IMPATTO DELLA TECNOLOGIA

4.3 Platform Leadership e Value Network nell’era della musica digitale

4.3.1 La reazione degli incumbent

In accordo a Pisano e Teece (2007), è raro trovare oggi un’innovazione tecnologica che crei valore senza interagire con altre dinamiche o componenti. Secondo Teece per creare valore, ogni innovazione richiede prodotti complementari, che possono concretizzarsi in altre tecnologie e servizi annessi. Non a caso la musica digitale non avrebbe riscosso il successo ottenuto in termini di fruibilità, se non fosse stato per i vari digital music player, unitamente ai nuovi canali di distribuzione e di promozione quali Internet, che hanno dato vita a delle vere e proprie platform. Per quanto riguarda l’ appropriazione del valore Pisano e Teece sostengono che più elementi son controllati da altre parti, più è difficile raccogliere e catturare il valore da una specifica innovazione. Traslato all’industria discografica questa citazione incarna il dilemma che ha riguardato le major in questi anni. Nonostante la musica digitale rappresenti un’importante opportunità per le case discografiche, soprattutto in termini di aumento del consumo di musica, costituisce però un break-down dei vecchi elementi che tradizionalmente erano

106

controllati dalle stesse major. La produzione capital-intensive del vecchio modello diviene obsoleta (in quanto la tecnologia per produrre musica diviene una tecnologia a basso costo e alla portata di più player), nuovi strumenti di produzione e promozione avvicinano artista e consumatore ridimensionando così la funzione di gatekeeper/ bottleneck detenuta dalle major tra artisti e consumatori. Compaiono poi nuovi retailer digitali online che riescono facilmente ad aggirare le regolamentazioni sul copyright privando le major di introiti e offrendo al consumatore musica a prezzi ridimensionati o addirittura gratuitamente, comportando così bassi profitti per le grandi case discografiche. Riscontriamo quindi grandi cambiamenti rispetto al passato dove le music label erano in grado di controllare gli anelli critici e fondamentali della catena del valore facendo leva su una forte integrazione verticale. Le grandi label controllavano infatti tutta la produzione, marketing e distribuzione. Poiché nella nuova catena del valore viene a meno il controllo totale di questi anelli si ha come risultato l’indebolimento della funzione di gatekeeper detenuta fino a quel momento dalle major. Allo stesso tempo, le aziende ICT, investendo nelle tecnologie complementari, entrano all’interno del value network. E’ il caso di grandi aziende come Apple che entrando all’interno della value chain monetizzano e ricavano valore dalle tecnologie digitali complementari, per poi occuparsi di varie fasi dal retail di brani mp3 (con Itunes) fino alla vendita di hardware e applicativi di riproduzione connessi (Iphone, Ipod, Ipad). Simile ad Apple il caso dell’azienda danese TDC30 che ha incorporato nella propria vendita di abbonamenti Internet per cellulari la possibilità per l’abbonato di ascoltare gratuitamente della musica digitale. Lo stesso viene fatto in Italia da Tim con Cubomusica o da Vodafone con Vododafone music. Interessante da questo punto di vista anche la strategia Nokia, che ha integrato un riproduttore di mp3 che fa accesso ad un vasto database di musica al quale il consumatore può gratuitamente accedere se dispone di telefono Nokia. In questo modo i nuovi entranti, in particolare aziende ICT, utilizzano la musica come rimedio alle vendite dei propri prodotti e servizi. La musica, diviene un servizio complementare, non più prodotto a se stante. Pisano e Teece sostengono che all’interno di un ecosistema industriale fin tanto che l’innovatore ( come può essere l’etichetta discografica che introduce nuova musica) è dotato di protezione naturale contro l’imitazione, o ha una forte protezione data dai meccanismi di copyright

30

TDC A/S (Tele Danmark) è una compagnia di telecomunicazione danese fondata nel 1879. Oggi TDC è la più grande compagnia telefonica in Danimarca con circa 8,9 milioni di utenti (2011 TDC) occupandosi di telefonia, connessioni broadband e televisione.

107

(le major nel vecchio modello), è molto probabile che saranno i complementor a guadagnare e trattenere una buona parte del valore creato dall’innovazione. La nuova tecnologia dei download illegali di musica ha aggirato i sistemi di protezione utilizzati dalle major, gli incumbent si sono indeboliti, e il loro modello tradizionale ha mostrato punti di criticità e difficoltà di assestamento alla novità. I complementor invece, come Apple, hanno saputo ricavare e trattenere i frutti dell’innovazione, anche senza detenere la proprietà intellettuale del prodotto in questione, ossia la musica. In questa nuova dimensione, non è più possibile per le grandi label stabilire forti barriere naturali di protezione, con la conseguente perdita di controllo della piattaforma e unitamente a perdite della quota di valore generato dall’innovazione, che si ridistribuisce all’interno del value network. Pisano e Teece, come anche Jacobides sono concordi sul fatto che l’aspetto più importante da tenere in considerazione per trattenere e godere dei frutti di un’innovazione sia o di controllarne il bottleneck asset (come facevano precedentemente le music label), o di gestire le relative tecnologie critiche complementari (come Apple ha fatto con Itunes). Quindi se sarà l’innovatore a beneficiare del valore creato dall’innovazione dipenderà dal grado di protezione e di imitabilità dell’innovazione. Si può dunque dire che nell’industria musicale, l’indebolimento dei classici modelli di business basati sui diritti di proprietà intellettuale ha permesso ai produttori e introduttori di tecnologie complementari di trarre beneficio dall’innovazione, una tendenza che sembra consolidarsi anche per gli anni futuri.

La prima risposta alla tecnologia adottata dalle major è stata quella di aumentare la protezione in termini di proprietà intellettuale (Pisano & Teece 2007). Numerosissime infatti le azioni legali condotte negli ultimi anni da queste, unitamente ad azioni di lobbying per esortare le istituzioni dei vari paesi ad una maggiore attenzione al problema in materia. Tuttavia, la tecnologia si è mossa molto più velocemente del sistema legale, e la battaglia non è stata così efficiente nel raggiungere l’obiettivo preposto: quello di prevenire e arrestare il fenomeno della pirateria di download illegali. Anzi purtroppo il download illegale continua tutt’oggi a mettere in difficoltà l’intero comparto discografico. Sempre in accordo con Teece e Pisano la causa di questa piaga potrebbe ricondursi nel fatto che le grandi major non hanno adottato e implementato “le giuste scelte in termini di costruzioni o acquisto delle tecnologie cospecializzate e complementari.” Quando le label discografiche iniziarono ad investire nell’acquisto di tecnologie complementari fu troppo tardi. Sebbene queste, dopo aver preso coscienza

108

del potenziale della musica digitale, decisero di investire per acquisire dai complementor le skill necessarie, la strategia non si rivelò un successo. Tra i vari tentativi di poco successo delle major ne ricorderemo qui di seguito qualcuno. Il primo fu MusicNet costituito da tre delle principali major: Warner, BMG e EMI. Fondato nel 1999, offriva due servizi pacchetto in collaborazione con AOL: il primo offriva ascolto limitato in streaming per i primi 200 pezzi della classifica di BillBoard e la possibilità di scaricarne dieci per 17,95$ al mese. Il secondo pacchetto da 8,75$ consentiva il solo streaming. Il servizio venne lanciato nel 2003 e non permetteva ai consumatori di trasferire musica su device portatili. La seconda iniziativa fu Press Play, un’alleanza tra Universal e Sony con il contributo di Microsoft. Quando Pressplay venne lanciata nel 2001, permise ai music fan lo streaming e il download illimitato per 9,95$ al mese. Per 17,95$ si potevano scaricare fino a dieci brani portabili e ascoltabili in device. Nel 2003 Pressplay venne venduto a Roxio, un venditore online che assunse anche la guida e la gestione del rilancio di Napster come servizio musicale legale utilizzando Pressplay come infrastruttura (Casadesus-Masanell 2010). La maggior parte dei fallimenti può essere spiegata in termini di eccessiva concentrazione delle music label sulla tecnologia DRM, che aveva il fine si di fornire musica agli ascoltatori, ma proteggendone il copyright con restrizioni e codici di lettura diversi da paese a paese. Quello dei DRM, come spiegano Pisano e Teece, è un tentativo di creare e massimizzare protezione per le proprietà intellettuale. Tuttavia, come dimostrano analisi e ricerche di mercato che vedremo nei prossimi paragrafi, la tecnologia DRM va a scontrarsi con i bisogni correlati alle richieste dei consumatori. Ancora una volta con l’obiettivo di proteggere l’innovazione all’interno delle platform di musica digitale, le case discografiche, nonostante abbiano agito ragionevolmente in accordo a quanto apportato da Pisano e Teece, in termini di protezione dell’innovazione, hanno inizialmente fallito, poiché la nuova tecnologia unitamente ai nuovi bisogni dei consumatori ha fatto tracollare il regime di appropriabilità imposto dalle music label, con il risultato che i soli complementor hanno saputo ricavare valore dalla tecnologia introdotta. La letteratura è concorde nel vedere i DRM come tentativo ad opera delle case discografiche di stabilire un monopolio sulla musica digitale e ridurre le opportunità per gli amanti della musica di farne un utilizzo legale.

109