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I modelli comunicativi nel museo

Grafico 25: Titolo di studio.

3.2 I modelli comunicativi nel museo

Diversi sono gli approcci allo studio della comunicazione museale e i modelli interpretativi che sono stati elaborati e applicati al museo.

Qui mi limiterò a presentare modelli e approcci individuati in un recente studio di Lucia Cataldo e Marta Paraventi (2007, pp. 176-195) che sintetizza brevemente i risultati di alcuni dei maggiori studi condotti finora sulla comunicazione museale (Hooper- Greenhill, 1999; Antinucci, 2004; Solima, 2000; Nardi, 1994).

Il primo approccio è quello semiologico, in cui la comunicazione viene definita come

“il processo di ‘significazione’ sotto il profilo sintattico (relazione tra segni e segni), semantico (relazione tra segni e oggetti designati), pragmatico (relazione tra segni e utenti)” (Cataldo – Paraventi, 2007, p. 177).

corrisponde all’oggetto esposto e si lega alla posizione dell’oggetto nella vetrina (sintassi) e alla relazione tra gli oggetti. Il segno possiede due livelli di significazione: la denotazione, che consiste nell’oggetto cui la parola si riferisce, e la connotazione, che consiste nel significato attribuito al segno.

“Attraverso l’adozione di un approccio di tipo semiologico, si indagano ad esempio le relazioni di significazione e di comunicazione sottostanti la redazione di un pannello informativo, che viene analizzato sia nelle sue caratteristiche fisiche (caratteri, spazi, colori, immagini, simboli, etc.) che negli aspetti cognitivi (messaggi, idee, concetti, significati ed associazioni), al fine di verificarne l’efficacia sotto il profilo della comunicazione” (Solima, 2008, p. 69).

Tali considerazioni risultano fondamentali se pensiamo che i visitatori dei musei non possiedono gli stessi codici interpretativi e pertanto non comprendono un oggetto o un’immagine alla stessa maniera.

La comunicazione, quindi, dovrebbe implicare non solo la trasmissione di dati ma anche di senso attraverso l’utilizzo di codici condivisi.

“Dunque, comunicare non significa unicamente far arrivare un dato da una fonte ad un destinatario ma, soprattutto, far arrivare un senso. Esso è il risultato dell’esistenza di un complesso sistema di codici condivisi più o meno parzialmente e in modo sfumato, di relazioni, di intenzioni, di pratiche d’uso. Sono proprio le “pratiche d’uso” che possono condizionare involontariamente l’attribuzione di significati da parte di ricercatori e curatori di mostre, per cui spesso si è riscontrata l’utilità nel museo di una figura professionale esperta di comunicazione allo scopo di riordinare i codici interpretativi” (Cataldo – Paraventi, 2007, p. 178).

Ma l’approccio semiologico appena menzionato non è l’unico modello del processo comunicativo applicato all’ambito museale, ne esistono altri due: l’approccio della teoria della comunicazione e l’approccio sociologico.

L’approccio della teoria della comunicazione si basa sulla concezione della comunicazione come processo di trasmissione, che prevede la produzione di un messaggio da parte di un soggetto emittente, la sua trasformazione in segnali attraverso un apparato trasmittente e la loro trasmissione attraverso un canale disturbato da rumori ad un ricevitore che lo riconverte in messaggio per il destinatario, che lo interpreta e lo utilizza. Questo modello comunicativo lineare della trasmissione è stato elaborato da Shannon e Weaver nel 1949 e in seguito applicato al museo, come spiegato da Hooper- Greenhill (1999, p. 41):

“It is possible to describe the exhibition team as the source, the exhibition as the transmitter, with objects, texts and events as the channel of communication, the visitors’ heads as the receivers, with the visitors’ understanding as the final destination. In this instance the ‘noise’

which interferes with the message might include anything from crowds to visitor fatigue, or workmen in the gallery next door. Internal sources of noise might include confusing signals such as poor graphics, or inappropriate use of colour”.

Figura 4: Modello comunicativo lineare di trasmissione (Bodo - Demarie, 2000, p. 10). In questo modello, il soggetto trasmittente è il curatore della mostra che decide quali oggetti esporre, quali debbano essere i contenuti di pannelli e didascalie, rivolgendosi al ‘grande pubblico’, senza effettuare alcuna distinzione, cui invia le informazioni attraverso un dato mezzo: gli oggetti e i supporti interpretativi.

Infatti, come hanno osservato Bodo e Demarie (2000, p. 10),

“il «modello di trasmissione» concepisce la comunicazione come un processo lineare di trasferimento delle informazioni da una fonte autorevole ad un ricevente disinformato. Questo modello presuppone che la conoscenza sia un processo oggettivo, univoco e neutrale rispetto al destinatario della comunicazione, che è per definizione «aperto» alla ricezione del messaggio, e al messaggio, che viene recepito da diversi destinatari più o meno efficientemente ma secondo modalità identiche”.

Secondo tale modello, la ricezione del messaggio avviene allo stesso modo: non viene tenuto in alcun conto il bagaglio culturale di cui il ricevente è portatore.

Il museo trasferisce informazioni al suo pubblico, senza ascoltarne la voce, ignorandone l’identità, le esperienze e le conoscenze possedute.

Il ricevente (in questo caso il pubblico) viene preso in considerazione solo nella

curatori della mostra (fonte) mostra: messaggio codificato (emittente) oggetti testi eventi (messaggio) FATTORI DI DISTURBO stanchezza affollamento rumori spiegazioni poco chiare mente del visitatore (ricevente) comprensione dle visitatore (interpretazione)

come il trasmettitore lo ha formulato.

Come alternativa auspicabile al modello di trasmissione, Eilean Hooper-Greenhill (2003, pp. 19-25) ha proposto l’approccio sociologico, nel quale la comunicazione è intesa come realtà culturale, è uno scambio di valori sociali sulla base di regole.

In esso il visitatore da soggetto passivo diviene soggetto attivo che partecipa alla costruzione di significati, sulla base delle strategie interpretative di cui dispone, frutto delle sue conoscenze pregresse e del suo background culturale.

In quest’ottica,

“il visitatore – non solo in quanto individuo, ma anche in quanto appartenente a una determinata «comunità di interpretazione» - porta con sé aspettative, conoscenze preesistenti, retroterra storico-culturali, capacità e stili di apprendimento, strategie interpretative di cui il museo non può non tenere conto” (Bodo - Demarie, 2000, p. XIV).

Rispetto al modello di trasmissione, nel modello sociologico la situazione è completamente ribaltata: il visitatore svolge un ruolo attivo. Inserito, all’interno delle comunità interpretative, costituite da gruppi di individui in possesso delle stesse strategie di lettura e di interpretazione dei testi, il visitatore diviene ‘coautore’ perché “nel recepire i messaggi delle mostre il pubblico è creativo e costruttivo almeno quanto lo sono i curatori e allestitori nell’elaborare i messaggi stessi [Perin, 1995]” (Caputo - Petrilli - Ponzio, 2006, p. 30). A questi tre modelli, Maria Vittoria Marini Clarelli (2011) ne aggiunge un quarto, definito modello della mediazione/esperienza, che sta emergendo in America Latina, e che riprende la prospettiva di Jésus Martin-Barbero, secondo la quale punto di partenza del processo comunicativo deve essere la ricezione.

Spiega Martin-Barbero:

“La ricezione non è semplicemente una fase del processo comunicativo, un momento separabile, in termini di disciplina o di metodologia, ma una sorta di luogo altro, quello in cui rivedere e ripensare l’intero processo di comunicazione” (Marini Clarelli, 2011, p. 146).

I visitatori sono artefici delle proprie esperienze che si svolgono sul piano intuitivo, emotivo e fisico.

“La comunicazione nel museo deve essere considerata nella sua complessità e nella sua articolazione con la vita quotidiana e con le mediazioni multilocalizzate che sono multiple e frammentate molto al di là di quanto possano spiegare le teorie sulle comunità interpretative. I significati sono costruiti nella vita quotidiana della gente ed è qui che i messaggi acquistano significato per pubblici specifici” (Marini Clarelli, 2011, p. 146).

In quest’ottica fondamentale è il rapporto tra esperienza museale e vita quotidiana. Definiti i modelli comunicativi, mi è sembrato opportuno descrivere le forme di comunicazione utilizzate dal museo.