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1.3 Il Sistema Museale del Comune di Roma

1.3.9 Museo di Roma

Il Museo di Roma fu aperto il 21 aprile del 1930 nell’ex Pastificio Pantanella in Piazza della Bocca della Verità. L’apertura del museo ha segnato il coronamento di un progetto di creare una raccolta che conservasse materiali storico-artistici dal Medioevo ai tempi moderni e testimonianze delle parti scomparse di Roma.

A partire dal 1870, infatti, nella Roma capitale del Regno, si era iniziata a sentire l’esigenza di creare un museo che custodisse la testimonianza delle parti di città scomparse a causa delle demolizioni resesi necessarie in ottemperanza dei Piani Regolatori di Roma Capitale del 1873 e del 1883 e proseguite negli anni venti e trenta del novecento in linea con la modernizzazione della Terza Roma di Mussolini.

Si faceva sempre più strada la volontà di testimoniare il passato di Roma, grazie anche all’iniziativa dell’Amministrazione comunale che richiese che fossero effettuate fotografie delle zone soggette ai lavori e acquistò 120 vedute di Roma sparita di Ettore Roesler Franz.

Le mostre dedicate alle arti in Roma dal VI al XIX secolo, tenutesi nell’ambito dell’Esposizione Universale del 1911 realizzata in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia, aprirono la strada alla nascita di un museo storico documentario, raccogliendo materiali che illustravano luoghi, mestieri e culture scomparsi, le tele di Roesler Franz, le incisioni della Roma rinascimentale.

Una parte del materiale esposto durante questa mostra confluì nel Museo di Roma, che restò aperto fino al 1939, quando fu chiuso a causa degli eventi bellici.

Nel 1952 fu trasferito nella nuova sede di Palazzo Braschi, un tempo residenza di Luigi Braschi Onesti, nipote di papa Pio VI.

Il Museo di Roma, come appare oggi, espone opere d’arte che permettono di ricostruire la storia di Roma dal Medioevo alla prima metà del novecento, ripercorrendone anche le trasformazioni topografiche, la vita culturale, sociale e storico artistica.

“Il Museo di Roma non è un museo di facile lettura. Il visitatore che accede alle sale espositive ospitate nella splendida architettura settecentesca di Palazzo Braschi, dove gli oggetti sono stati ordinati più con criterio estetico che sistematico, ha la possibilità di avvicinare una grande varietà di manufatti legati ad evidenza da molteplici rapporti alla storia della città. Si spazia dalla produzione artigiana del legno, cuoio e metallo nei mobili, carrozze e portantine, alla raccolta di ceramiche dal Medioevo al ‘700; dall’arredo architettonico e urbano – fontane, stemmi, insegne di proprietà – ai pesi e misure romani per il vino ed il pane, in uso a Roma nel XVIII secolo; dagli stampi lignei per le stoffe delle manifatture del ‘700 e dell’’800, agli abiti della stessa epoca o arazzi giustapposti a importanti sculture: da Bernini a Canova e Tenerani. Importantissimi gli affreschi, i graffiti e i mosaici salvati da perduti contesti architettonici. Né mancano dipinti di grande valore documentario per cerimonie ed avvenimenti civili e religiosi tra ‘500 e ‘700, accanto ad opere di alta qualità come le tele di Guido Reni, Pietro da Cortona, Courtois, Maratta, Subleyras, Ghezzi, Chiari, Trevisani, Benefial, Manglard, Pannini o Batoni” (Di Gioia, 1990, p. 7).

Tra le opere esposte sono da menzionare le tele di Andrea Sacchi, Pierre Subleyras, Pier Leone Ghezzi, Marco Benefial e Pompeo Batoni, i dipinti realizzati tra il ‘500 e il ‘700 per celebrare cerimonie ed avvenimenti civili e religiosi.

Presenti, inoltre, opere monumentali, busti, modelli e bozzetti in terracotta di importanti scultori come Francesco Mochi, Alessandro Algardi, Melchiorre Caffà, Bernardino Cametti, Pietro Tenerani.

Importanti sono anche la serie di disegni ed acquerelli, stampe, incisioni e libri antichi del Gabinetto Comunale delle Stampe e la collezione di rare fotografie antiche dell’Archivio Fotografico Comunale.

Ne emerge una estrema varietà delle collezioni esposte che permette di ricostruire la vita sociale e artistica di Roma dal Medioevo agli inizi del novecento: si va dai mosaici agli affreschi, ai dipinti, alle ceramiche, alle incisioni, ai disegni, ai libri antichi, alle sculture.

160 i frammenti di affreschi e decorazioni murali provenienti dagli edifici romani demoliti secondo quanto previsto dai piani regolatori di Roma Capitale.

La collezione di dipinti accoglie 2500 opere di autori italiani e stranieri attivi a Roma dal XVII al XX secolo.

Tra queste sono di grande interesse il dipinto di Andrea Sacchi e Filippo Gagliardi che rappresenta uno spettacolo organizzato per Cristina di Svezia a Palazzo Barberini e la tela di Pierre Subleyras raffigurante San Camillo che salva i malati dell’ospedale San Camillo durante l’inondazione del Tevere.

 

Figura 35: Pierre Subleyras, San Camillo che salva i malati dell’ospedale San Camillo.  

Presenti anche 2000 esemplari ceramici interi provenienti dagli scavi archeologici, nonché disegni, stampe, incisioni e libri antichi che hanno un grande valore documentario relativo alla topografia e alla storia della città e al tempo stesso ricostruiscono la storia dell’arte grafica dal XVI al XIX secolo.

Esposto anche il nucleo delle sculture dal Medioevo all’ottocento che comprende opere monumentali, busti, ritratti di importanti scultori operanti a Roma come Bernini, Mochi, Algardi, Caffà, Cametti.

Vista la presenza degli oggetti più vari,

“il percorso espositivo non è lineare e sistematico, né di necessità esaustivo, data la complessità e varietà dei materiali conservati. Il pregio ed il limite delle raccolte consiste piuttosto nella sollecitazione continua a stabilire collegamenti storici con quel tessuto connettivo spesso distrutto o modificatosi nel tempo, formato da case, chiese, palazzi, vie, piazze, mercati, porti e ponti, collezioni d’arte e di antichità, monumenti classici ed elementi di paesaggio che solo restituisce con pregnanza l’essenza di un centro urbano così complesso quale è quello di Roma. È dentro questa trama storica che i singoli manufatti d’arte acquistano un senso compiuto ed una godibilità, contribuendo in modo attivo a restituire un’immagine della città nel tempo e nello spazio” (Di Gioia, 1990, p. 7).