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in ambito museale

5.3 Le nuove linee di indagine

Numerose le indagini intraprese in questi anni, diverse le tipologie, gli approcci metodologici adottati, gli oggetti di indagine.

Necessario è stato il ricorso ad un approccio interdisciplinare attraverso il coinvolgimento di diverse figure professionali operanti in diversi settori affinché portassero il loro contributo alle ricerche condotte sul pubblico reale e potenziale.

In ambito anglofono, negli ultimi anni, gli studi sui visitatori sono stati incentrati soprattutto sull’analisi dei programmi e delle ricerche svolte in ambito museale, aventi l’obiettivo di accrescere la conoscenza e di promuovere l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.

“Museum managers are recognizing the fact that if we are to meet our missions of increasing knowledge, stimulating lifelong learning and being institutions of relevance to our publics in an increasingly complex global world, an understanding of those publics is vital to meet these objectives” (Separate or inseparable? Marketing and visitor studies, p. 3).

Il museo si interroga su come proporre i propri servizi, su come presentare i concetti e su come misurare gli effetti della visita, su come consolidare la presenza del proprio pubblico, su come incrementarla e su come attirare nuove categorie di visitatori.

In Francia, invece, gli attuali studi sul pubblico riguardano i seguenti ambiti: -­‐ La frequentazione.

Le ricerche condotte sono basate su un apprezzamento quantitativo dei flussi di visitatori.

-­‐ La valutazione.

Gli studi misurano il valore di ciò che viene proposto: si è sviluppata la pratica della valutazione preventiva, che porta a considerare il visitatore non come una

soggetto in possesso di una sua competenza. Si ribalta la posizione del visitatore che da soggetto passivo cui trasmettere conoscenze diventa un soggetto attivo che rappresenta un gruppo sociale e che deve essere coinvolto attraverso procedure adeguate.

-­‐ La conoscenza dei visitatori e delle condizioni della visita.

Si è affrontata la questione del non-pubblico, cioè delle persone che non hanno l’abitudine di visitare il museo. É mutato il modo stesso di intendere la visita, non più considerata solo come attività educativa, ma anche come svago culturale. A livello internazionale, si fa strada quest’ultimo filone di analisi che si occupa di quella fascia di pubblico per molto tempo trascurata: i non-visitatori.

La mancanza di studi sui non-visitatori era imputabile alla maggiore difficoltà a reperire informazioni su questo target e dai conseguenti costi elevati.

Ma oggi la situazione è cambiata e iniziano ad aumentare le indagini sui non- visitatori, di cui si tenta di delineare il profilo.

Una delle ricerche più complete sui non-visitatori è quella curata nel 1994 da Tony Bennet per l’Australia Council for the Arts, in cui sono analizzate le caratteristiche sociali, culturali e attitudinali dei non-visitatori.

Ne è emerso quanto segue:

-­‐ i non-visitatori hanno effettuato visite al museo quando erano bambini e ne conservano un ricordo positivo, ma tendono a non incoraggiare alla visita i propri figli;

-­‐ non ci sono differenze sostanziali di genere o di reddito;

-­‐ il 38% dei non-visitatori ha oltre 60 anni; il 20% di essi è costituito da pensionati; -­‐ coloro che non si recano al museo in linea di massima non partecipano alle attività

culturali.

Anche l’Italia ha seguito la scia internazionale: sono stati condotti studi sulle categorie di pubblico che non fruiscono dei musei per capirne i motivi.

Ad esempio, sono da segnalare la ricerca di Irene Presta, già descritta in precedenza (Cfr. paragrafo 2.1), e quella condotta nel 2005 da Alessandro Bollo. Si tratta di un’indagine sugli adolescenti di Modena studiati per comprendere le motivazioni che li spingono a non recarsi al museo.

La ricerca è stata promossa dalla Provincia di Modena e realizzata dalla Fondazione Fitzcarraldo, avvalendosi della tecnica dei focus group, utilizzata su circa 90 ragazzi tra i 14 e i 19 anni frequentanti 5 istituti superiori di Modena.

Dal focus group si evince che la mancanza di tempo libero, l’immagine negativa del museo, visto come inaccessibile e non accogliente, sono alcune delle motivazioni addotte dagli adolescenti che non visitano il museo.

Tra le motivazioni inespresse sono da annoverare la presenza di apparati informativi poco chiari, un allestimento ritenuto inadeguato, le modalità di visita proposte,

l’associazione museo-scuola.

Le mostre, invece, sono percepite come qualcosa di attivo: trattano argomenti vicini ai propri interessi e utilizzano modalità comunicative più efficaci.

Le valutazioni espresse dai ragazzi sull’esperienza di visita pongono l’accento sulle componenti ambientali, socio-relazionali, emotive, comunicazionali piuttosto che ai contenuti del museo, che generano un valore positivo nella visita.

Per gli adolescenti, le categorie di valore su cui si basano le loro esperienze riguardano prevalentemente:

-­‐ valori estrinseci, per cui l’esperienza rappresenta il mezzo per raggiungere un determinato fine;

-­‐ valori eteroriferiti, per cui il valore deriva dall’interazione con gli altri (si costruisce attraverso una relazione);

-­‐ valori attivi, per cui maggior valore è attribuito alle esperienze che implicano una manipolazione mentale e fisica degli oggetti.

Queste categorie di valori, alla base delle esperienze dei ragazzi, descrivono un modello esperienziale in cui i musei si pongono molto spesso sul versante opposto: si riferiscono al visitatore adulto che attribuisce al museo un valore in sé, ha un’esperienza di natura individuale e contempla gli oggetti senza cercare di migliorare la qualità delle esperienze effettuate al museo dai ragazzi.

Il museo, quindi, dovrebbe offrire esperienze e modalità di fruizione che valorizzino: - la dimensione estrinseca attraverso una mediazione in cui il museo e le collezioni siano lo strumento;

- la dimensione eteroriferita offrendo possibilità di interazione;

- la dimensione attiva attraverso la partecipazione attiva dei ragazzi alla progettazione di eventi, mostre, alla creazione di apparati comunicativi e ad una mediazione ad hoc per loro.

Queste indagini sui non-visitatori hanno messo in evidenza che si tratta di persone di basso livello culturale che il museo dovrebbe accogliere nel suo bacino di utenza, nel rispetto di quanto stabilito nel Codice etico dell’ICOM, che recita quanto segue:

“Al museo spetta l’importante compito di sviluppare il proprio ruolo educativo e di richiamare un ampio pubblico proveniente dalla comunità, dal territorio o dal gruppo di riferimento. L’interazione con la comunità e la promozione del suo patrimonio sono parte integrante della funzione educativa del museo”.4

Per assolvere a questa sua funzione, risulta indispensabile per il museo conoscere i fattori che impediscono la fruizione museale, in modo da poter indirizzare l’offerta del museo verso questi segmenti della popolazione ed esercitare un potere di attrazione.

È altresì importante per il museo conoscere le motivazioni che spingono il visitatore

a recarsi al museo. A tal fine, nel 2006, è stata condotta un’indagine sul pubblico dei musei modenesi in collaborazione con Mario Turci e con la Fondazione Fitzcarraldo di Torino.

La ricerca si inserisce nel filone di studi condotti sul pubblico dei musei, principalmente di stampo sociologico, attraverso i quali è possibile definire il profilo socio-demografico dei visitatori, per aggiungervi informazioni sul rapporto tra visitatore e musei.

In particolare, ci si sofferma su aspetti quali le motivazioni di visita, i processi che portano alla decisione di recarsi al museo, le modalità e i comportamenti di fruizione al fine di fornire ai musei utili indicazioni per comprendere i bisogni e le aspettative dei visitatori.

La ricerca di stampo qualitativo, attraverso l’utilizzo del focus group, era finalizzata a rilevare quali sono le motivazioni alla visita, come si svolge l’esperienza stessa e quali sono i bisogni non soddisfatti dal museo.

I focus group erano costituiti da persone tra i 18 e i 70 anni di età, distinte in visitatori “abituali”, se avevano visitato nell’ultimo anno più di tre musei/mostre, e visitatori “occasionali”, se ne avevano visitati da una a tre nel corso dell’anno.

Ne è emerso quanto segue:

-­‐ le motivazioni che spingono a visitare il museo sono legate principalmente alla dimensione intellettuale (es. per apprendere o essere stimolati intellettualmente) e al piacere estetico derivato dalla fruizione. In secondo piano sono la ricerca di emozioni e la dimensione sociale dell’esperienza;

-­‐ gli utenti vengono a conoscenza delle proposte museali attraverso il passaparola, internet, giornali, manifesti, riviste specializzate;

-­‐ l’esperienza di visita è il frutto dell’interazione di tre componenti: il contesto personale (esperienze e conoscenze pregresse), il contesto sociale (interazione con altre persone) ed il contesto fisico (il museo, le collezioni, l’allestimento ecc.);

-­‐ i componenti paratestuali necessitano di una revisione dal punto di vista dei contenuti;

-­‐ il sovraffollamento degli spazi museali è molto criticato.

Sulla base di tali informazioni, si forniscono delle indicazioni per “un museo dalla parte del visitatore” in cui sia importante:

-­‐ prevedere la possibilità di poter dilazionare la visita inserendo biglietti aperti che rendano possibile il ritornare un’altra volta senza dover pagare di nuovo per entrare; -­‐ predisporre aree di ristoro per rilassarsi;

-­‐ fornire materiale per l’approfondimento;

-­‐ formare il personale di sala e di accoglienza sulle attività e sulle “buone pratiche”.    

Ma questa non è l’unica richiesta al museo: esso non solo deve essere dalla parte dei suoi pubblici, ma deve riuscire a fidelizzarlo. Pertanto si studiano le strategie che possono essere impiegate per far diventare i visitatori di musei “clienti abituali” dell’istituzione.

Come si può indurre il visitatore a ripetere la visita?

Diverse sono le strategie adottate, tutte frutto di offerte non usuali come la presentazione di rappresentazioni teatrali, di spettacoli musicali, percorsi eno- gastronomici abbinati al museo.

I fruitori dei servizi museali devono essere indotti a ripetere l’esperienza e spinti a diventare clienti fedeli del museo.

La fidelizzazione del pubblico si ha solo se il visitatore trova elementi che lo interessano nel museo durante la sua esperienza e non considera esaurito con la prima visita il suo interesse.

In ultima analisi sono fiorite le ricerche sul rapporto tra il pubblico del museo e la rete.

L’avvento di internet e l’entrata del museo nel web attraverso una sua riproduzione delle esposizioni reali, l’utilizzo di tecnologie a supporto della vista hanno decretato l’insorgere di ricerche sulle nuove modalità di fruizione, siano essi virtuali o reali attraverso il supporto di tecnologie multimediali. Sempre più diffusa è la tendenza dei musei ad avere un proprio sito web, o la loro pagina Facebook. Inoltre, a supporto della visita è utilizzato il proprio smartphone con guide scaricate direttamente dal sito del museo.

 

Conclusioni

Nei capitoli precedenti è stato ricostruito il contesto di riferimento, con particolare attenzione alle collezioni, al museo e alla storia delle istituzioni incaricate della loro fondazione appartenenti al Sistema Museale del Comune di Roma.

Ma il punto focale della trattazione è stato il visitatore, oggetto delle indagini condotte in ambito museale.

L’interesse per il visitatore è in linea con la nuova politica adottata dal museo di porsi in ascolto dei visitatori.

Prima di allora,

“i visitatori sono cifre senza volto, piedi da contare mentre oltrepassano la soglia, un male inevitabile dal momento che un museo è, per definizione, un luogo pubblico. È raro che un museo sappia chi sono i suoi visitatori e perché ci vengono, anche se i direttori sono sempre pronti a snocciolare grandi quantità di ‘dati sulle presenze’. […] Nel valutare l’opera svolta da un museo sembra quasi che il peso corporeo delle persone che lo frequentano sia più importante dell’esperienza che ne ricavano” (Hooper-Greenhill, 1994, tradotto in “Indagine sui musei lombardi”, p. 7).

Da allora qualcosa è cambiato: a partire dagli inizi del novecento i visitatori sono diventati soggetti da studiare, per permettere di meglio conoscere la relazione dei musei con i loro visitatori. Ma è solo negli ultimi due decenni del secolo scorso e soprattutto in ambito anglosassone che gli studi sui visitatori si sono affermati come campo di studio indipendente.

Il proliferare di questi studi è frutto della nuova concezione del museo, delle sue funzioni e della nascente necessità di cercare di superare il divario esistente tra il personale operante nel museo (curatori e ricercatori) e le diverse categorie di pubblico.

 

Inoltre, questi studi permettono di progettare attività efficaci, di migliorare l’esperienza di visita e di allargare il bacino di utenza del museo.

Numerose le tematiche affrontate in questi studi, che sembrano svolgersi lungo un

continuum che contempla approcci diversi: si passa dall’approccio dell’apprendimento in

contesti informali, finalizzato alla funzione educativa a quello orientato al marketing, indirizzato ad ottimizzare l’offerta museale, passando attraverso una dimensione sociale ed estetica.

L’approccio orientato all’apprendimento ha analizzato le strategie messe in atto dal museo per svolgere la sua funzione educativa, assunta fin dall’epoca illuminista, la ricaduta cognitiva che la visita museale ha sul suo pubblico e le modalità di apprendimento del visitatore.

Gli studi orientati al marketing hanno permesso di valutare l’offerta museale e di migliorarla dal punto di vista comunicativo, dell’afflusso di visitatori e dei servizi offerti.

La dimensione sociale del museo risiede nella tendenza registrata di recarsi al museo in compagnia di amici o parenti o in gruppo.

La dimensione estetica comprende gli studi sulla percezione e sulla ricezione degli oggetti all’interno degli spazi espositivi che hanno permesso sia di progettare spazi espositivi e allestimenti che potessero rispondere agli obiettivi educativi prefissatisi per le diverse tipologie di pubblico sia di conoscere i comportamenti che ha il visitatore nel momento in cui fruisce del museo.

Questi studi sono stati condotti in ambito nazionale ma in ritardo rispetto allo scenario internazionale: solo alla metà degli anni novanta, infatti, sono comparse le prime pubblicazioni sulle indagini pionieristiche svolte in ambito museale, sulla scia del processo di rinnovamento che stava investendo i musei determinato da fattori sociali, economici e culturali.

Successivamente, in ambito museale sono state inserite modalità gestionali di cui si utilizzano metodi e strumenti, si sviluppano i servizi di accoglienza: la conoscenza del pubblico assume un valore aggiunto in quanto cliente più che fruitore di un’esperienza conoscitiva ed estetica.

Ma queste linee di indagine e quelle che caratterizzano lo scenario internazionale, a livello nazionale, non sono ancora state ampiamente dibattute sia a causa della mancanza di finanziamenti e dei costi elevati che la realizzazione di tali indagini richiede che a causa della reticenza di coloro che operano nel museo a riferirsi ad indagini sul pubblico per comprendere meglio le esigenze dei loro visitatori che credono di conoscere a sufficienza.

In realtà, sembra non essere ancora evidente il ruolo svolto dal ricercatore nel settore museale quale “agente di cambiamento” come lo definisce Marylin Hood (1991, p. 5):

 

management philosophy and budget of the museum, and throughout all the enterprises that the museum offers. When I have asked museum directors what has been the most valuable outcome of the research I have conducted for them, they have said it was raising the consciousness of the staff and trustees regarding their visitors and potential visitors. From that time forward, they considered the point of view of the audience, as well as that of the museum insider, in all they did”.

Negli ultimi anni, la situazione sembra stia cambiando: coloro che operano nel museo sembra stiano assumendo maggiore consapevolezza dell’utilità degli studi sui visitatori al fine della progettazione delle attività museali grazie all’apporto dei contributi presentati in occasione di convegni e di corsi di formazione offerti loro per creare profili professionali specifici del settore.

Da quanto detto finora, risulta evidente il capovolgimento di concezione che ha investito il visitatore: non è più uno spettatore passivo, ma diventa protagonista del percorso di sviluppo museale.

L’interesse per il pubblico costituisce il massimo comun denominatore del museo e trova applicazione anche a livello normativo.

Ad esempio, in Italia, nel 2001 è stato approvato, con D.M. 25.7.2000, l’Atto di

indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento1.

In esso sono stabiliti gli standard minimi di prestazione da rispettarsi se la gestione dei musei statali è affidata agli Enti locali.

Tale decreto ha incrementato l’interesse verso la gestione museale e l’affermazione di una nuova idea di museo, rispondente a quelle che sono le diverse esigenze del pubblico.

L’Ambito VII, intitolato Rapporti del museo con il pubblico e relativi servizi, nella Premessa, contiene utili indicazioni:

“Ogni museo affianca al dovere della conservazione del proprio patrimonio la missione, rivolta a varie e diversificate fasce di utenti, di renderne possibile la fruizione a scopo educativo, culturale, ricreativo e altro ancora. Interpretare il suo patrimonio e renderlo fruibile da parte dei visitatori, specialmente esponendolo, è dunque parte integrante della sua ragion d’essere. In linea generale, il museo è sollecitato a sviluppare, nel rispetto della propria tradizione e cultura, quegli aspetti di orientamento verso il visitatore che mettano quest’ultimo in grado di godere l’accostamento al museo stesso come un evento particolarmente appagante non solo in quanto fattore di crescita culturale, ma anche in quanto momento privilegiato della fruizione del tempo libero, e valido complemento delle più consuete attività ricreative”.

                                                                                                               

1http://www.pabaac.beniculturali.it/opencms/export/BASAE/sitoBASAE/Contenuti_BASAE/Sezioni /Normative-e-leggi/Arti/Musei-e-monumenti/Standard/visualizza_asset.html_1795872050.html.

 

Nella sezione successiva, Norma tecnica, si recita quanto segue:

“Ogni museo è tenuto, anche nel rispetto della normativa vigente, a dedicare impegno e risorse affinché l’accesso al museo sia garantito a tutte le categorie di visitatori/utenti dei servizi, rimuovendo barriere architettoniche e ostacoli di ogni genere che possano impedirne o limitarne la fruizione a tutti i livelli. Ogni museo è tenuto a esporre le collezioni permanenti secondo un ordinamento scientificamente corretto, che interpreti e valorizzi gli aspetti di volta in volta ritenuti caratterizzanti. L’ordinamento e l’allestimento dovranno offrire al visitatore gli elementi conoscitivi indispensabili, ma anche, attraverso gli strumenti sotto descritti, informazioni orientative (di tipo storico, antropologico, storico-artistico, iconografico e quant’altro si renda utile) così da inserire nel percorso o nei percorsi di visita occasioni di arricchimento e di esperienza culturale in senso lato. Per tutti gli aspetti comunicativi e informativi è da tenere presente la rilevanza progressivamente assunta dalla comunicazione remota, specialmente tramite Internet, atta a rendere disponibili informazioni scientifiche e pratiche di ogni genere in anticipo e successivamente rispetto alla visita effettiva”2.

Ma quello che sembra mancare è l’applicazione delle conoscenze e dei risultati ottenuti attraverso le indagini per migliorare l’esperienza museale e allargare il proprio bacino di utenza coinvolgendo le categorie di pubblico che non si recano al museo.

Gli studi condotti sul pubblico spesso non sono stati utilizzati per ottimizzare l’offerta, rendendola fruibile e attraente per tutte le categorie di pubblico.

Sono necessari nuovi approcci museografici, una nuova programmazione educativa, nuove forme di comunicazione, nuovi servizi per migliorare la qualità del servizio offerto e aiutare il museo ad assumere un atteggiamento di condivisione.

Il museo, sulla base delle indicazioni fornite dagli studi condotti finora, che hanno permesso di individuare i cambiamenti accorsi nella tipologia dei visitatori, le lacune o i deficit presenti nella comunicazione, dovrebbe pensare alle modalità con le quali rivolgersi ai diversi visitatori, dovrebbe cercare di incrementare il numero di visitatori, attraverso un’offerta rispondente a quelle che sono le esigenze del mondo contemporaneo.

Ci si dovrebbe rivolgere a “pubblici” piuttosto che ad un generico “pubblico”. Questo per meglio delineare le differenze esistenti tra le diverse tipologie, articolate in gruppi ad esempio distinti per età, provenienza (famiglie, adolescenti, anziani, bambini, specialisti, stranieri ecc.).

Il museo, quindi, dovrebbe essere orientato verso i suoi pubblici, che si presentano diversificati e con diverse esigenze di apprendimento.

 

Pertanto,

“Un’esposizione in un museo può essere vista come una “tecnologia dell’immaginazione”. Si tratta di un luogo ordinato dove il sensoriale e il cognitivo si incontrano; e dove i visitatori, attraverso l’esperienza, possono estendere, rinforzare o modificare le proprie conoscenze. Si tratta di un processo, però, in cui i visitatori non possono essere visti come recettori passivi, più o meno refrattari, dei saperi trasmessi. Al contrario, arrivano al museo con i propri punti di vista e i propri immaginari”. (Merzagora, Rodari, 2007, p. 5)

In quest’ottica, museo e visitatore si trovano a condividere le proprie esperienze,