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Natura del consenso: da atto a processo

Consenso e rifiuto delle terapie alla fine della vita

3. Natura del consenso: da atto a processo

La natura giuridica del consenso del paziente è stata a lungo dibattuta in dottrina e in giurisprudenza. In un primo momento, gli sforzi interpretativi convergevano verso la riconduzione dell’istituto a disposizioni di natura civilistica e penalistica, con riferimento rispettivamente agli elementi contrattuali del rapporto terapeutico e alla questione della liceità dell’attività medico-chirurgica. Ma è con il tentativo di dare al principio in esame uno statuto costituzionale – culminato con la già citata sentenza 438 del 2008, nella quale si sancisce la natura di diritto fondamentale del consenso informato – che si assiste ad un “drastico cambio di rotta”357, in grado di ridefinire i contorni del rapporto tra medico e paziente.

Sul versante penalistico, l’attenzione è stata rivolta principalmente alla possibilità di ricondurre l’autorizzazione del soggetto rispetto al trattamento sanitario all’art. 50 c.p. L’idea del consenso del paziente come scriminante rispetto alla condotta del medico, considerata sempre lesiva dell’integrità fisica, finiva per dare una connotazione svalutativa dell’attività terapeutica, oltre ad avvallare una concezione del corpo di tipo “dominicale”, ben rappresentata nel codice civile dalla regola dell’art. 5 c.c. in tema di atti di disposizione. A tale proposito, in sede di giurisprudenza di legittimità è stato più volte ribadito che l’attività medicochirurgica trova giustificazione “nella sua intrinseca

utilità e vantaggiosità sociale”358, poiché ha lo scopo di realizzare il fondamentale

354 F.G.PIZZETTI, Alle frontiere della vita: il testamento biologico tra valori costituzionali e promozione

della persona, cit., p. 129.

355 R. CAMPIONE, in Stato vegetativo permanente e diritto all’identità personale in un’importante

pronuncia della Suprema Corte, in Fam. e dir., 2008, p. 131.

356 F.G.PIZZETTI, op. ult. cit. p. 124.

357 Così B.VIMERCATI, Consenso informato e incapacità, cit., p. 63.

358 Cass. pen., sez. IV, 11 luglio 2001, n. 35822, in Cass. pen., 2002, II, p. 2041 ss (caso Ciccarelli). Sulla

necessità di tutelare l’attività medica nella sua finalità intrinseca di perseguire il bene del paziente, cfr. anche le sentenze Cass. pen., sez IV, 27 marzo 2001, n. 36510, in Corriere del merito, 2009, p. 304 (caso Firenzani); Cass. pen., sez. I, 29 maggio 2002, n. 26446, in Riv. it. dir. proc. penale, 2004, p. 607 (caso Volterrani).

78 diritto dell’individuo alla salute, sia quando questo comporti una lesione dell’integrità fisica, sia nei casi in cui si persegua anche solo l’aspetto psichico di tale diritto, come nell’ipotesi del mutamento di sesso359 o della chirurgia estetica360. Come ha efficacemente affermato la Cassazione penale, in una sentenza più recente, se di scriminante si vuol parlare, “dovrebbe, semmai, immaginarsi la presenza, nel sistema,

di una sorta di ‘scriminante costituzionale’, tale essendo […] la fonte che ‘giustifica’ l’attività sanitaria”361.

Sul versante civilistico, invece, gli sforzi ricostruttivi che si si sono concentrati sulla classificazione del consenso come negozio362 o come atto giuridico in senso stretto, con valore autorizzatorio363, hanno dimostrato notevoli difficoltà nell’inquadramento sistematico dell’istituto. A ben vedere, se si considera che il principio operativo che guida l’intera trattazione è quello di guardare al rapporto terapeutico nella realtà

359 Cfr. Corte Cost. 24 maggio 1985, n. 161, in Foro it., 1985, I, c. 2162.

360 Cass. civ., sez. III, 25 novembre 1994, n. 10014, in Nuova giur. civ. comm, 1995, I, 937 ss., con nota

di G. FERRANDO, Chirurgia estetica, “consenso informato” del paziente e responsabilità del medico in cui si legge: “sarebbe riduttivo, anzitutto, fondare la legittimazione dell’attività medica sul consenso dell’avente diritto […] risultando la stessa di per sé legittima, ai fini della tutela di un bene, costituzionalmente garantito, quale il bene della salute, cui il medico è abilitato dallo Stato. Dall’autolegittimazione dell’attività medica […] non deve trarsi, tuttavia, la convinzione che il medico possa, di norma, intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del paziente. La necessità del consenso […] si evince, in generale, dall’art. 13 della Costituzione, il quale, come è noto, afferma l’inviolabilità della libertà personale – nel cui ambito si ritiene compresa la libertà di salvaguardare la propria salute e la propria integrità fisica –”; inoltre, il richiamo più esplicito è all’art. 32, comma II, Cost. In senso conforme anche Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1997, n. 364, in Nuova giur. civ. comm., I, p. 573 ss.

361 Cass. pen., sez. un., 21 gennaio 2009, n. 2437.

362 Così, ad esempio, G. FERRANDO, Consenso informato del paziente e responsabilità del medico,

principi, problemi e linee di tendenza, cit., p. 58: “in quanto espressione dell’autodeterminazione del

paziente, il consenso al trattamento medico rientra nell’ampia sfera degli atti di tipo negoziale”. L’A, peraltro, sottolinea che non si devono sottovalutare i rischi di una eccessiva contrattualizzazione del rapporto medico-paziente, bensì valorizzare la necessaria collaborazione tra i due soggetti del rapporto. Anche P. ZATTI, «Parole tra noi così diverse». Per una ecologia del rapporto terapeutico, in Nuov. giur.

civ. comm., 2012, p. 143 ss., parla del consenso come negozio, ma sottolinea la necessità di trascendere

questa categoria.

363 Cfr. sul punto, di recente, T. PASQUINO, Autodeterminazione e dignità della morte, in particolare p. 74

ss. L’A. distingue tra direttive emesse nel corso del rapporto terapeutico – che si sostanziano nel consenso o nel rifiuto attuale alle cure – e direttive anticipate di trattamento e attribuisce loro una natura giuridica differenziata. Nel primo caso si avrebbe a che fare con un atto giuridico in senso stretto. Così si esprime l’A.: “tali dichiarazioni, se esplicitate nel contesto del rapporto terapeutico già instaurato, potrebbero, dunque, non avere struttura e funzione negoziale perché, una volta che siano venute ad esistenza e si siano obiettivate, è la legge che ricollega ad esse la produzione di determinati effetti; i quali effetti sono espressamente previsti da norme già vigenti”. Dovrebbero, invece, essere ricondotte alla categoria del negozio le direttive anticipate di trattamento, delle quali si parlerà ampiamente infra, cap. IV. Nel senso di dare al consenso una valenza non negoziale si veda anche S.ROSSI, Consenso informato, cit., p. 197: “se si conviene che il consenso conferisce al terapeuta solo una facoltà di agire e, al tempo stesso, non integra un’obbligazione per il dichiarante, ovvero, non determina nessun effetto impegnativo per il paziente, appare ragionevole pensare che l’atto del consenso del malato costituisca una dichiarazione non negoziale”.

79 concreta del fine vita, nessuna delle due ipotesi alternative può dirsi del tutto utile364, poiché il legame forte dell’istituto con i diritti fondamentali della persona richiede comunque la necessità di definire un regime giuridico differenziato e peculiare365: come osserva un Autore, il consenso “deve essere molto di più che l’atto formale, e più

dell’atto di manifestazione di una volontà secondo lo schema del negozio; lo schema dell’atto giuridico va incluso ma trasceso, integrato in una regolazione della costruzione e gestione del consenso”366. Certamente, può apparire opportuno il suggerimento di parte della dottrina di operare un distinguo tra consenso al contratto – con il medico o con la struttura sanitaria – e consenso all’intervento sul corpo, funzionale all’esigenza di guardare all’interesse del paziente in modo distinto rispetto alle vicende del rapporto obbligatorio, peraltro solo eventuale367: si pensi, ad esempio,

364 Per uno studio sulle diverse teorie che riconducono il consenso al trattamento medico alla categoria del

negozio o dell’atto giuridico in senso stretto si veda U.G. NANNINI, Il consenso al trattamento medico.

Presupposti teorici e applicazioni giurisprudenziali in Francia, Germania e Italia, cit., soprattutto p. 146

ss. L’A., una volta che ha ritenuto non soddisfacente il riferimento alle due categorie in ordine alla costruzione di una disciplina del consenso che possa applicarsi alla pratica della relazione di cura, opta per una qualificazione del consenso all’intervento medico come negozio sui generis, dal momento che non vi può essere una applicazione automatica di tutte le regole elaborate nello studio dei problemi della categoria del negozio giuridico, vista la peculiarità degli interessi coinvolti nel consenso al trattamento sanitario.

365 Ivi, p. 161 ss.

366 L’espressione è di P. ZATTI, «Parole tra noi così diverse». Per una ecologia del rapporto terapeutico,

cit., p. 149.

367 Non è detto che tra medico e paziente si instauri necessariamente un contratto: si pensi ad una

prestazione che sia resa per incarico di un terzo o in adempimento di un dovere di natura pubblicistica. Così S.TOMMASI, Consenso informato e disciplina dell’attività medica, cit. Nei casi in cui vi sia un contratto alla base del rapporto tra medico e paziente, tale contratto può essere di spedalità – definito da Cass. 14 luglio 2004, n. 13066, in Giust. civ., 2005, p. 11, come “un atipico contratto a prestazioni corrispettive” tra paziente e struttura sanitaria – o di opera professionale se stipulato direttamente con il medico. Si può ricordare, in questo contesto, che si è discusso a lungo in dottrina e in giurisprudenza a proposito della responsabilità del medico nei confronti del paziente nei casi in cui l’obbligo di cura del sanitario non ha origine in un contratto di opera professionale, bensì nel rapporto di lavoro con la struttura sanitaria. Non è possibile ricostruire con esaustività il complesso tema della responsabilità sanitaria. In breve, è opportuno richiamare il passaggio, nelle pronunce giurisprudenziali sul punto, da una prima fase nella quale prevaleva la tesi della natura extracontrattuale della responsabilità (cfr. Cass. sez. III, 24 marzo 1979, n. 1716, in Foro it., 1980, I, 1115), all’approdo – a partire dalla fine degli anni ’80 in poi – alla responsabilità contrattuale, sulla base di diversi fondamenti normativi. La letteratura sul tema è amplissima. Ex multis, si ricorda il fondamentale contributo di C. CASTRONOVO, L’obbligazione senza

prestazione ai confini tra contratto e torto, in Scritti in onore di L. Mengoni, Giuffrè, Milano, 1195, I, p.

148. Ad oggi, la tesi più accreditata in dottrina e in giurisprudenza fa derivare la responsabilità contrattuale dal c.d. contatto sociale che si instaura tra medico e paziente al momento della presa in carico da parte del sanitario. Come afferma la Cassazione nella sentenza 22 gennaio 1999, n. 589, in Arch. civ., 1999, p. 713, la responsabilità nasce da “un’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in quanto poiché sicuramente sul medico gravano gli obblighi di cura impostigli dall’arte che professa, il vincolo con il paziente esiste, nonostante non dia adito ad un obbligo di prestazione, e la violazione di esso si configura come culpa in non faciendo, la quale dà origine a responsabilità contrattuale”. Cfr. A. DI

MAJO, L’obbligazione senza prestazione approda in Cassazione, in Corr. giur., 1999, p. 446. Si vedano, più di recente, Cass. n. 8826 del 2007 in Nuova giur. civ. comm, I, 2007, p. 1428, e Cass. n. 577 del 2008 in Resp. civ. e prev., 2008, p. 849. Nella sentenza del 2007, peraltro, cambiano i termini del fondamento dell’obbligazione che nasce da contatto sociale, la quale, secondo la Suprema Corte, non “ha ad oggetto la

80 alla disciplina della capacità di agire, ai vizi della volontà o all’efficacia vincolante dell’accordo che si prestano a regolare solo i profili contrattuali, laddove ve ne siano368. Anche qualora l’espressione di questi due “consensi” “materialmente coincida”, è necessario riconoscere che il consenso alle cure reclama “principi giuridici suoi propri,

a cominciare da quello della costante revocabilità” 369.

Se effettivamente esiste un “momento in cui una volontà attuale si manifesta ed è

opportunamente comunicata e documentata” – talvolta attraverso forme di

manifestazione dell’autodeterminazione estranee ai canoni negoziali370 – questo momento non è che il punto di partenza di quella che giuridicamente può assumere le vesti di una “procedura”, “mentre dal punto di vista fattuale” può intendersi come “un

cammino, un succedersi di fasi che vanno previste, coordinate e attuate con attenzione”371. In questa prospettiva, il consenso si distacca sia dalla categoria del contratto, per gli ovvi profili di non patrimonialità e di costante possibilità di revoca che lo caratterizzano, sia dalla categoria del negozio: per quanto più ampio e suscettibile di estendersi ad aspetti non patrimoniali, il negozio mantiene comunque una vocazione di “istantaneità”, poiché scolpisce e fissa un interesse, cristallizza la realtà in un atto.

protezione del paziente bensì una prestazione che si modella su quella del contratto di opera professionale, in base al quale il medico è tenuto all’esercizio della propria attività nell’ambito dell’ente con cui il paziente ha stipulato il contratto”. Ha natura contrattuale, sempre secondo l’orientamento prevalente in dottrina e giurisprudenza, anche la responsabilità per omessa informativa del medico che la tesi minoritaria riconduce, invece, a responsabilità precontrattuale. A proposito dell’inadempimento degli obblighi informativi da parte del medico, si è posta la questione della risarcibilità o meno del danno derivante da omessa informazione che costituisce un vulnus all’autodeterminazione del paziente, in via indipendente o anche in assenza di una lesione del diritto alla salute. L’orientamento oggi dominante stabilisce che l’inadempimento da mancato consenso informato non può essere di per sé oggetto di risarcimento, poiché è necessario che la lesione della libertà di autodeterminazione abbia comportato delle conseguenze pregiudizievoli che devono essere provate. Cfr. sul punto Cass. n. 14638 del 2004, in

Giur. it., 2005, p. 1395 e Cass. n. 5444 del 2006, in Resp. civ. e prev., 2006, p. 47, nella quale si afferma

che la violazione dell’obbligo del consenso è fonte autonoma di responsabilità, indipendentemente dall’esecuzione corretta o meno della prestazione sanitaria, ma sulla base dell’aggravamento delle condizioni di salute del paziente. Si veda sul punto G. FACCI, Brevi osservazioni in tema di funzione

riparatoria della responsabilità civile e violazione del sanitario del dovere di informazione, in Resp. civ. e prev., 2008, p. 409.

368 Sul punto A. PINNA, Autodeterminazione e consenso: da regola per i trattamenti sanitari a principio

generale, cit., p. 592. Si pensi, ad esempio, alla necessità che il consenso informato sia sempre revocabile,

anche in accordo con alcuni indici normativi: nella Convenzione di Oviedo, all’art. 5, si legge che “la persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”.

369 Così D. CARUSI, Tutela della salute, consenso alle cure, direttive anticipate: l’evoluzione del pensiero

privatistico, in Riv. crit. dir., priv., 2010, p. 15.

370 Cfr. sul punto V. CALDERAI,Consenso informato, cit., p. 253: “chi «nel corpo» resiste – serra le

labbra, rifiuta di porgere il braccio, volge il capo dall’altra parte – manifesta un dissenso radicalmente personale con un atto «muto» di resistenza che non corrisponde ad una dichiarazione negoziale, né a un comportamento concludente con valore negoziale, e pure è espressione autentica di autodeterminazione”.

81 Il consenso al trattamento medico non può, invece, qualificarsi meramente come un atto, “inteso come gesto istantaneo del volere”372, del quale si indaga la validità attraverso l’accertamento dei profili che caratterizzano l’atto di volontà contrattuale. Piuttosto, si deve valorizzare la dimensione di processo, all’interno del quale l’espressione della volontà – ma anche, come si vedrà meglio nel prosieguo, dell’identità – non rappresenta un istante finale, bensì un continuum373. Mentre

l’autonomia privata codicistica si esercita “attraverso una molteplicità di atti separati,

puntiformi”374 e astratti rispetto al soggetto che li pone in essere, nel processo del consenso si apprezza l’interazione tra i protagonisti della relazione di cura, si valuta il contesto nel quale ci si trova, si tiene conto degli stati discontinui del volere e dell’esprimersi che non di rado caratterizzano i pazienti in condizioni di fragilità e debolezza. Appare particolarmente condivisibile, in questo contesto, la dizione di “consensualità”375 che, in modo assai più esplicativo del mero riferimento al consenso, riesce a dare conto della dilatazione del fenomeno in esame rispetto a tutte le fasi nelle quali si concretizza il trattamento sanitario. La relazione di cura, del resto, non si esaurisce in un unico contatto tra le parti, ma si snoda in un procedimento all’interno del quale “la dialettica medico-paziente consente di rendere partecipe costantemente

quest’ultimo della scelta sui trattamenti da eseguire”376 e di realizzare al meglio i valori legati alla persona. Un’altra dottrina si riferisce, a tale proposito, ad un consenso che viene definito “biografico”: così come messo in luce dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il consenso sorregge il diritto all’integrità fisica e psichica che “si

definiscono nel continuo fluire della libera costruzione della personalità”377. Un tale assunto fa sì che, in un “diritto che non può più fare astrazione da se stesso, e perciò

viene definito come biodiritto”378, il consenso si struttura come un processo complesso e

372 ID., Premessa, in Maschere del diritto, volti della vita, cit.

373 L’idea del continuum si ritrova, peraltro, in una parte della letteratura nordamericana relativa alla

capacity e alla competence, delle quali si è dato conto in precedenza. Cfr. W.M. ALTMAN et al.,

Autonomy, Competence, and Informed Consent in Long Term Care: Legal and Psychological Perspectives, 7 VILL.L REV. 1671, 1678 (1992), in cui si afferma che la “decisional capacity is viewed

along a continuum as a matter of degree, not an all-or-nothing phenomenon”. Così anche in S. WEYRAUCH, Decision Making for Incompetent Patients: Who Decides and by What Standards, 35 Tulsa L. J. 765 (1999), p. 767: “decisionmaking capacity is not an immutable characteristic that a person has or does not have. Competence is a continuum concept”.

374 S.RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, cit., p. 271.

375 Si parla di consensualità nel progetto di legge Manconi (S13, Norme in materia di relazione di cura,

consenso, urgenza medica, rifiuto e interruzione di cure, dichiarazioni anticipate), cit.

376 Così S.ROSSI, Consenso informato, cit., p 197. 377 S.RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, cit., p. 273. 378 Ibidem

82 “dilatato”, attraverso il quale è possibile insinuarsi nelle pieghe irregolari della fine dell’esistenza.

4. Tra autodeterminazione e tutela della salute: consenso e rifiuto negli scenari di