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Paternalismo e antipaternalismo nel diritto privato: amministrazione di sostegno e scelte di fine vita

Percorsi della capacità di agire: dal “patrimonio” alle scelte di fine vita

3. Paternalismo e antipaternalismo nel diritto privato: amministrazione di sostegno e scelte di fine vita

Secondo un interessante spunto dottrinale172, la riforma dell’amministrazione di sostegno può coerentemente essere inquadrata in quella tendenza del diritto privato ad evolversi lungo due diverse direttrici, in una costante “tensione dialettica [..] a rischio

di sbilanciamento verso uno solo dei valori in gioco”173: da una parte, al centro del sistema resta il “principio di autonomia” che, anzi, vede il progressivo ampliarsi del “potere di scelta e di autogoverno delle persone”174, anche quando sono sottoposte ad una misura di limitazione della capacità di agire175; dall’altra parte, si è intensificata l’attenzione dell’ordinamento per le esigenze di protezione di una più ampia schiera di soggetti “deboli”, secondo un profilo che richiama il dibattito sui modi e sui limiti del c.d. paternalismo giuridico.

Rispetto all’eventualità di restringere la “libertà di un individuo [..] nell’interesse di

quello stesso individuo”176 – che rappresenta la generale definizione di paternalismo – possono distinguersi, in via principale, due diverse reazioni dell’universo giuridico177. In primo luogo, la limitazione delle libere scelte di un soggetto può dipendere da una valutazione in senso sostanziale, da parte dell’ordinamento, sui possibili risultati di quelle scelte, ritenuti in sé dannosi o in contrasto con i principi generali del sistema. Per

171 G.FERRANDO, Introduzione, in L’amministrazione di sostegno, a cura di G.FERRANDO, cit., p. 4. 172 Si intende richiamare il pensiero articolato da R. CATERINA,Paternalismo e antipaternalismo nel

diritto privato, in Riv. dir. civ., 2005, p. 771, da cui si riprende il titolo del presente paragrafo, e ID.,

Paternalismo e autonomia, in La valutazione delle capacità di agire, cit., p. 3 ss.

173 CosìF.BILOTTA A.BIANCHI, L’amministrazione di sostegno e gli altri istituti di tutela giuridica, cit.,

p. 29.

174 R.CATERINA, Paternalismo e autonomia, cit., p. 8.

175 Osserva ancora R. CATERINA,ivi, p. 13, che la legge sull’amministrazione di sostegno “nasce con

l’intenzione di restituire libertà all’infermo e al disabile, sia prevedendo un regime di protezione più «leggero» che relega l’interdizione a paradigma del tutto residuale, da utilizzarsi soltanto in casi estremi; sia ammorbidendo lo stesso regime dell’interdizione”.

176 Ivi, p. 3.

177 Senza dubbio, le distinzioni sono assai più sfumate e complesse, ma la dicotomia che qui si intende

richiamare ha il merito di restituire all’indagine una maggiore chiarezza concettuale. Rispetto al paternalismo giuridico si deve distinguere, ad esempio, il moralismo giuridico – che “interferisce con le scelte degli individui non perché esse sono inadeguate a perseguire i loro veri interessi, ma perché confliggono con principi morali che devono prevalere sui loro stessi interessi”. Cfr. R. CATERINA,

Paternalismo e autonomia, cit., p. 6. Sempre lo stesso A. sottolinea che può esistere una commistione tra

i diversi aspetti e “in alcune ipotesi potrebbe essere la stessa valutazione sostanziale di una scelta” (paternalismo sostanziale) “a fare presumere che essa si viziata nella sua formazione” (paternalismo procedurale).

40 chiarire meglio un simile concetto, è opportuno gettare un rapidissimo sguardo ad alcune ipotesi di “limiti paternalisti all’autonomia contrattuale”178. Si pensi, ad esempio, alla disciplina dell’usura (l. 7 marzo 1996, n. 108): il legislatore ha inteso disconoscere “la regola frutto dell’autonomia privata”179 – nella fattispecie, la clausola contrattuale che contiene interessi c.d. usurari – nel caso in cui risulti in violazione della misura stabilita dalle norme stesse. Sempre all’interno della disciplina dell’usura, un’altra limitazione riguarda in modo unitario sia il contenuto della regola (la clausola che prevede interessi, vantaggi o compensi sproporzionati), sia la condizione soggettiva di chi la pone in essere (la situazione di difficoltà economica e finanziaria di colui che promette gli interessi, i vantaggi o i compensi sproporzionati). Ancora, si possono ricordare l’imposizione di un canone massimo per la locazione di immobili urbani ad uso abitativo, stabilita dalla legge sull’equo canone; la regola che dichiara la nullità delle clausole di limitazione della responsabilità del vettore nei contratti di trasporto (art. 1681 c.c., comma 2); l’art. 5 c.c., nella parte in cui vieta gli atti di disposizione del corpo suscettibili di provocare una limitazione permanente dell’integrità fisica.

Senza dubbio, si può riconoscere una forma di “paternalismo sostanziale” anche nell’ambito di cui ci si occupa, da indagarsi con riferimento ai limiti posti all’autodeterminazione del paziente – con specifico riferimento alle scelte di fine vita – che verranno trattati diffusamente nel corso della trattazione.

Per il momento, si intende approfondire il diverso profilo che va sotto il nome di paternalismo procedurale180. Il termine così utilizzato si riferisce alla possibilità di restringere la libertà decisionale del soggetto non a causa di una scelta ritenuta obiettivamente dannosa sulla base di una valutazione a priori ed esterna, bensì in considerazione di una circostanza “che vizia il procedimento di formazione della

178 Così R.CATERINA, Paternalismo e antipaternalismo nel diritto privato, cit., p. 773. Ricorda l’A. che i

limiti all’autonomia privata possono essere giustificati da ragioni di efficienza (per eliminare o limitare le esternalità negative di una determinata attività) e da ragioni redistributive che possono talvolta intrecciarsi con le ragioni paternalistiche.

179 Ibidem

180 Precisa R.CATERINA, Paternalismo e autonomia, cit., p. 4, con riferimento al volume di J.FEINBERG,

Harm to self, Oxford University Press, 1986, p. 12 ss., che nell’ipotesi di paternalismo procedurale (o soft, per utilizzare una definizione del dibattito corrente in contrapposizione con l’hard paternalism) si

potrebbe più correttamente parlare di una forma soft di anti-paternalismo, intensa nel senso che non si intende qui privare il soggetto della libertà di scelta tout court, bensì si tende a garantire la volontarietà, la libertà e la consapevolezza delle decisioni. In effetti, una tale dizione sarebbe forse da preferirsi, dal momento che il termine paternalismo, sia pure in questa accezione, evoca pur sempre un passato di espropriazione della possibilità di esprimersi sul proprio interesse che, come si è visto nel passaggio da interdizione/inabilitazione all’amministrazione di sostegno, non è più alla base del sistema di protezione dell’incapace delineato dallo stesso codice civile.

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scelta”181. Ciò significa che le limitazioni si legittimano solo quando esistono sufficienti ragioni per dubitare che una decisione sia pienamente libera, informata e consapevole. L’ordinamento sembra muovere dalla crescente consapevolezza che esistono situazioni concrete nelle quali l’individuo non è in grado di valutare correttamente, al momento di effettuare una scelta, il proprio interesse. Per questo sono prescritte delle regole che possano “avvertire il soggetto”, “indurlo ad una maggiore riflessione” e colmare la mancata o completa conoscenza delle condizioni e del contesto della decisione182. La violazione dell’autodeterminazione – intesa in senso ampio – diventa, in sostanza, il rimedio ultimo, da utilizzarsi nel caso in cui le circostanze impediscano di superare le difficoltà e i vizi di formazione della scelta.

Il ruolo crescente che il “paternalismo procedurale” sta assumendo nel sistema italiano si coglie immediatamente con riferimento a due delle più importanti novità legislative dell’ultimo decennio: la disciplina posta a tutela dei consumatori, oggi inserita nel Codice del Consumo (Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206), e la riforma dell’amministrazione di sostegno. Entrambe le normative partono dal presupposto che è irrealistico e inappropriato – così come dimostrano anche recenti studi scientifici sui meccanismi cognitivi e decisionali183 – tracciare una linea di demarcazione netta tra “soggetti perfettamente razionali e consapevoli, capaci di regolare nel modo migliore i

propri interessi, e soggetti totalmente incapaci di autogovernarsi, privati di ogni possibilità di scelta e di iniziativa”184. Piuttosto, l’attenzione di un sistema che voglia davvero mettere la persona in una posizione di centralità deve essere rivolta alla promozione e alla valorizzazione della libertà di scelta, attraverso interventi strutturati che creino le condizioni più adatte ad un corretto processo decisionale. Nel Codice del Consumo, la legge prevede tutta una serie di meccanismi volti a garantire una decisione ponderata e consapevole da parte del consumatore, quali gli obblighi di informazione

181 Cfr. R.CATERINA, Paternalismo e autonomia, cit., p. 4. 182 Ivi, p. 5.

183 Si pensi, in questo contesto, a due diverse branche del sapere: in primo luogo, esistono una serie di

studi di psicologia cognitiva e di economia sperimentale che mettono in discussione la teoria della scelta razionale e il suo ruolo nella analisi giuridica, secondo quel filone che si è sviluppato soprattutto nella letteratura statunitense e che prende il nome di Behavioral law & economics. Si veda sul punto R. CATERINA, Paternalismo e antipaternalismo nel diritto privato, cit., soprattutto da p. 786 ss. e l’amplia

bibliografia ivi reperibile. In secondo luogo, si intende fare riferimento alle nuove conoscenze sui meccanismi decisionali che hanno subito una forte spinta in avanti con l’avvento delle tecniche di

neuroimaging prima citate (cfr. nota 75). Ciò che preme sottolineare, senza entrare eccessivamente nel

dettaglio di questioni che ci porterebbero al di là del tema specifico della trattazione, è che il modello di uomo dotato di massima razionalità nelle scelte, peraltro alla base dell’impianto del Codice Civile, è destinato a ridimensionarsi ed assumere tratti maggiormente realistici.

42 del professionista, la disciplina del recesso, la necessità di rendere le clausole vessatorie oggetto di una specifica trattativa. Per quanto riguarda l’amministrazione di sostegno, si è cercato di sottolineare in precedenza come lo scopo principale della nuova misura di protezione non consista nell’espropriare il beneficiario della capacità di determinarsi in ogni ambito della propria esistenza, bensì nella costruzione di un “dettagliato progetto

di aiuto”, attraverso il quale garantire la partecipazione della “persona in difficoltà”185, per quanto possibile, alle decisioni che lo riguardano e alla determinazione del proprio interesse186.

Il quadro sin qui delineato, che mette in luce la necessità di trovare un equilibrio, anche attraverso interventi di “paternalismo procedurale”, tra la tutela della libertà di scelta e le esigenze di protezione dei soggetti deboli, si presta a fornire interessanti spunti di analisi per il tema di cui ci si occupa nella presente trattazione: gli scenari di fine vita, nella convergenza tra il profilo dell’autodeterminazione in ambito sanitario e il contesto di fragilità decisionale del soggetto morente, rappresentano in modo paradigmatico la difficoltà di comporre questi due valori fondamentali.

Nei termini che si chiariranno nel prosieguo, il diritto all’autodeterminazione del paziente – sancito dalla Costituzione, oltre che da fonti sovranazionali – si esprime attraverso la pratica del consenso e del rifiuto all’atto medico. Se consapevole delle conseguenze della propria decisione e adeguatamente informato, ciascuno ha la facoltà “non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di

eventualmente rifiutare la terapia e di decidere [..] di interromperla, in tutte la fasi della vita, anche in quella terminale”187. Si vedrà meglio in seguito cosa si intende per adeguatezza dell’informazione. Per adesso, si intende sottolineare che la relazione terapeutica è fisiologicamente caratterizzata dall’asimmetria informativa188 tra colui che

185 Così, efficacemente, A. BIANCHI P.G. MACRÌ, Introduzione, in La valutazione delle capacità di

agire, cit., p. XVI;

186 Osservano F. BILOTTA A. BIANCHI, L’amministrazione di sostegno e gli altri istituti di tutela

giuridica, cit., p. 21, che “la visione soggiacente la nuova legge postula innanzitutto la preminenza

giuridica, ma soprattutto etica dell’interesse del soggetto, la cui autonomia decisionale è fin dall’inizio considerata il bene primario da proteggere e promuovere”.

187 Cass. civ. 16 ottobre 2007, n. 21748, cit.

188 Sull’asimmetria informativa cfr. C.CASONATO, Il malato preso sul serio:consenso e rifiuto delle cure

in una recente sentenza della Corte di Cassazione, cit.; V. CALDERAI, Consenso informato, cit.; G. AZZONI, Il consenso informato: genesi, evoluzione, fondamenti, in A lezione di bioetica. Temi e strumenti,

a cura di G. VIAFORA, Franco Angeli Edizioni, Milano, 2015, p. 172 ss. Si veda, poi, l’interessante

documento del Comitato Nazionale di Bioetica, Parere su scopi, limiti e rischi della medicina, 14 dicembre 2001, in www.governo.it/bioetica/pareri.html, nel quale si osserva che “sul piano pratico lo

squilibrio tra medico e paziente è ineliminabile: ma spetta certamente al medico lo sforzo di ridurre al massimo questa asimmetria, secondo un impegno che fa parte della sua Arte sul piano tecnico, prima ancora che su quello morale”.

43 si affida alle cure e il medico, detentore privilegiato delle conoscenze tecniche e scientifiche, oltre che investito di una posizione di c.d. garanzia189 dalla quale discende il corrispondente obbligo di protezione nei confronti del paziente. L’asimmetria informativa, peraltro, non giustifica mai l’esclusione del diretto interessato dal processo decisionale in ordine alle terapie – ciò sarebbe in contrasto con le statuizioni del diritto, oltre che con ogni principio di buona pratica medica190 –, ma impone di cercare dei metodi più efficaci di coinvolgimento dello stesso, proprio per colmare un divario che non può essere ignorato se davvero si vuole costruire un diritto modellato sulla realtà dei contesti di cura. In questo senso, le decisioni alla fine della vita si pongono in una posizione di forte eccezionalità. Il paziente morente può essere colui che vive sospeso negli hospices o nei reparti di cure palliative; talvolta è il paziente che entra ed esce dalla terapia intensiva; in altri casi ancora è un soggetto anziano, magari con un’insufficienza d’organo cronica che comporta numerosi e defatiganti ricoveri ospedalieri191. Si tratta di uno scenario che, come si è già avuto modo di sottolineare in precedenza, è spesso – ma, si badi bene, non sempre – caratterizzato da situazioni di fragilità decisionale del paziente, nel quale il rischio di “danni e abusi” si fa più tangibile192.

Ciò non significa che alla debolezza del paziente morente debba necessariamente corrispondere una misura di protezione, quale il ricorso all’amministrazione di sostegno. Come osserva opportunamente una dottrina, si deve evitare con cura che “la

flessibilità ed accessibilità dello strumento giuridico possano diventare – paradossalmente – un ulteriore, indesiderato strumento di controllo sulla vita delle

189 Sulla posizione di garanzia del medico si veda diffusamente, nella prospettiva penalistica, E. PALERMO

FABRIS, Diritto alla salute e trattamenti sanitari nel sistema penale. Profili problematici del diritto

all’autodeterminazione, Cedam, Padova, 2000, specialmente p. 173 ss. La posizione di garanzia che

rileva in ambito penale ai fini della responsabilità omissiva ex art. 40, comma 2, c.p., può essere “originaria” – se riguarda un determinato soggetto in virtù di un suo specifico ruolo o funzione (si pensi ai genitori rispetto ai figli) – o “derivata”, quando è trasferita ad altri o dal titolare del bene stesso o dal garante a titolo originale. È questo per lo più il caso del medico cui il paziente capace (titolare del bene salute) si affida. Sul punto v. ancora E. PALERMO FABRIS, op. ult. cit., p. 184 s. Diversa è la situazione del

paziente incapace naturale rispetto al quale la posizione di garanzia del medico è originaria, a causa della

sua professione (per qualche ulteriore approfondimento in proposito ivi, p. 222 ss).

190 Si pensi all’art. 20 del Codice di Deontologia medica, significativamente rubricato “Relazione di

cura”, nel quale si legge che “la relazione tra medico e paziente è costituita sulla libertà di scelta e sull’individuazione e condivisione delle rispettive autonomie e responsabilità”.

191 La situazione degli anziani con insufficienza d’organo allo stadio terminale è messa bene in evidenza

dal documento SIAARTI, a cui si è fatto prima riferimento, “Grandi insufficienze d'organo end stage:

cure intensive e cure palliative?”.

192 Per una prospettiva clinica sul caso dei pazienti che si trovano a vivere le fasi finali della loro esistenza

si veda il documento rilasciato dalla SIAARTI, Le cure di fine vita e l’Anestesista Rianimatore:

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persone, sia pure camuffato come protezione dell’individuo da se stesso o da altri”193. Piuttosto, secondo quanto si diceva in precedenza a proposito degli interventi di “paternalismo procedurale”, è necessario porre l’accento sulla necessità di migliorare e promuovere procedure di coinvolgimento, rafforzamento e sostegno del paziente che siano adeguate “alle concrete e quotidiane vicende individuali di malattia”194.

A tale proposito, è opportuno distinguere casi diversi, ai quali l’interprete deve guardare con strumenti diversi. In primo luogo, vi sono circostanze nelle quali la fragilità decisionale non sussiste. Ciò vale soprattutto quando ci si trova di fronte alle scelte di fine vita poste in essere da soggetti che, se pure attraversano l’esperienza dolorosa di una malattia fortemente invalidante, non stanno vivendo le ultime fasi della loro esistenza, ma si trovano in una situazione in cui la prossimità della morte dipende proprio dalla decisione nel senso di interrompere (o non somministrare) una terapia di sostegno vitale. La delicata vicenda – umana prima che giuridica – di Piergiorgio Welby195, al quale sarà dato ampio spazio nel prosieguo della trattazione, è in questo senso emblematica196. Sul punto, si può richiamare la sentenza della Cassazione sul

193 Così F.BILOTTA A.BIANCHI, L’amministrazione di sostegno e gli altri istituti di tutela giuridica, cit.,

p. 29. Cfr., poi, sul punto G. GENNARI, La protezione dell’autonomia del disabile psichico nel

compimento di atti di natura personale, con particolare riferimento al consenso informato all’atto medico, in Familia, 2006, in particolare p. 755 ss., riporta una serie di casi in cui l’amministratore di

sostegno è stato nominato per confermare le decisioni del medico senza dar conto delle opinioni del paziente.

194 Così L. ORSI et al., Le cure di fine vita in Italia: il problema e la sua possibile soluzione nella

prospettiva dei clinici, in Rivista di BioDiritto, 2015, p. 227. La stessa SIAARTI, nel documento Le cure di fine vita e l’Anestesista Rianimatore: Raccomandazioni SIAARTI per l’approccio al malato morente

prima citato, suggerisce l’utilizzo di “ausili alla comunicazione: il ricorso a strumenti come opuscoli e video che illustrino le attività della TI e i principali problemi dei ricoverati”. Nell’esperienza clinica nord- americana, si riscontrano diversi studi volti a dimostrare come l’utilizzo di supporti video per garantire una migliore informazione al paziente e ai suoi surrogates (v. infra, Cap. III) aumentino significativamente l’accuratezza delle decisioni nei contesti di fine vita. Cfr. sul punto A. JAIN et al.,

Video decision aids to assist with advance care planning: a systematic review and meta-analysis, in British Medical Journal Open, 2015, 5(6):e007491. DOI: 10.1136/bmjopen-2014-007491.

195 Piergiorgio Welby, da anni affetto da una grave forma di sclerosi che ormai gli impediva di assolvere

alle normali funzioni vitali, quali il nutrimento, la respirazione o anche solo la comunicazione verbale, senza ricorrere a macchinari e interventi vicarianti, ha chiesto al Tribunale di Roma l’autorizzazione ad ottenere il distacco del ventilatore che lo teneva in vita. Di fronte al diniego del giudice di merito, Welby si è rivolto ad un medico di sua fiducia, il dottor Mario Riccio, nei confronti del quale è stata, poi, formulata l’accusa di omicidio del consenziente. Sull’ordinanza del Tribunale (Tribunale di Roma, 16 dicembre 2006, in Il corriere del merito, 2007, p. 461) e sulla pronuncia del Giudice per le Udienze Preliminari di Roma (GUP di Roma, 23 luglio 2007, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, p. 65), conclusosi con la citata sentenza di non luogo a procedere, si veda infra, Cap. II.

196 Colpisce il modo in cui lo stesso Piergiorgio Welby descrive la sua situazione esistenziale, ormai

divenuta per lui insopportabile, nel volume Lasciatemi morire, Rizzoli, Bologna, 2006. Alcuni significativi passi di questo scritto sono riportati anche nella sentenza del GUP di Roma, cit., in particolare laddove egli racconta: “oggi respiro con l’ausilio di un ventilatore polmonare, mi nutro di un alimento artificiale (Pulmocare) e altri elementi semiliquidi, parlo con l’ausilio di un computer e di un software. La notte alle volte non riesco a creare quel vuoto mentale che mi permetta di ignorare il rumore

45 caso Englaro, più volte citata nel corso della trattazione. La Suprema Corte afferma puntualmente che di fronte al rifiuto netto e consapevole della cura da parte dell’interessato rimane solo lo “spazio – nel quadro dell’alleanza terapeutica che tiene

uniti il malato ed il medico nella ricerca, insieme, di ciò che è bene rispettando i percorsi culturali di ciascuno – per una strategia della persuasione, perché il compito dell’ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza; e c’è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale. Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non c’è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico”197.

In molti altri casi, invece, bisognerà colmare la fragilità “fisiologica” di cui si diceva