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I soggetti “senza identità” e la limitazione delle cure alla fine della vita

Strumenti del diritto per la tutela degli incapaci negli scenari di fine vita

5. I soggetti “senza identità” e la limitazione delle cure alla fine della vita

Si è cercato di mettere in luce, nel corso di questo capitolo, come la centralità del riferimento all’identità personale in tema di scelte di fine vita abbia l’effetto di modellare secondo coordinate nuove le misure di protezione dei soggetti deboli. Non si può ignorare, però, che esistono spazi nei quali l’identità non è in grado in alcun modo di sostenere la sua funzione ordinante. In primo luogo, non sempre sarà possibile ricostruire indici appaganti della personalità del paziente, tali da soddisfare i requisiti di certezza ed effettività di cui si è detto. Rimane, poi, tragicamente aperta la questione di tutti quei soggetti – si pensi a individui affetti da gravissime disabilità psichiche sin dal primo sviluppo – che non solo non hanno la possibilità di esprimersi direttamente, ma non sono mai stati in grado di sviluppare un’identità da ricostruire o da sostenere. È necessario, inoltre, ricordare che sono suscettibili di rientrare nell’ampia categoria dei soggetti “senza identità” tutti quei pazienti che vivono situazioni di particolare marginalizzazione e isolamento sociale – che nella letteratura nord-americana vengono indicati con i termini “unrepresented” o “unbefriended patients”543 – per i quali diventa impossibile rinvenire elementi che orientino le scelte del medico.

542 Cfr. D.B. WHITE, Rethinking interventions to improve surrogate decision making in intensive care

units, in Am J Crit Care, 2011; 20 (3): 252 – 257; C.P. SABATINO, The evolution of health care advance

planning law and policy, in Milbank Q, 2010; 88 (2): 211 – 239; T.M. POPE, Legal fundamentals of

surrogate decision making, cit., p. 1078. Non mancano, comunque, alcune voci critiche nel senso di un

ripensamento del modello del substituted judgment, ritenuto inidoneo a garantire gli interessi dei pazienti incapaci. Cfr. sul punto D.P. SULMASY – L. SNYDER, Substituted Interests and Best Judgments: An

Integrated Model of Surrogate Decision Making, in JAMA, 2010; 304(17):1946-1947.

543 T.SELLERS – T.M.POPE, Legal briefing: The unbefriended: making healthcare decisions for patients

123 È evidente che, in questi casi specifici, l’indagine si sposta sui possibili confini di una decisione fatalmente eteronoma, da declinarsi in modo solo parzialmente diverso a seconda che si faccia riferimento a pazienti rispetto ai quali i “segni di identità” sono troppo vaghi, a soggetti affetti da gravi disabilità o, infine, a pazienti che non hanno vicino una persona che li assista e che possa intervenire a ricostruirne i tratti distintivi da valorizzare nel rapporto con il medico. L’unica prospettiva realistica rimane, in via generale, quella di optare per una diversa esplicazione del potere di cura che permetta di decidere “al posto” dell’incapace, sia pure con i limiti e le cautele legati alle esigenze di protezione di quest’ultimo. Se, come si è più volte affermato nel corso della trattazione, i tradizionali meccanismi di sostituzione si rivelano del tutto inadeguati rispetto all’incapace che abbia o abbia avuto anche una minima possibilità di esprimere la propria identità, non si può prescindere da un richiamo ponderato agli stessi allorquando ci si trovi di fronte a soggetti non in grado, in via assoluta, di far trapelare un’idea di sé che possa quantomeno orientare le decisioni sanitarie544. Una prima questione è indubbia: accanto al medico, sono necessariamente chiamati a partecipare alle scelte i soggetti ai quali l’ordinamento attribuisce il potere di cura, da esercitarsi, in questo caso, entro le prerogative tipiche della rappresentanza legale. L’intervento sostitutivo del tutore e dell’amministratore di sostegno assume la funzione essenziale di tutelare e promuovere “la salute di un soggetto cui altrimenti sarebbe negato tale diritto

fondamentale”545. Sono molteplici gli indici normativi – anche codicistici546 – che vincolano il potere dei legali rappresentanti al rispetto del “migliore interesse” dell’incapace che, in questo contesto, non può che assumere un profilo segnatamente oggettivo. Il riferimento all’interesse dell’incapace nello specifico ambito dei trattamenti sanitari trova un riconoscimento formale all’interno della Convezione di Oviedo: all’art. 6, il concetto in esame si incardina nell’espressione del “diretto

Decisions for Patients without Surrogates, New England Journal of Medicine,Vol. 369, no. 21, 1976-

1978, 2013; AA.VV, Wishard Volunteer Advocates Program: An Intervention for At-Risk, Incapacitated,

Unbefriended Adults, in Journal of the American Geriatrics Society, 2171-2179, 2014.

544 Così G.FERRANDO, Incapacità e consenso al trattamento medico, cit., p. 147. 545 Cfr. M.PICCINNI, Il consenso al trattamento medico del minore, cit., p. 264.

546 Tra i richiami codicistici all’interesse dell’incapace si possono ricordare la disciplina

sull’amministrazione di sostegno, nella parte in cui fa esplicito riferimento agli interessi della persona del beneficiario (art. 408 riguardo alla scelta dell’amministratore); la legge 6 del 2004 ha cambiato, inoltre, l’art. 44 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, che oggi recita : “il giudice tutelare può convocare in qualunque momento il tutore, il protutore, il curatore e l’amministratore di sostegno allo scopo di chiedere informazioni, chiarimenti e notizie sulla gestione della tutela, della curatela o dell’amministrazione di sostegno, e di dare istruzioni inerenti agli interessi morali e patrimoniali del minore o del beneficiario”.

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beneficio”, in assenza del quale un “intervento non può essere effettuato su una persona che non ha capacità di dare consenso”.

Il nodo principale da sciogliere rimane, in primo luogo, quello di stabilire qual è e come si individua l’interesse dell’incapace che, in quanto formula generale dai margini ampi e non determinabili a priori, può facilmente trasformarsi in una “scatola vuota”547, potenzialmente idonea a giustificare interpretazioni e soluzioni di segno opposto548. In seconda battuta, una volta delineati i contorni del best interest, sarà necessario affinare gli strumenti giuridici per intervenire nel caso di eventuale violazione dei doveri o abuso dei poteri inerenti alla funzione di cura.

È chiaro che l’espressione del migliore interesse dell’incapace non può che sciogliersi nel caso concreto per trovare un contenuto. Nell’operazione di concretizzazione, si prospetta un rapporto a tre dimensioni: da una parte il medico, responsabile delle scelte professionali e della corrispondenza delle terapie al “diretto beneficio” del paziente, nel senso della promozione e della protezione del diritto alla salute549; dall’altra, i soggetti titolari del potere di cura che hanno una funzione sostitutiva, sia pure non in senso assoluto: il limite ultimo, come si è visto, è sempre costituito dal perseguimento del migliore interesse e, a garanzia di un tale assunto, il codice conosce una serie di procedimenti per sollevare i legali rappresentanti dalle loro funzioni in caso di condotte pregiudizievoli per l’incapace550; infine, in funzione di raccordo, si evidenzia il ruolo il giudice che, in via eventuale, può essere chiamato ad intervenire per risolvere i conflitti. Certamente, di fronte a cure di routine e con margini ridotti di invasività – rispetto alle quali emergono in modo nitido i tratti del migliore interesse dell’incapace – il percorso argomentativo da seguire è assai meno gravoso per l’interprete e verosimilmente l’accordo tra titolari del potere di cura e personale sanitario, se anche dovesse mancare, sarà facilmente ripristinato dall’intervento giudiziario. Ma è soprattutto con riferimento

547 Così, ad esempio, M.PICCINNI, Il consenso al trattamento medico del minore, cit., p. 171.

548 Cfr., per quanto riguarda i minori, ma applicabile anche agli incapaci adulti, M. DOGLIOTTI, Cos’è

l’interesse del minore, in Dir. fam. pers., 1992, p. 1093: “ non è raro che pronunce di segno opposto si

riferiscano ugualmente all’interesse del minore, espressione che rischia di diventare vuota tautologia, mero abbellimento esteriore dell’argomento”.

549 In questo senso, anche l’art. 37 del codice di deontologia medica: “di fronte all’opposizione del

rappresentante legale legata ad un trattamento indifferibile e necessario a favore dell’incapace, il sanitario deve avvertire l’autorità giudiziaria e, se vi è pericolo per la vita o la salute dell’incapace stesso, dovrà procedere senza ritardo e secondo necessità alle cure ritenute indispensabili”.

550 All’art. 384 c.c., in tema di tutela per il minorenne, ma applicabile ex art. 424 alla tutela per il soggetto

maggiore di età, si disciplina la rimozione e sospensione del tutore. All’art. 410 si prevede che i soggetti indicati dal codice agli artt. 406 e 417 possano ricorrere al giudice tutelare in caso di “contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l’interesse” da parte dell’amministrazione di sostegno.

125 agli scenari di fine vita che è messa in crisi “l’idea della corrispondenza ipsa re dei

trattamenti sanitari all’interesse del paziente, più o meno plausibile nei lunghi secoli in cui gli sforzi della medicina si presentavano rivolti al ripristino di condizioni naturali”551. In tempi attuali, appare tangibile il rischio di prolungare inutilmente e artificialmente la vita di chi non è – e non è mai stato – in grado di esprimere una volontà o, più correttamente, un’identità552. Sono disponibili, ad oggi, sempre più numerosi presidi intensivi, da nuovi farmaci a supporti biomeccanici, “che consentono

di contrastare il processo del morire”553. Talvolta, tali tecniche hanno successo e riportano il malato alla vita al di fuori dell’ospedale. In tutti gli altri casi, però, la medicina intensiva riesce solo a rallentare il momento della morte e prolungare l’esistenza, senza reali speranze di un miglioramento delle condizioni del paziente. L’eventualità di trasformare l’incapace in mero oggetto di cure, “quasi in un nessuno,

sulla cui terra sono lecite tutte le incursioni”554, deve essere scongiurata il più possibile con una presa di coscienza, ad opera principalmente della categoria medica, dei limiti e degli scopi della medicina. Come ricorda un autore, non è possibile sfuggire “alla sfida

e alla gravissima responsabilità” di costruire “una teoria oggettiva, pubblicamente condivisa, dell’accanimento terapeutico”555.

Invero, che cosa si intenda per accanimento terapeutico è questione assai dibattuta, a partire dalle critiche al termine stesso che, secondo le indicazioni di una parte della classe medica, andrebbe sostituito con un riferimento più limpido alla sproporzione, all’inutilità, all’eccesso di determinate terapie rispetto agli obiettivi perseguiti556. A tale proposito, è utile fare rimando al Codice di deontologia medica che, nella recente

551 Così D. CARUSI, Consenso a cure palliative e ruolo dell’amministratore di sostegno. Quanto c’è

bisogno di una legge sul ‘‘testamento biologico’’?, cit., p. 348.

552 Cfr. sul punto S.BERTOLISSI,G.MICCINESI,F.GIUSTI, Come si muore in Italia. Storia e risultati dello

studio Senti-MELC, in Rivista Società Italiana di Medicina Generale, 2012, p. 17 ss, nel quale si

evidenzia che le morti non improvvise nel nostro Paese riguardano circa il 65% della popolazione ed è chiara l’incidenza dell’intervento medico sui modi e sui tempi del morire.

553 Si veda sul punto N.ZAMPERETTI, Le direttive anticipate tra clinica e bioetica. Il punto di vista del

rianimatore, in Trattato di Biodiritto. Il governo del corpo, cit., p. 2008

554 Così A. SANTOSUOSSO G.C. TURRI, La trincea dell’inammissibilità, dopo tredici anni di stato

vegetativo permanente di Eluana Englaro, cit., p. 483.

555 D.CARUSI, Consenso a cure palliative e ruolo dell’amministratore di sostegno. Quanto c’è bisogno di

una legge sul ‘‘testamento biologico’’?, cit., p. 349.

556 C.A.DE FANTI, L’accanimento terapeutico, in Janus, 2007, p. 103: “la formulazione però è ambigua e

ingenera confusione: è importante fare chiarezza. Per prima cosa è da sottolineare un fatto poco noto: il termine si incontra soltanto nella letteratura dei Paesi neolatini, e lo si cercherebbe invano in quella di lingua inglese. Per evitare equivoci derivanti dall’usanza di etichettare il termine come figura retorica, si può avanzare una modesta proposta: rinunciare al termine di accanimento terapeutico e sostituirlo con quello di «trattamento inappropriato» (per eccesso) rispetto al fine che si persegue in un determinato paziente”.

126 edizione del 2014, evita di ricorrere all’accezione “accanimento diagnostico- terapeutico” e preferisce sancire l’inopportunità per il medico di intraprendere o insistere in “procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati

ed eticamente non proporzionati, dai quali non ci si possa fondatamente attendere un beneficio per la saluto e/o un miglioramento della qualità della vita”557. Anche in giurisprudenza si dà una definizione simile: nella già citata sentenza della Corte di Appello di Milano sul caso Englaro, si parla di “una cura inutile, futile, sproporzionata,

non appropriata rispetto ai prevedibili risultati, che può pertanto essere interrotta perché incompatibile con i principi costituzionali, etici e morali di rispetto, di dignità della persona umana, di solidarietà”558.

Sebbene la nostra letteratura, e quella giuridica in particolare, non abbia ancora sviluppato uno studio sistematico del concetto di accanimento terapeutico, paragonabile all’imponente dibattito che, negli Stati Uniti, accompagna la controversa definizione di

medical futility559, si è comunque diffusa capillarmente una maggiore consapevolezza del problema, correlata alla sempre più sentita necessità di dotarsi di criteri oggettivi per stabilire l’appropriatezza o meno di un determinato trattamento sanitario. In particolare, un ruolo propulsivo negli ultimi anni è stato svolto dalle Società mediche, quali la SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva), attraverso l’approvazione di raccomandazioni e linee guida560 che vanno nel senso di indicare un percorso condiviso tra medici e titolari del potere di cura per evitare inutili sofferenze alla fine della vita.

557 Art. 16 Codice di Deontologia Medica del 2014, reperibile nel sito della Federazione Nazionale degli

Ordini dei Medici e degli Odontoiatri.

558 Corte d’Appello di Milano, 31 dicembre 1999, cit.

559 La letteratura statunitense in tema di medical futility è sterminata. Tra i contributi di maggiore

interesse si segnalano, in ambito medico, R.VEATCH –C.SPICER, Medically Futile Care: The Role of the

Physician in Setting Limits, in American Journal of Law and Medicine (1992) 18(1-2): 15-36; R.D.

TRUOG, Tackling Medical Futility in Texas, in New England Journal of Medicine (2007) 351: 1-3; IDEM,

Is It Always Wrong to Perform Futile CPR?, in New England Journal of Medicine (2010) 362(6): 477-9.

Sul piano filosofico, cfr. D.CALLAHAN, Medical futility, medical necessity: the problem without a name, in Hastings Center Report, 1991;21:30–5; A. HALEVY, Is Futility a Futile Concept?, in Journal of Medicine and Philosophy (1995) 20 (2): 123-144. Nel dibattito giuridico si vedano T.M. POPE, Medical

Futility Statutes: No Safe Harbor to Unilaterally Refuse Life-Sustaining Treatment, in Tennessee Law Review (2007) 71(1): 1-81; R.L. FINE, Medical Futility and the Texas Advance Directives Act of 1999,

BUMC Proceedings (2000) 13: 144-7.

560 Si pensi ai documenti, già citati in precedenza: le Raccomandazioni SIAARTI per l’ammissione e la

dimissione dalla terapia intensiva e per la limitazione dei trattamenti in terapia intensiva, nelle quali si

sviluppa il concetto di limitazione delle cure, e il documento Grandi insufficienze d'organo “end stage”:

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CAPITOLO IV