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Le tecniche di neuroimaging e gli stati di alterazione della coscienza

Gli strumenti della (neuro)scienza: scoperte attuali e scenari futur

2. Le tecniche di neuroimaging e gli stati di alterazione della coscienza

Si è fatto cenno, sia pure senza entrare nell’area di specifica competenza scientifica, alle modalità di funzionamento delle principali tecniche di neuroimaging, attraverso le quali è possibile visualizzare l’attivazione di aree cerebrali coinvolte in determinate operazioni mentali746. A partire dall’utilizzo di tali dispositivi di indagine, gli studiosi stanno mettendo a punto una serie di sempre più raffinate ricerche su pazienti che, a seguito di gravi danni cerebrali dovuti a traumi o patologie neurodegenerative, si trovano in uno stato di alterazione più o meno profonda della coscienza, quale il coma, lo stato vegetativo, la sindrome locked-in e lo stato di minima coscienza747. In questo senso, si apprezza l’importante contributo che le neuroscienze potrebbero apportare rispetto ai temi esaminati nel corso della trattazione. Si pensi, in primo luogo, a quanto l’elemento oggettivo della irreversibilità della condizione di incoscienza abbia influito in modo decisivo sulla risoluzione del caso Englaro, come criterio da affiancare alla ricostruzione dell’identità dell’interessata. Nella stessa prospettiva, molte delle normative previste dai diversi Stati americani in materia di surrogate decision makers prevedono che il rappresentante sia autorizzato ad intervenire per conto del paziente solo quando questi sia “permanently unconscious”748.

Tra gli stati di alterazione della coscienza che si sono prima richiamati esistono delle differenze sostanziali che vale la pena esporre, sia pure brevemente, ai fini di

744 A.BIANCHI S.PEZZUOLO, Neuroscienze e danno alla persona, in Manuale di neuroscienze forensi,

cit., p. 262.

745 Si veda, nella letteratura statunitense, J.M. EGGEN – E.J. LAURY, Toward a Neuroscience Model of

Tort Law: How Functional Neuroimaging Will Transform Tort Doctrine, in Columbia Science & Technology Law Review, 2012, vol. 13, p. 235 ss

746 Si vedano le note 531 e 532.

747 Per una sintetica e puntuale panoramica delle differenze tra questi diversi stati di alterazione della

coscienza cfr. J.FINS –N.D.SCHIFF, Disorder of Consciousness Following Severe Brain Injury, in A.

CHATTERJEE – M.J.FARAH, Neuroethics in Practice, Oxford University Press, 2013, p. 162 ss. Sulla sindrome «locked-in» si veda S.LAUREYS et al., The locked-in syndrome: what is it like to be conscious

but paralyzed and voiceless?, in Prog Brain Res., 2005; 150:495-511.

748 T.M. POPE, Comparing the FHCDA to Surrogate Decision Making Laws in Other States, cit., p. 108,

riporta l’esempio delle discipline vigenti in Alaska, Ohio, Iowa, Montana, Nevada, North Carolina che fanno riferimento espresso alla condizione di irreversibilità del paziente.

176 comprendere meglio l’importanza del possibile contributo neuroscientifico. Lo Stato Vegetativo, come si è in parte accennato in precedenza, è una condizione neurologica descritta per la prima volta nel 1972749 che si caratterizza per la separazione tra i due elementi che costituiscono la coscienza: la vigilanza (wakefulness) e la consapevolezza (awareness). I pazienti in SV, pur conservando intatte alcune funzioni fisiologiche – quali ritmo sonno-veglia, reazioni riflesse o automatiche agli stimoli, respirazione autonoma – non sono in grado di intraprendere alcun comportamento volontario, poiché non hanno contezza di se stessi e del mondo esterno. Secondo un autorevole studio americano sullo stato vegetativo, ad opera della MultiSociety Task Force on PVS750, prima di dichiarare permanente, cioè irreversibile, lo stato vegetativo di origine traumatica di un soggetto adulto è necessario attendere almeno dodici mesi – che diventano tre nei casi di eziologia non traumatica751 – trascorsi i quali la probabilità di una ripresa della coscienza appare insignificante.

Nello stato di minima coscienza, invece, i pazienti non solo sono vigili, ma danno segni di consapevolezza rispetto al mondo esterno, sia pure incoerenti e incostanti, e possono eseguire degli ordini molto semplici, fornire risposte affermative e negative, muovere gli occhi in modo intenzionale ed avere reazioni in riposta a stimoli specifici. Peraltro, rispetto ai pazienti in Stato Vegetativo, presentano maggiori possibilità di recupero anche dopo diversi anni dal presentarsi della patologia e, a tale proposito, si indaga sulla possibilità di ottenere benefici attraverso l’utilizzo delle nuove tecniche di deep brain

stimulation752. Al contrario, la sindrome di locked-in non si caratterizza come vero e proprio disorder of consciousness, dal momento che nel paziente sono preservate vigilanza e consapevolezza, mentre manca del tutto la capacità di dare risposte motorie: in altri termini, per il paziente in locked-in è del tutto impossibile comunicare con l’esterno a causa di un immobilità totale, salvo i casi in cui siano risparmiati i movimenti oculari.

Tra le diverse condizioni sin qui riportate può esistere un continuum, nel senso che è possibile che vi sia un passaggio, ad esempio, dallo stato vegetativo a quello di minima coscienza. È evidente che risulta di estrema importanza, anche per dar corso alla

749 Si fa riferimento al celebre studio di B. JENNETT – F. PLUM, Persistent Vegetative State After Brain

Damages. A Syndrom in Search of a Name, in Lancet, 1972, p. 734.

750 The MultiSociety Task Force on PVS, Medical Aspects of the Persistent Vegetative State, in The New

England Journal of Medicine, 1994, p. 1499.

751 Lo Stato Vegetativo può anche rappresentare lo stadio finale di una malattia neurodegenerativa, quale

il morbo di Alzheimer.

752 Si tratta di una tecnica di stimolazione elettrica cerebrale che viene sperimentata soprattutto per la cura

177 decisione di interrompere i supporti di sostegno vitale, una “diagnosi differenziale certa,

ossia che si distingua chiaramente il tipo di condizione in cui si trova il singolo paziente”753.

Ma il problema principale nella valutazione dei diversi disorders of consciousness è rappresentato proprio dalla consapevolezza, puntualmente riportata dalla letteratura scientifica, che esiste un margine di errore piuttosto ampio, pari quasi al 40 per cento dei casi, nelle diagnosi basate sui tradizionali criteri comportamentali e di osservazione clinica754. Per questo negli ultimi anni si sono diffuse una serie di indagini che, attraverso l’utilizzo della tomografia ad emissione di positroni (PET) e della risonanza magnetica funzionale (fMRI), hanno cercato di fornire prove dell’esistenza di aree intatte di consapevolezza nei pazienti che apparentemente non fornivano risposte comportamentali.

Per avere un’idea più precisa degli scenari che potrebbero aprirsi in un futuro prossimo, è opportuno soffermarsi brevemente su due celebri studi neuroscientifici che, per primi, hanno tentato di dimostrare che esiste la pur flebile possibilità di stabilire una forma di contatto con pazienti generalmente ritenuti del tutto incapaci di comunicare con l’esterno. Il primo studio, condotto da un team di medici e neuroscienziati dell’Università di Cambridge, ha coinvolto una donna con diagnosi di Stato Vegetativo755. Attraverso l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale, gli studiosi hanno rilevato che, sebbene l’osservazione clinica non avesse dimostrato alcuna reazione comportamentale nella paziente, il macchinario ha registrato una modulazione della sua attività cerebrale in risposta a delle precise richieste – immaginare di giocare a tennis e di muoversi nelle stanze della propria casa –. La scelta è dipesa dal fatto che l’immaginare queste due attività induce un cambiamento nel flusso di sangue ossigenato in specifiche regioni cerebrali legate al movimento e alla navigazione nello spazio: ciò che sorprende è che le aree coinvolte nell’esperimento di Cambridge sono risultate le stesse che si attivano in soggetti sani ai quali viene richiesto di pensare ai medesimi

753 M. REICHLIN, Etica e neuroscienze. Stati vegetativi, malattie degenerative, identità personale,

Mondadori Università, Milano, 2012.

754 Cfr. J.FINS N.D.SCHIFF, Shades of Gray: New insights from the vegetative state, in The Hastings

Center Report, 36, 8, 2006.

755 A.M. OWEN et al., Detecting Awareness in the Vegetative State, in Science, 2006, Sep;

313(5792):1402. Peraltro, è opportuno sottolineare come, tra le varie criticità rilevate nello studio di Owen, si contesta il fatto che la paziente potesse realmente dirsi in Stato Vegetativo, poiché, come osservano J.FINS –N.D.SCHIFF, Disorder of Consciousness Following Severe Brain Injury, cit., p. 167,

presenta una condizione incompatibile con la definizione più accreditata di tale disordine di coscienza. Secondo i due studiosi, si tratta di un caso di diagnosi errata e non della dimostrazione che vi sia una qualche forma di consapevolezza del mondo esterno nei pazienti in SV.

178 comportamenti. Il secondo studio, che ha coinvolto un maggior numero di pazienti affetti da disordini di coscienza, ha compiuto un ulteriore passo avanti756. Con il ricorso allo stesso meccanismo di attivazione delle aree cerebrali conseguente alla richiesta di svolgere un “compito mentale”, in questo caso collegato ad una risposta negativa o affermativa, uno dei soggetti sottoposti all’esperimento è riuscito a rispondere in modo corretto a domande riguardanti questioni personali757.

Per quanto suggestivi, i risultati delle ricerche alle quali si è fatto riferimento sono, ad oggi, assolutamente insufficienti a fondare una nuova modalità di diagnosticare gli stati di disordine della coscienza, né sono in grado di garantire certezze rispetto all’attendibilità della comunicazione dei soggetti sottoposti agli studi. Come osservano alcuni studiosi, il metodo utilizzato rappresenta un tipico esempio di “inferenza inversa”: di solito si utilizzano le tecniche di neuroimaging per associare un certo compito cognitivo con determinate attivazioni cerebrali, mentre in questi casi si è tentato di utilizzare l’attivazione delle aree cerebrali come prova dell’esecuzione dell’attività cognitiva, benché si tratti di affermazioni che hanno un valore del tutto probabilistico758. Per il momento, quindi, le tecniche di neuroimaging valgono a confermare l’insufficienza dei criteri comportamentali nella valutazione dei disorders of

consciousness. Se, come osservano alcuni autori759, gli strumenti delle neuroscienze contribuiranno in futuro a chiarire molte situazioni incerte, potrebbero costituire un modo per facilitare il processo decisionale rispetto alla possibilità di interrompere trattamenti di prolungamento delle funzioni vitali in pazienti in stato di incoscienza irreversibile, pur sempre in presenza della volontà espressa in via anticipata o dell’identità ricostruita dell’interessato760.

756 M. MONTI et al., Willful modulation of brain activity in disorders of consciousness, New England

Journal of Medicine, 2010, 362(7): 579–589. Lo studio ha coinvolto 54 pazienti, 23 con diagnosi di Stato

Vegetativo e 31 con diagnosi di stato di minima coscienza.

757 Così si legge nello studio di M. MONTI: “participants were asked a yes-or-no question (e.g., “Do you

have any brothers?”) and instructed to respond during the imaging session by using one type of mental imagery (either motor imagery or spatial imagery) for «yes» and the other for «no».”

758 Così, ad esempio, R.A. POLDRACK, Can Cognirive Processes Be Inferred From Neuroimaging Data,

in Trends in Cognitive Sciences, p. 59.

759 Cfr. C.E. FISHER P.S. APPELBAUM, Diagnosing Consciousness: Neuroimaging, Law, and the

Vegetative State, in Journal of Law, Medicine and Ethics, 2010, p. 374. Per un contributo in italiano S.

ZULLO, Stato Vegetativo: decisioni e ricadute normative alla luce delle nuove metodiche di neuroimaging, in Il diritto alla fine della vita, cit., p. 212

760 Cfr. sul punto L. SKENE et al., Neuroimaging and the withdrawal of life-sustaining treatment from

patients in Vegetative State, in Med Law Rev., 17(2): 245–261, 2009; J.B. EISEMBERG, Schiavo on the

Cutting Edge: Functional Brain Imaging and its Impact on Surrogate End-of-Life Decision-Making, in Neuroethics, 1:75–83, 2008.

179 Il cammino delle neuroscienze è ancora lungo e, al momento, sono molti gli interrogativi sollevati dall’affidabilità delle tecniche di neuroimaging e altrettanto numerosi gli studi che giungono a risultati contrastanti rispetto a pazienti con gravi disordini della coscienza. Ma gli sforzi per andare avanti lungo la strada mostrata dagli esperimenti di cui si è detto costituiscono un apprezzabile tentativo di promuovere il più possibile una forma di autonomia espressiva, anche solo elementare761, per soggetti fino ad ora confinati senza rimedio nella totale impossibilità di comunicare.

3. Le brain computer interfaces e il sostegno alle scelte sanitarie: dal caso Nuvoli