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Questioni aperte

Le direttive anticipate di trattamento

5. Questioni aperte

Al termine del percorso sin qui delineato, sono ben pochi gli interrogativi che sembrano aver trovato una risposta definitiva. Ciò non deve sorprendere se si considera che, in un’indagine che ha per oggetto il diritto alla fine della vita, l’interprete è chiamato ad affrontare, con strumenti concettuali spesso inadeguati, la costante incertezza della condizione umana, resa ancora più complessa dall’incedere della malattia, dalla debolezza, dall’impossibilità di comunicare.

Si è visto come le tradizionali categorie giuridiche sono suscettibili di essere modellate dalla realtà concreta della relazione di cura: da un lato, capacità e consenso rischiano di rimanere pericolose formule vuote se si pretende di dare loro un significato che prescinda dalle condizioni nelle quali si trovano ad operare. Dall’altro, il richiamo acritico alla volontà del soggetto, secondo canoni tipicamente negoziali, risulta fuorviante in un contesto in cui fragilità decisionale e incapacità di esprimersi spesso si alternano o si cedono il passo nel doloroso cammino del paziente verso le fasi finali dell’esistenza.

Gli stessi “strumenti nuovi”, ai quali si è fatto più volte riferimento nel corso della trattazione, non sfuggono a valutazioni critiche che, in parte, derivano dall’esperienza applicativa di altri ordinamenti giuridici. Si pensi, in prima battuta, al ruolo delle direttive anticipate negli Stati Uniti che, ad oggi, è messo in crisi dalla crescente consapevolezza della loro eccessiva genericità e astrattezza, unite ad un ineliminabile dato di fatto: “most individuals do not complete advance directives”717. Sebbene il

714 Art. 19, commi 1 e 3.

715 S.RODOTÀ, Tecnologie e diritti, cit., p. 149. 716 Ibidem

717 Così T.M. POPE, Legal fundamentals of surrogate decision making, cit., p. 1078. Sul punto cfr., poi, A.

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Patient Self Determination Act, già citato in precedenza, preveda a livello federale che

le strutture ospedaliere abbiano l’obbligo di informare ogni paziente sulla possibilità di compilare un living will, numerosi studi empirici dimostrano che il tentativo di implementare il ricorso ai documenti di direttive anticipate non ha portato ai risultati sperati718. Di fatto, le decisioni mediche sui pazienti incapaci sono quasi sempre affidate ai rappresentanti, nominati dagli interessati o, più spesso, scelti con il meccanismo delle liste stabilite a livello statale. Senza dubbio, si deve tener conto delle numerose differenze che separano la cornice europea e quella statunitense rispetto ai temi del biodiritto, ma l’esiguo numero di direttive anticipate disponibili è una realtà anche in molti paesi europei all’interno dei quali l’istituto ha trovato una compiuta disciplina legislativa719. Una possibile soluzione al problema, quantomeno per quanto riguarda i soggetti già affetti da una patologia, può essere rappresentata dal ricorso alla programmazione anticipata delle cure – ipotesi che rientra nella valorizzazione del processo di comunicazione e di decisione che dovrebbe accompagnare ogni scelta medica, attuale o anticipata – come regola generale del rapporto tra medico e paziente. Iniziare a costruire un percorso terapeutico in un momento in cui il paziente è consapevole delle conseguenze e dei possibili scenari da affrontare nel futuro prossimo toglierebbe alle direttive anticipate quell’aura di indeterminatezza che, pur senza dimenticare il valore di strumenti che testimoniano l’identità del soggetto, ne rende spesso difficoltosa l’applicazione concreta. Sempre negli Stati Uniti, si sta diffondendo l’utilizzo di più accurate forme di manifestazione anticipata delle preferenze rispetto alle terapie alle quali il soggetto intende o meno essere sottoposto, quali i POLST (Physician Orders for Life-Sustaining Treatment)720, che vedono una maggiore

(2004): 30-42 e C.P. SABATINO, Advance directives and advance care planning: legal and policy issues, cit.; H.S. PERKINS, Controlling Death: The False Promise of Advance Directives, in Annals of Internal

Medicine 147, no. 1, 2007: 51-57.

718 Cfr. A.FAGERLIN C.E.SCHNEIDER, Enough: The Failure of the Living Will, cit., e la bibliografia ivi

reperibile. La percentuale di individui che compilano una direttiva anticipate di trattamento è più alta tra gli anziani, specie se residenti in “retirement homes”. Sul punto si VEDA M.J.SILVEIRA et al., Advance

directives and outcomes of surrogate decision making before death, in N Engl J Med, 2010;

362(13):1211.

719 Si pensi a due studi che riguardano la Germania e la Francia, due paesi europei che hanno disciplinato

le direttive anticipate di trattamento rispettivamente nel 2009 e nel 2002: cfr. P.SIMON-LORD et al.,

Advance directives in Spain. Perspectives from a medical bioethicist approach, in Bioethics, 2008;

22(6):346-54; N. EVANS et. al. (project PRISMA), A critical review of advance directives in Germany:

attitudes, use and healthcare professionals’ compliance, in Patient Educ Couns., 2012 Jun; 87(3):277-8.

720 Cfr., ex multis, D.E. MEIER L. BERESFORD, POLST Offers Next Stage in Honoring Patient

Preferences, in Journal of Palliative Medicine, Volume 12, Number 4, 2009, 291-295; P.A. BOMBA, M. KEMP, J.S. BLACK, POLST: An improvement over traditional advance directives, in Cleve Clin J Med, 2012 Jul;79(7):457-64; M.K. MITCHELL, POLST complement advance directives to better honor

168 partecipazione del medico al processo di formazione delle scelte: siffatti documenti, infatti, sono compilati dall’interessato sotto la guida del medico di fiducia che informa, ascolta e, alla fine, sottoscrive le direttive.

Un altro elemento emerge, poi, in tema di scelte di fine vita. Sia che esistano delle forme “codificate” di manifestazione anticipata della volontà, sia che il ruolo di garantire i diritti fondamentali dell’incapace in ambito sanitario venga affidato alla magistratura721, l’intervento di un soggetto terzo – chiamato a farsi interprete, testimone o, talvolta, sostituto del paziente che non è più in grado di comunicare – è pressoché ineliminabile e, anzi, è una pratica conforme ai principi costituzionali e sovranazionali prima esaminati. Si è visto che, in più di un’occasione, il rappresentante legale ha assunto il compito primario di restituire all’esterno i tratti principali che davano sostanza all’identità personale dell’incapace, in modo che le decisioni mediche potessero avvalersi anche del “contributo” dell’interessato. Ci si può aspettare in futuro che altri casi posti all’attenzione dei giudici richiedano la stessa opera di interpretazione e valorizzazione dell’identità del paziente, soprattutto se si considera che l’amministratore di sostegno trova sempre più spazio, negli scenari di fine vita, come interlocutore privilegiato del personale sanitario, in un’ottica di protezione che si declina nel senso della massima valorizzazione possibile delle prerogative dell’incapace. Rimane comunque aperto il problema di tradurre la “forza e chiarezza dei

principi” in strumenti e prassi “in cui quei principi si dovrebbero inverare nel quotidiano”722. Non si tratta di una questione che può essere risolta in astratto, attraverso la previsione, una volta per tutte, di norme alle quali conformare le decisioni di fine vita. Come ciascun individuo è unico e irripetibile, così unico e irripetibile è il processo del morire, con sfumature e variazioni che non possono che trovare un volto definito nel singolo caso concreto. In questo contesto, il diritto ha bisogno di “contaminarsi” con altre scienze e altri saperi e deve accettare che le incrollabili rpatients' preferences for end-of-life care, in ONS Connect, 2011 Jan;26(1):19; S.E. HICKMAN et al., The

POLST (Physician Orders for LifeSustaining Treatment) Paradigm to Improve End-of-Life Care, cit.

721 Sul ruolo dei giudici alle prese con la materia biogiuridica, anche rispetto ad ambiti diversi dal fine

vita, cfr. R. CONTI, I giudici e il biodiritto, Aracne Editrice, Roma, 2014. Sul punto anche A. SANTOSUOSSO,Giudici senza le leggi: rimedio o nuova prospettiva?, in Le questioni bioetiche davanti alle Corti: le regole sono poste dai giudici?, a cura di A. SANTOSUOSSO,G.GENNARI, Notizie di Politeia,

n. 65, 2002 (fascicolo monografico), p. 22. Osserva significativamente l’A, in materia di decisioni sulle c.d. questioni bioetiche: “davvero si crede che qualche Parlamento possa legiferare […] con standard migliori e più accettabili di quelli adottati dalla Corti? […] Va riconosciuto che, in certi campi, modalità diverse di produzione di standard giuridici funzionano di fatto meglio e mostrano una notevole capacità di risposta a bisogni di regolazione altrimenti inevasi”.

169 evidenze lascino il posto a regole sì certe, ma da riempire di contenuto a seconda delle circostanze del caso concreto. Se dare corso alla ricostruzione dell’identità del paziente, attraverso la raccolta di dichiarazioni precedentemente espresse o di comportamenti e segni riconoscibili della personalità dell’interessato, costituisce una “buona prassi”723 da rispettare, la regola deve, però, essere inserita in un “processo a più voci”724 che vede il coinvolgimento del personale sanitario e dei soggetti vicini al malato, in modo da individuare tutti gli elementi indispensabili alla decisione finale.

La costruzione di un “diritto alla fine della vita” è un compito faticoso che deve impegnare congiuntamente gli interpreti e i giudici – e forse, in futuro, il legislatore – nella messa a punto di strumenti giuridici elastici e sostenibili nella pratica medica, rispettosi, da un lato, dei principi che dall’esterno governano la relazione terapeutica, dall’altro, dell’esperienza vissuta dai pazienti giunti al termine dell’esistenza, dal medico che se ne prende cura, dai familiari e dalle persone vicine che accompagnano entrambi lungo il percorso.

723 Parla di “buona prassi” alla fine della vita P.ZATTI,Consistenza e fragilità dello ius quo utimur in

materia di relazione di cura, cit., p. 24. Osserva l’A.: “compito del giurista è quello di suggerire gli

accorgimenti e i modi per cui [un determinato] strumento sia valido ed efficace nello specchio del diritto”.

724 L’espressione è utilizzata, nel diverso contesto della necessaria comunicazione tra medico e paziente

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APPENDICE

Gli strumenti della (neuro)scienza: scoperte attuali e