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Origini e fonti del consenso informato

Consenso e rifiuto delle terapie alla fine della vita

2. Origini e fonti del consenso informato

Prima di addentrarsi nella disamina dei profili principali legati alla natura del consenso e ai diritti ad esso sottesi, con riferimento all’ambito del fine vita, si intende dare un breve sguardo alle modalità con le quali il principio è sorto e si è capillarmente diffuso fino a ridisegnare il tradizionale rapporto tra medico e paziente, un tempo basato sul presupposto che il consenso fosse da considerarsi implicito o che “addirittura, il

prendersi cura del paziente da parte del medico non richiedesse alcun previo consenso in quanto necessariamente benefico”301. Sullo sfondo, è necessario tener conto che negli ultimi decenni, sotto la spinta di “molteplici fattori culturali, sociali, strutturali destinati

a incidere sulla configurazione [..] delle situazioni di cura”302, si è profilato un significativo cambiamento di tendenza che ha visto rafforzarsi, da un lato, “l’acquisizione culturale [...] della dimensione dell’autodeterminazione”303 nel soggetto sottoposto alle cure e, dall’altro, la consapevolezza non solo delle grandi potenzialità e degli innegabili risultati positivi della moderna medicina tecnologica – capace di affrontare e di risolvere una gamma sempre più vasta di patologie – ma anche degli esiti problematici ad essa ricollegabili. In sintesi, si può osservare come la scienza medica abbia messo progressivamente a punto una serie di tecniche tali da permettere che “alcuni eventi legati alla salute, alla vita e alla morte rientrassero nella disponibilità di

un individuo cui la cultura ed il diritto si avviavano a riconoscere dimensioni di forte libertà e uguaglianza”304.

Il principio del consenso informato è nato, quantomeno nella sua attuale formulazione305, nel campo della sperimentazione clinica e solo in un momento

non assumere atteggiamenti paternalistici o lato sensu autoritari nei confronti dell’assistito va coniugato con una particolare attenzione per le esigenze del caring”.

301 CosìG.AZZONI,Il consenso informato: genesi, evoluzione, fondamenti, cit., p. 175. Cfr., anche, B.

VIMERCATI, Consenso informato e incapacità, cit., p. 8 e ss., per una ricostruzione dell’evoluzione della relazione tra medico e paziente nella cultura occidentale. L’idea del rapporto di dipendenza del malato nei confronti del medico si sviluppa dalla medicina ippocratica del V sec. a.C. e prosegue nell’età medioevale, epoca in cui i medici sono perlopiù di estrazione clericale e la medicina è vista come opera caritatevole. Il paternalismo medico si attenua lievemente con la nascita delle università e degli ospedali pubblici, a partire dal XI e XII sec. La libertà e l’autonomia del soggetto trovano l’esaltazione nel pensiero illuministico, ma il vero cambiamento nel rapporto tra medico e paziente troverà una compiuta realizzazione solo nel XX sec.

302P.BORSELLINO, Bioetica tra morali e diritto, cit., p. 113.

303 S.RODOTÀ, Tecnologie e diritti, cit., p. 144: “c’è un’acquisizione culturale forte, la conquista, anche

qui, della dimensione dell’autodeterminazione. «My body, my property»; «il corpo è mio e me lo gestisco io», si grida, con un senso del possesso così orgoglioso e ricco, e persino gioioso, da spazzar via interi scaffali di biblioteca pieni delle preoccupate riflessioni dei giuristi”.

304 Cfr. C. CASONATO, Il consenso informato. Profili di diritto comparato, in Dir. pub. comp. ed europeo,

2009, p. 1052.

305 Un’interessante ricostruzione di quella che viene definita la “preistoria” del consenso informato si

67 successivo si è trasferito nell’ordinaria pratica terapeutica306. Peraltro, alcuni autori mettono in luce come un siffatto passaggio abbia lasciato alcuni elementi “inquinanti” nella concezione del consenso rispetto ai trattamenti sanitari, nella direzione di una connotazione più difensiva che collaborativa del paziente rispetto all’operato del medico: nella sperimentazione, infatti, rimane una sorta di implicito antagonismo tra i due protagonisti del rapporto, poiché, a differenza che nell’ordinario rapporto di cura, l’attività non ha come cardine la tutela della salute del singolo paziente, ma è rivolta principalmente alle possibili scoperte future307.

Una prima effettiva ricostruzione del principio del consenso informato all’atto medico viene generalmente fatta risalire ad un celebre caso statunitense del 1957, Salgo v.

Leland Stanford Jr. University Board Trustees308. Nella sentenza Salgo, la Corte di Appello di Californianon solo ha sancito il dovere del medico di fornire al paziente gli elementi utili perché questi possa rilasciare un “informed consent”, ma ha posto la propria attenzione anche sulle modalità di comunicazione e sul quantum di informazioni che devono essere adeguate alle circostanze309.

Mentre negli Stati Uniti l’evoluzione dell’istituto procede con una certa rapidità, in Europa e in Italia – nonostante l’approvazione di alcuni documenti fondamentali in tema di sperimentazione sull’uomo, quali il Codice di Norimberga310 e la Dichiarazione di

ancora abbozzati, all’idea della valorizzazione della volontà del paziente nel rapporto di cura, a partire da Platone e passando da sentenze dei tribunali inglesi seicenteschi a documenti legislativi prussiani di fine ottocento.

306 Riporta G.AZZONI, Il consenso informato: genesi, evoluzione, fondamenti, cit., p. 176 ss. che le “prime

regolazioni del consenso informato nelle sperimentazioni cliniche sono state prodotte in area tedesca. Risale al 29 dicembre 1900 una direttiva di Heinrich Konrad Studt (ministro prussiano per la religione, l’educazione e la medicina) indirizzata ai direttori di ospedali universitari, policlinici e altri ospedali, che condizionava alla manifestazione di un consenso univoco (“unzweideutig”) la liceità di tutti gli interventi medici (ad eccezione di quelli con scopi diagnostici, terapeutici e di immunizzazione); cioè si richiedeva il consenso per le sperimentazioni cliniche intese in senso lato (e quindi ulteriormente rispettoso del paziente)”.

307 Si veda sul punto A. NICOLUSSI, Al limite della vita: rifiuto e rinuncia dei trattamenti sanitari, in

Quad. cost., 2010, p. 276: “c’è da evitare il rischio di declinare il consenso informato nel quotidiano

secondo una logica dello straordinario come quella del Codice di Norimberga”. Cfr., poi, B.VIMERCATI,

Consenso informato e incapacità, cit., p. 33 ss.

308 Prima del caso Salgo, è opportuno ricordare il caso Schloendorff v. Society of New York Hospital del

1914 che contiene la celebre opinione del Giudice Cardozo: “every human being of adult years and sound mind has a right to determine what shall be done with his own body; and a surgeon who performs an operation without his patient’s consent commits an assault, for which is liable in damages”.

309 Salgo v. Leland Stanford, Jr., Univ. Bd. of Trustees, 317 P. 2d 170, 181 (Cal. App. Ct. 1957).

L’Università californiana di Stanford venne condannata per i danni subiti da Martin Salgo che, a seguito di un’arteriografia, aveva riportato la paralisi permanente delle gambe. La Corte d’Appello ha riconosciuto la responsabilità dei medici dal momento che, prima di eseguire l’accertamento, non avevano informato il paziente delle possibili complicazioni, poi effettivamente accadute.

310 Il Codice di Norimberga del 1947 non è formalmente un codice, né un’autonoma normativa giuridica o

deontologica, bensì un decalogo che definisce le condizioni di liceità della sperimentazione, inserito nella motivazione della sentenza con la quale il Tribunale ha condannato 23 medici nazisti per gli orrori

68 Helsinki311 – si assiste ad una iniziale freddezza da parte dell’universo giuridico nei confronti di un concetto sorto nel dibattito statunitense, poi erosa ad opera della giurisprudenza e di progressivi interventi legislativi312.

Benché il principio del consenso sia saldamente ancorato alle disposizioni costituzionali, manca ancora nel nostro ordinamento una disciplina compiuta sul tema, utile a dissipare contrasti e incongruenze applicative313: a parte il contenuto generale della legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale – che si esprime in termini di volontarietà degli accertamenti e dei trattamenti sanitari314 – “frammenti”315 di consenso si trovano soprattutto nelle normative che regolano alcuni settori specifici dell’attività medico chirurgica316. A livello europeo, il principio in esame trova, invece, una più accurata definizione. La Convenzione di Oviedo assume il consenso come regola generale in biomedicina e afferma all’art. 5 che “un intervento

nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato”, sempre revocabile e da valorizzarsi anche pro

perpetrati nei campi di sterminio. Il primo punto, peraltro, prevede che “è assolutamente necessario il consenso volontario del soggetto umano”.

311 Tale dichiarazione, approvata nel 1964 da parte della World Medical Association, è divenuta costante

punto di riferimento nelle legislazioni nazionali. I primi tre principi riguardano specificatamente l’acquisizione del consenso nella sperimentazione.

312 Osserva V. MALLARDI, Le origini del consenso informato, in Acta Otorhinolaryngol Ital n. 25, 2005,

p. 312, come in Italia teorie e concetti giuridici legati al consenso informato, propri del diritto statunitense, hanno cominciato a circolare tra i medici in modo sganciato da una riflessione che adattasse tali concetti al contesto giuridico italiano.

313 Osserva S. ROSSI, Consenso informato, cit., p. 192: “nella normativa italiana di attuazione e di

integrazione della Costituzione emerge chiaramente l’assenza di una disciplina generale sul consenso informato, tale condizione, tuttavia, rappresenta l’occasione per analizzare lo strutturarsi per accumulazione di un sistema di tutela multilivello dei diritti, nella forma di una rete multicentrica e complessa di relazioni caratterizzata da interazioni tra fonti, giurisprudenza e diritto vivente”.

314 All’art. 33 della legge 833 del 1978 si legge che “gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori

sono di norma volontari” e che “gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori (...) devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato”.

315 Sul punto cfr. B. VIMERCATI, Consenso informato e incapacità, cit., p. 48: “la frammentarietà, la

disorganicità e la settorialità delle disposizioni che costituiscono a livello interno le fonti del consenso informato hanno portato in alcuni casi a incertezze e dubbi rispetto all’esercizio e ai limiti dell’esercizio del diritto all’autodeterminazione terapeutica”.

316 In particolare, si è assistito ad un primo riconoscimento esplicito del ruolo del consenso da parte del

legislatore italiano all’interno della legge 458 del 1967 sul trapianto del rene tra persone viventi, le cui disposizioni sono richiamate nella successiva disciplina del trapianto parziale di fegato (l. n. 483 del 1999); della legge n. 592 del 1967 sulla raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano, successivamente abrogata dalla l. n. 107 del 1990, poi sostituita dalla più recente l. n. 219 del 2005 recante la “nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati”. In entrambe le normative è esplicito il riferimento al consenso. Così afferma l’art. 3 della legge del 2005: “per donazione di sangue e di emocomponenti si intende l’offerta gratuita di sangue intero o plasma o piastrine o leucociti previo consenso informato e la verifica dell’idoneità fisica del donatore”. Ancora, si possono menzionare la legge n. 194 del 1978, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza; la legge n. 135 del 1990, Piano degli interventi urgenti in materia di prevenzione e lotta dell’AIDS; il consenso diviene principio generale anche nell’ambito della procreazione medicalmente assistita, ai sensi della legge n. 40 del 2004.

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futuro con riferimento ai “desideri precedentemente espressi [..] da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà” (art. 9)317. Così anche l’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza nel 2001318, sancisce il rispetto del “consenso libero e informato

della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge” all’interno del capo

I, significativamente dedicato, come si vedrà nel prosieguo, al principio della dignità. Non si possono dimenticare, inoltre, le regole ed i principi di soft law319 tratti dal Codice di deontologia medica320 che, nella sua attuale formulazione321, dedica al tema un intero titolo, all’interno del quale si specifica che “il medico non intraprende né prosegue in

procedure diagnostiche e/o interventi terapeutici senza la preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato”322 e si delineano le caratteristiche e le procedure che accompagnano tale pratica.

Infine, merita di essere menzionato il contributo del Comitato Nazionale di Bioetica (inde cit. CNB), organo che ha una funzione specificatamente consultiva e non certo vincolante per il legislatore, ma i cui pareri costituiscono sempre un momento di grande rilievo all’interno del dibattito bioetico. Il CNB si è occupato in più occasioni di

317 Per un primo commento alla Convenzione si veda C.PICIOCCHI, La Convenzione di Oviedo sui diritti

dell’uomo e la biomedicina: verso una bioetica europea?, in Riv. dir. pubbl. comparato ed europeo,

2001, p. 1301; E. PARIOTTI, Prospettive e condizioni di possibilità per un biodiritto europeo a partire

dalla Convenzione di Oviedo sui Diritti dell’Uomo e la Medicina, in Studium iuris, 2002, p. 561.

318 È opportuno ricordare che, ai sensi dell’art. 6 del Trattato di Lisbona del 2009, “l'Unione riconosce i

diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”. Cfr. sul punto S. ANDALORO, Il principio del consenso informato tra Carta di Nizza e ordinamento interno, in

Fam. e dir., 2011, p. 85 ss.

319 Il termine in questione si riferisce, secondo un’accezione molto generale, a tutti quei fenomeni di

autoregolamentazione diversi dai tradizionali strumenti normativi e privi di efficacia vincolante diretta, le cui modalità di approvazione si pongono al di fuori del processo formale di produzione legislativa ad opera di organi investiti della relativa funzione. La soft law, pertanto, ricomprende un’ampia gamma di attività che vanno dagli atti e codici di autoregolamentazione di singole imprese, ai codici di associazioni professionali e di categoria (come, appunto, il codice di deontologia medica), alle raccolte di principi e regole spontaneamente sorte od effettuate da determinati organismi allo scopo di introdurre discipline uniformi in determinati ambiti. Per quanto riguarda i codici deontologici, la Corte di Cassazione è intervenuta due volte a sezioni unite a proposito del Codice di Deontologia Forense (Cass. 20 dicembre 2007, n. 26810; Cass. 30 aprile 2008, n. 10875). La Suprema Corte ha affermato l’efficacia delle regole di autoregolamentazione quali “norme giuridiche, sia pure (normalmente) rilevanti nel solo ordinamento interno dell’ordine professionale che le ha approvate” e “fonti normative integrative di precetto legislativo”, come tali “interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità”.

320 Sulle questioni inerenti, in generale, al proliferare dei codici di autodisciplina e, nello specifico,

relative al codice di deontologia medica, si rimanda all’interessante contributo di E.QUADRI,Il codice deontologico medico ed i rapporti tra etica e diritto, in Resp. civ. prev., 2002, p. 925. L’A. sottolinea

come, in un ambito che risente molto dei continui progressi scientifici, si senta “l’esigenza di incanalare l’esercizio professionale entro argini rappresentati da valori etici, anche come reazione all’eventuale inerzia del legislatore”.

321 Il nuovo Codice di Deontologia Medica del 18 maggio 2014 è reperibile nel sito della Federazione

Nazionale degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri http://www.fnomceo.it.

70 consenso all’atto medico, ma è soprattutto con il documento “Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico” del 24 ottobre del 2008 che affronta nel dettaglio profili critici del consenso, secondo la riflessione che si è sviluppato nel paragrafo precedente: da un lato, il consenso viene riconosciuto come imprescindibile presidio dell’autonomia e della libertà di scelta del paziente; dall’altro lato, il CNB suggerisce di non “peccare di un eccesso di astrazione, ponendo in ombra

le difficoltà, le incertezze, le fragilità di chi vive in prima persona l’esperienza della malattia”, bensì di incrementare pratiche condivise di comunicazione, grazie alle quali

il paziente può addivenire ad una scelta consapevole in ordine al consenso – o al rifiuto – dei trattamenti che gli sono prospettati.

Rispetto al nostro ordinamento, il riferimento al consenso è, quindi, rinvenibile in molteplici fonti, nazionali e sovranazionali, ma è nelle disposizioni della Carta costituzionale che esso trova il fondamento e i limiti della propria disciplina, così come messo bene in evidenza dalle ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali che si analizzeranno nel corso della trattazione323. A tale proposito, è opportuno fare un immediato richiamo alla già citata sentenza della Corte Costituzionale n. 438 del 2008324, nella quale si afferma nitidamente che “il consenso informato trova il suo

fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione”. Si vedranno nel prosieguo le

complesse interazioni tra i diversi diritti coinvolti nella pratica del consenso e del rifiuto delle terapie, con specifico riferimento al fine vita. Per il momento, si intende sottolineare che l’irrompere forte dei principi costituzionali ha condotto ad una modalità del tutto inedita di intendere la persona – posta in una posizione primaria e di assoluta centralità – dalla quale traggono origine le connessioni tra salute, identità e libertà personale che sono alla base dell’istituto del consenso ai trattamenti sanitari. Dall’art. 2, norma cardine del principio personalista, si desume generalmente che la possibilità dell’individuo di determinarsi nelle scelte che coinvolgono la dimensione corporea sia da considerarsi tra i diritti inviolabili dell’uomo: la scelta di sottoporsi o meno ad un intervento sanitario non può essere distinta dalle ripercussioni sulla “dimensione

323 Per una prima ricostruzione cfr. nota n. 52. Si vedano, inoltre, M.BARNI,Medici e pazienti di fronte

alle cure, in Medicina e diritto. Prospettive e responsabilità della professione medica oggi, a cura di M.

BARNI eA. SANTOSUOSSO, Giuffrè, Milano, 1995, p. 53; A. SANTOSUOSSO,Il consenso informato tra giustificazione del medico e diritto del paziente, Cortina Editore, Milano, 1996; AA.VV., Consenso

informato e diritto alla salute, a cura di F. DI PILLA,Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2001; F. AGNINO, Il consenso informato al trattamento medico chirurgico. Profili penalistici e civilistici, Ita

Edizioni, Torino, 2006; M.PICCINNI, Il consenso al trattamento medico del minore, cit., in particolare da

p. 21 ss.

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esistenziale complessiva della persona”325 che si realizza pienamente anche attraverso il coinvolgimento della sfera corporea.

Quanto detto trova conferma negli artt. 13 e 32 Cost. e, in particolare, nelle interpretazioni giurisprudenziali, ormai prevalenti, che vedono, da un lato, il riconoscimento del corpo come ambito di espressione della libertà della persona e, da un altro, l’affermazione della salute quale concetto ampio, comprensivo del benessere psichico, oltre che fisico326. Sul piano delle pronunce costituzionali, va segnalata una fondamentale sentenza del 1990 in tema di accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c. che, pur non riguardando specificatamente l’ambito della relazione medico- paziente, arriva a riconoscere che “il valore costituzionale dell’inviolabilità della

persona [è] costruito, nel precetto di cui all’art. 13, comma 1, Cost., come «libertà», nella quale è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo”327. Il principio di inviolabilità della libertà personale, storicamente affermatosi per sancire la difesa del singolo dall’arbitrio dei pubblici poteri, assume una connotazione più ampia che, nell’ambito degli atti di disposizione del proprio corpo, si esplica in un duplice aspetto: quello passivo e quello attivo. Dal primo punto di vista, tale libertà si configura come il diritto a non subire, contro la propria volontà, atti o interventi sul corpo da parte di terzi e garantisce la possibilità del soggetto di opporvisi, a protezione dell’intangibilità della propria sfera fisica, secondo quanto previsto anche dal comma 2 dell’art. 32 Cost. relativo ai trattamenti sanitari obbligatori328. Dal secondo punto di vista, invece, si valorizza l’autonomia del soggetto nelle scelte personali, comprese quelle che investono la sua sfera corporea, sia pure entro i limiti e gli obblighi imposti dall’ordinamento. Si parla, a tale proposito, di “autodeterminazione del singolo

325 G.FERRANDO, Incapacità e consenso al trattamento medico, in Pol. dir., 1999, p. 148. 326 Sul punto M.C.VENUTI, Gli atti di disposizione del corpo, cit., p. 11 ss.

327 Corte Costituzionale 22 ottobre 1990, n. 471, in Foro it., 1991, I, c. 14, con nota di R.ROMBOLI, I

limiti alla libertà di disporre del proprio corpo nel suo aspetto «attivo» ed in quello «passivo», cit. Nella

sentenza si dichiara l’incostituzionalità dell’art. 696 c.p.c. nella parte in cui limita l’ammissibilità dell’accertamento tecnico preventivo alla verifica dello stato dei luoghi e della qualità o condizione delle cose, escludendo tale mezzo istruttorio per l’ispezione della persona che ne fa esplicita richiesta.

328 Cfr. G.FERRANDO, Consenso informato del paziente e responsabilità del medico, principi, problemi e

linee di tendenza, cit., p. 52: “la tutela della libertà presuppone l’inviolabilità fisica della persona che di

quella libertà costituisce, per così dire, il nucleo essenziale”. L’A. ricorda, in proposito, la sentenza che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 224 comma 2 c.p.p., nella parte in cui prevedeva la possibilità per il GIP di disporre coattivamente il prelievo ematico sia nei confronti dell’indagato che di terzi. Tale disposizione, infatti, non rispettava la riserva assoluta di legge prevista dall’art. 13 Cost., posta a garanzia dell’inviolabilità della sfera fisica della persona. Cfr. Corte Cost. 9 luglio 1996, n. 238, in Fam. e dir., p. 419, con nota di A.FIGONE, Prelievo ematico, tutela della libertà individuale e rapporto di filiazione.