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Neuroscienze e diritto: un rapporto in divenire

Gli strumenti della (neuro)scienza: scoperte attuali e scenari futur

1. Neuroscienze e diritto: un rapporto in divenire

Il progressivo avanzare delle neuroscienze nell’universo giuridico potrebbe verosimilmente rendere ancora più complesso l’intreccio tra diritto e nuove tecnologie al quale si è fatto più volte riferimento nel corso della trattazione. Secondo alcuni studiosi, assai propensi ad accogliere il contributo delle novità neuroscientifiche, “le

moderne neuroscienze cognitive rappresentano l’espressione di una visione complessiva della natura umana che, in quanto tale, è destinata ad investire fin dalle fondamenta l’architettura concettuale del sapere giuridico, costringendolo [..] ad un profondo ripensamento”725. Senza dubbio, sono ancora pochi gli spazi di certezza sugli effettivi risultati e i possibili sviluppi che le nuove modalità di analisi delle attività cerebrali potrebbero raggiungere nel breve periodo, non solo con riguardo al discorso giuridico. Ma, in molti casi, “la promessa di svelare le correlazioni tra attività mentali e

sostrato biologico”726, sia pure ancora in divenire, ha già innescato quella che da alcune parti è stata criticamente definita come “neuromania”727. Non passa inosservato, nella letteratura internazionale, il proliferare di nuove sotto-discipline quali la neuroetica, il neurodiritto, la neuroeconomia, la neurocultura, la neuroteologia, non tutte dotate dello “stesso livello di maturità metodologica e consapevolezza epistemologica”728, ma sicuramente valide a segnalare un interesse sempre crescente e multidisciplinare per il vasto campo di indagine della materia.

Nell’ambito delle scelte di fine vita, le neuroscienze presentano diversi profili di interesse, sia per il medico che per il giurista. Si è già detto che gli studi neuroscientifici

725 Così A.BIANCHI,G.GULOTTA,G.SARTORI (a cura di), Introduzione, Manuale di neuroscienze forensi,

cit., p. XIII. Cfr., poi, in tema di rapporto tra diritto e neuroscienze, A.J. KOLBER, Will There Be a

Neurolaw Revolution?, in Indiana Law Journal, Vol. 89, p. 807, 2014.

726 A.SANTOSUOSSO, Il dilemma del diritto di fronte alle neuroscienze, cit., p. 11.

727 Si veda, ad esempio, P. LEGRENZI C.UMILTÀ, Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo, Il

Mulino, Bologna, 2009; cfr., poi, L.CORSO, Perché le neuroscienze attirano i giuristi e cosa invece i

giuristi potrebbero insegnare ai neuroscienziati. Qualche osservazione preliminare, in Nuove Autonomie,

2012, p. 469 ss, riporta il termine brain overclaim syndrom, utilizzato nella letteratura americana rispetto al diffuso interesse dei “profani” rispetto alle nuove scoperte neuroscientifiche.

728 Così V.A.SIRONI M.DI FRANCESCO (a cura di), Introduzione. Dal neurocentrismo alla neuroetica,

171 contribuiscono ad una migliore comprensione dei meccanismi decisionali dei pazienti e confermano l’esistenza di una ineliminabile fragilità che va colmata attraverso interventi di sostegno più o meno intensi729. Nella prospettiva di questa indagine, si apprezzano altri due punti di contatto tra neuroscienze e scenari di fine vita: in primo luogo, esiste la possibilità che si riesca finalmente a fare chiarezza in ordine agli stati di alterazione della coscienza, quale lo Stato Vegetativo Permanente, la cui determinazione è essenziale ai fini della scelta di interrompere le terapie di sostegno vitale sui pazienti incapaci. Inoltre, lo sviluppo di interfacce cervello-computer (le Brain Computer

Interfaces) potrebbe disvelare nuove modalità di comunicazione con soggetti fino ad

oggi ritenuti non in grado di esprimersi.

Prima di restringere il campo a questioni più specifiche, è opportuno delineare il perimetro entro il quale si sta sviluppando, allo stato attuale, il rapporto tra neuroscienze e diritto. Lo stesso termine neuroscienze, peraltro, indica un gruppo di discipline scientifiche tra loro assai eterogenee, ma che perseguono un obiettivo comune: “comprendere come il cervello renda possibili i fenomeni mentali ed i comportamenti

umani, anche quelli più complessi e tradizionalmente considerati inaccessibili all’indagine scientifica”730. All’interno di questo vasto campo di studi, le aree di maggior interesse per il giurista riguardano principalmente due specificazioni del sapere neuroscientifico: le neuroscienze comportamentali, che esaminano le variazioni del patrimonio genetico che potrebbero giocare un ruolo dirimente nel determinare alcuni aspetti della personalità umana; le neuroscienze cognitive che, invece, stanno ad indicare lo studio dei meccanismi del cervello che definiscono i processi cognitivi, con particolare attenzione ai substrati neurali dei processi mentali alla base dell’agire umano (percezioni, decisioni, memoria, emozione, linguaggio, apprendimento).

L’assunto che tra cervello umano e comportamento vi fosse una stretta connessione era una realtà già nota ben prima che si sviluppassero le odierne tecniche di indagine funzionale dei circuiti cerebrali. Risale al 1848 la descrizione, all’interno del

Boston Medical and Surgical Journal, di uno degli episodi più citati dall’odierna

dottrina neuroscientifica: si tratta del noto caso di Phineas Gage, un capo cantiere statunitense che, a seguito di un grave incidente sul lavoro che gli aveva distrutto parte della corteccia cerebrale prefrontale, aveva radicalmente modificato la propria personalità e sviluppato comportamenti antisociali spiegabili in relazione alle lesioni

729 Si veda Cap. I, par. 3 e 4.

172 riportate731. Ma è solo con il perfezionamento di tecniche di neuroimaging quali la risonanza magnetica funzionale (fMRI)732 e la tomografia ad emissione di positroni (PET)733 che, ad oggi, è possibile indagare a fondo le basi fisiche che regolano le diverse funzioni cognitive e che permettono il manifestarsi di comportamenti e le reazioni agli stimoli. L’eccezionale novità introdotta dalle tecnologie di imaging funzionale riguarda principalmente la possibilità di analizzare il cervello non solo nelle sue caratteristiche morfologiche – come avviene, ad esempio, per mezzo di una normale risonanza magnetica – bensì di creare una sorta di finestra attraverso la quale osservare in via diretta il “cervello al lavoro”, con specifico riguardo al funzionamento dei circuiti neuronali coinvolti nelle diverse attività.

È proprio sul “terreno della comprensione dei comportamenti umani”734 che le neuroscienze incontrano, da un lato, antiche questioni da sempre protagoniste della riflessione filosofica, quali l’origine della coscienza umana, le basi del senso morale, la portata del libero arbitrio735. Dall’altro lato, l’ambito giuridico – e, in particolare, quello penalistico – è sicuramente tra i più interessati dal contributo che le nuove ricerche basate sui metodi neuroscientifici potrebbero apportare all’analisi dei comportamenti giuridicamente rilevanti.

Per quanto riguarda l’utilizzo concreto dei risultati ottenuti attraverso il ricorso alle tecniche neuroscientifiche, è opportuno ricordare in via preliminare che, nel primo parere in tema di “Neuroscienze ed esperimenti sull’uomo”, il Comitato Nazionale di

731 A. D’AMASIO, L’errore di Cartesio, Adelphi Edizioni, Milano, 1994. Il titolo del volume, assai

suggestivo, si riferisce al tentativo dell’autore di confutare a livello empirico-sperimentale l’idea cartesiana, che ancora influenza molte delle scienze umane, della separazione tra res cogitans e res

extensa.

732 La risonanza magnetica funzionale (fMRI) consiste nell’individuare le aree di attivazione cerebrale,

una volta che si è dato al soggetto un determinato compito o stimolo, attraverso la misurazione del Blood

Oxygenation Level Dependant, vale a dire la variazione locale di flusso sanguigno nella zona coinvolta

dal processo attivato. Si tratta di un metodo poco invasivo che risulta essere tra i più impiegati nello studio delle risposte funzionali dell’encefalo rispetto alle attività compiute a livello cerebrale.

733 La tomografia ad emissione di positroni (PET) sfrutta appositi marcatori costituiti da isotopi in grado

di legarsi alle molecole coinvolte nei processi cerebrali attivati, sempre con riferimento ad uno stimolo o ad un compito fornito al soggetto esaminato. Dal momento che sono instabili, questi elementi decadono ed emettono particelle che, collidendo con quelle dell’organismo, generano radiazioni che vengono individuate dalle apparecchiature di rilevazione. Rispetto alla fMRI, si tratta di una tecnica più invasiva e più costosa, dal momento che richiede l’utilizzo di sostanze radioattive.

734 P. PIETRINI V. BAMBINI, Homo Ferox: il contributo delle neuroscienze alla comprensione dei

comportamenti aggressivi e criminali, in Manuale di neuroscienze forensi, cit., p. 41.

735 Cfr. sul punto gli interrogativi posti da M.GAZZANIGA, La mente etica, Edizioni Codice, Torino, 2006,

p. 127: “il cervello, un’entità fisica soggetta alle regole del mondo fisico, determina la mente. Ma il mondo fisico è determinato e dunque lo sarà anche il nostro cervello. Se quest’ultimo è determinato, ed è l’organo necessario e sufficiente per la mente, allora vanno ancora sciolti questi interrogativi: anche i pensieri che scaturiscono dalla mente sono determinati? E il libero arbitrio, che a noi sembra di vivere in prima persona, è una pia illusione? E, nel caso in cui lo sia, dovremo forse rivedere il concetto di responsabilità personale delle nostre azioni?”.

173 Bioetica ha invitato gli studiosi delle varie discipline a tenere un generale atteggiamento di prudenza e a non indulgere in prematuri sensazionalismi. In particolare, il CNB evidenzia le numerose “perplessità a livello scientifico” – ancora non adeguatamente dissipate – rispetto alle condizioni nelle quali le ricerche sperimentali sono condotte736. Per quanto gli esperimenti stiano dando, e daranno in futuro, un contributo significativo per ottenere una migliore conoscenza del funzionamento dell’encefalo, non si devono dimenticare alcuni dati di fatto al momento ineliminabili nella pratica. In primo luogo, la scelta dei soggetti che vengono coinvolti negli studi neuroscientifici è predeterminata da criteri che già di per sé possono condizionare lo stesso esito dell’esperimento e non sono affatto rappresentativi dell’intera popolazione: l’esiguo campione a cui i neuroscienziati fanno spesso riferimento è oltremodo indicativo dell’impossibilità di universalizzare i risultati delle ricerche. Si pensi, come si vedrà meglio nel prosieguo, allo studio riguardante la possibilità di comunicare con soggetti con gravi disordini della coscienza e che ha coinvolto, nella sua prima applicazione, solo due pazienti in Stato Vegetativo737. Un altro elemento da tenere in considerazione riguarda la consapevolezza, da parte degli stessi neuroscienziati, che i soggetti inseriti in uno studio agiscono spesso in modo non spontaneo, non immune da possibili stati ansiosi determinati dal contesto sperimentale e in situazioni lontane della realtà, rispetto alle quali vengono istruiti a collaborare con modalità che comportano lo svolgimento di un elevato numero di prove, con il rischio di trasformare la reazione volontaria in un mero automatismo che finirebbe per snaturare l’attendibilità della risposta.

In definitiva, non sembra possibile, allo stato delle conoscenze attuali, generalizzare con troppa sicurezza le conclusioni delle ricerche, dal momento che ciascun individuo è soggetto ad una forte variabilità, dovuta alla diversa struttura cerebrale o agli influssi dell’ambiente. Del resto, come osservato da alcuni neuroscienziati stessi, anche se spesso queste nuove tecniche vengono accusate di riduzionismo biologico, in realtà esse “non negano affatto l’importanza dei fattori culturali, educativi e ambientali che sono

all’opera nel modellare e rendere unica la storia individuale di ciascuno”738.

Quanto si è detto fino a ora non vale certamente a svalutare l’importanza dei singoli esperimenti che, anzi, permettono di muovere, a passi svelti, lungo la strada che porta a

736 Cfr. sul punto Parere CNB, 17 dicembre 2010, “Neuroscienze ed esperimenti sull’uomo”, cit.; D.

PERANI – M.TETTAMANTI, Etica delle neuroimmagini, in Neuroetica. La nuova sfida delle neuroscienze, cit., p. 87 ss.

737 Cfr. A.M. OWEN et al., Detecting Awareness in the Vegetative State, in Science, 2006 Sep;313(5792). 738 Così A.BIANCHI,G.GULOTTA,G.SARTORI (a cura di), Introduzione, cit., p. XIII.

174 sempre maggiori conoscenze, spesso foriere di nuove applicazioni pratiche. Ciò che si vuole sottolineare, piuttosto, è che si tratta di un percorso ancora in divenire e che non può invilupparsi in affrettate, quanto controproducenti, generalizzazioni: come sottolineato ancora una volta dal CNB, “l’attuale fase della ricerca è ancora a livello

descrittivo: i risultati sono ancora incerti, e solo in tempi ulteriori potranno essere validati da una più adeguata maturazione scientifica”, ma, allo stesso tempo,

“l’esercizio costante dello spirito critico deve essere [..] accompagnato da un

atteggiamento di apertura”.

A fronte delle varie perplessità sin qui sottolineate, esiste un solo ambito nel quale, per il momento, le neuroscienze hanno trovato un’applicazione concreta nel nostro ordinamento, sia pure limitata: dal 2009 ad oggi, le evidenze neuroscientifiche e di genetica comportamentale sono state impiegate in quattro “sentenze-pilota a livello

europeo”739 all’interno del processo penale740, in relazione al giudizio di imputabilità e ai fini della validazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa. In questo senso, l’Italia arriva con un certo anticipo rispetto agli altri paesi in Europa, mentre negli Stati Uniti, in ragione anche della diversa struttura del processo741, il ricorso alle neuroscienze nelle aule di tribunale ha raggiunto la stessa Corte Suprema Federale742. Non si deve dimenticare, però, che nei casi appena indicati la prova neuroscientifica, anche laddove sia stata accolta positivamente dal giudice, non è mai bastata da sola a sostenere l’evidenza della non imputabilità o a fondare il giudizio di attendibilità di un testimone, bensì ha contribuito a chiarire e dare maggiori certezze ai mezzi di prova ordinari743.

Possibili risvolti applicativi potrebbero, infine, trovare spazio anche in alcuni settori del diritto privato, in particolare per quanto riguarda l’accertamento e la quantificazione del

739 Così A. CORDA, Neuroscienze forensi e giustizia penale, tra diritto e prova. (Disorientamenti

giurisprudenziali e questioni aperte), in Archivio pen., 2014, p. 1

740 Corte App. Trieste, 18 settembre 2009, in Riv. pen., 2010, p. 70, con nota di A. FORZA, Le

neuroscienze entrano nel processo penale; Trib. Como, G.i.p., 20 maggio 2011, in Riv. it. med. leg.,

2012, p. 246 e ss., con nota di G.MESSINA, I nuovi orizzonti della prova (neuro)scientifica nel giudizio

sull’imputabilità; Trib. Venezia, G.i.p., 24 gennaio 2013, in Riv. it. med. leg., 2013, p. 1905 e ss., con

nota di L.ALGERI, Accertamenti neuroscientifici, infermità mentale e credibilità delle dichiarazioni.

741 Cfr. A.SANTOSUOSSO B.BOTTALICO, Neuroscienze e diritto: una prima mappa, in Le neuroscienze e

il diritto, cit., p. 33 ss.

742 Cfr. sul punto O. DI GIOVINE, Chi ha paura delle neuroscienze, in Archivio pen., 2011, p. 1; M.S.

PARDO, Neuroscience evidence, legal culture, and criminal procedure, in American Journal of Criminal

Law, vol.33, 2006; V. MARZOCCO, Lost in translation. Cosa prendere (e cosa lasciare) del dibattito

americano su diritto e neuroscienze, in Riv. biodiritto, 2014, p. 239.

743 Cfr. sul punto F.G. PIZZETTI, Neuroscienze forensi e diritti fondamentali: spunti costituzionali,

175 danno alla persona nel campo della responsabilità civile744. In questo campo, le neuroscienze si candidano, sia pure con le cautele a cui si è fatto riferimento in precedenza, a fornire maggiori certezze rispetto agli stati di stress emotivo e alle origini del dolore cronico che potrebbero portare ad una riformulazione delle tecniche di valutazione delle sofferenze subite dal soggetto danneggiato745.