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La neurodegenerazione nelle due malattie genetiche associate ad un’alterata omeostasi del rame.

L’importanza di una corretta omeostasi del rame per il cervello è ben evidenziata dai sintomi della malattia di Menkes e quella di Wilson, le due malattie ereditarie sono dovute a mutazioni a carico dell’ATP7A e dell’ATP7B, rispettivamente, le quali perdono la loro funzionalità di fondamentale importanza per il mantenimento del metabolismo del rame, provocandone così un severo squilibrio a livello sistemico (figura 9).

La malattia di Menkes (MD) è una patologia recessiva associata a mutazioni nella sequenza del gene codificante l’ATP7A (che per questo è chiamata anche proteina di Menkes o MNK) localizzato sul cromosoma X (Xq 13.3), che pertanto colpisce solo individui maschi (Vulpe et al., 1993). Sono state identificate circa 200 mutazioni diverse associate sia alla forma classica della malattia che a forme più lievi. L’MD ha un’incidenza che và da un 1: 100000 a 1: 250000 individui nati vivi, ed è letale nell’infanzia. La perdita dell’attività dell’MNK provoca una severa carenza di rame sistemica, poiché il rame non viene più esportato dagli enterociti in seguito alla sua assunzione mediante l’alimentazione. Tra le caratteristiche fenotipiche degli individui affetti dalla malattia di Menkes troviamo alterazioni a livello della capigliatura, il capello, infatti, mostra un caratteristico avvitamento attorno al proprio asse (pili torti) e variabilità di diametro (monilethrix). Queste caratteristiche sono presenti anche a livello del bulbo pilifero. Inoltre, i pazienti affetti da questa patologia mostrano ipopigmentazione, diminuite dimensioni del corpo e degli organi e, in modo variabile, difetti del tessuto connettivo e vascolari, ipotermia e soprattutto una progressiva degenerazione del CNS con conseguente ritardo mentale (Menkes et al., 1962); peculiarità fenotipiche facilmente associabili alla ridotta attività degli enzimi per i quali è di fondamentale importanza un adeguato rifornimento di rame.

La ridotta biodisponibilità del metallo colpisce prevalentemente il cervello perché l’MNK non funziona più neppure nella barriera emato- encefalica e, di conseguenza, i bambini affetti presentano un accentuato ritardo mentale, associato, come è possibile evidenziare dalle analisi

istologiche post-mortem, ad un alterato sviluppo cerebrale (Menkes et al., 1962).

Altre conseguenze riscontrate in seguito al malfunzionamento dell’MNK sono la diffusa atrofia, la degenerazione focale della sostanza grigia ed una prominente perdita dei neuroni nel cervelletto. Le cellule del Purkinje presentano una arborizzazione anomala e un marcato rigonfiamento degli assoni. Queste caratteristiche, presenti già al momento della nascita, chiariscono quale sia il ruolo e l’importanza del rame nello sviluppo e nella crescita del tessuto nervoso centrale.

Nel cervello dei topi mottled-brindled (Mo br/Y), considerati il miglior

modello animale per lo studio di questa malattia (Mercer, 1998), ricerche svolte dal nostro gruppo hanno evidenziato che la carenza di rame provoca una marcata riduzione della cytox e della SOD1 (Rossi et al., 2001). L’importanza della cytox nella neurodegenerazione associata all’MD è stata

messa in evidenza da studi condotti su topi Mo br/Y cui è stato somministrato

rame per via endovenosa a tempi diversi; infatti, se il rame viene fornito in modo tardivo e la cytox non è in grado di recuperare la propria funzionalità, non è possibile riscontrare alcun miglioramento in seguito al trattamento (Fuji et al., 1990).

Inoltre, in accordo a quanto precedentemente descritto sul ruolo del rame nella mielinazione, i primi studi sulla malattia di Menkes avevano già individuato una anomala composizione in acidi grassi del cervello (Aguilar

et al., 1966); per di più recenti ricerche hanno dimostrato, mediante saggi di

espressione genica e validazione con RT-PCR quantitativa, che nella corteccia cerebrale e soprattutto nel cervelletto di pazienti affetti da MD, è riscontrabile una marcata riduzione nell’espressione dei geni necessari ad una corretta mielinazione (tra cui la proteina proteolipidica 1 e la proteina di legame fasfatidiletanolammina) (Liu et al., 2005).

La recente ipotesi che la MNK possa giocare un ruolo nel rilascio del rame implicato nella modulazione della trasmissione glutammatergica, può spiegare in modo più concreto la diffusa neurodegenerazione che si riscontra nella malattia di Menkes. A supporto di questa teoria, infatti, è stato

dimostrato che nei neuroni di ippocampo dei topi Mo br/Y, dove non funziona

la MNK, è stata accertata una maggiore suscettibilità alla eccitotossicità mediata dal glutammato (Schlief et al., 2006).

Rame del circolo sanguigno ATP7A Ctr1 ATP7A Nucleo TGN Mitocondrio

Rame assunto con l’alimentazione

Sangue ATP7B Cp Cp Ctr1 ATP7B Nucleo TGN Mitocondrio Bi le Enterocita Epatocita •Ipomielinazione

•Aumento dell’eccitotossicità del glutammato •Riduzione delle difese antiossidanti •Ridotta produzione di energia

•Aumento delle specie ossidanti (ROS) •Danni ossidativi

•Ridotta attività dopaminergica

•Disfunzioni nel metabolismo delle catecolamine

Rame

Malattia di Menkes Malattia di Wilson

Figura 9. Alterazioni dell’omeostasi del rame e conseguenze per il cervello nelle malattie genetiche ad esse associate, la malattia di Menkes e quella di Wilson.

L’altra patologia genetica associata all’alterata omeostasi del rame è la malattia di Wilson (WD), chiamata anche degenerazione epatolenticolare, è un disordine autosomico recessivo dell’età adulta provocata da mutazioni a carico del gene per l’ATP7B (che è quindi chiamata anche proteina di Wilson o WND) (Chelly e Monaco, 1993) mappato sul cromosoma 13q14.3. Questa malattia è caratterizzata da un accumulo di rame, primariamente a livello epatico e successivamente nel cervello.

La diagnosi si basa principalmente sulla disfunzione epatica, a causa della peculiare espressione della proteina mutata, e alla diminuzione della Cp sierica. Tuttavia, i pazienti Wilson mostrano un ampio spettro di manifestazioni patologiche, non solo a livello epatico, ma anche a livello neurologico. Nelle prime fasi di insorgenza della malattia il rame si accumula negli epatociti, fino a 30-50 volte più del normale, inducendo un’elevata sintesi delle metallotioneine; l’aumento del rame intracellulare provoca notevoli danni metabolici e strutturali ai mitocondri e la

vescicolazione del reticolo endoplasmatico liscio. I danni mitocondriali provocano un aumento dell’ossidazione degli acidi grassi causando la steatosi del fegato.

Le conseguenze dell’accumulo di rame nella WD sono spiegabili attraverso lo stress ossidativo indotto dal metallo che, inducendo la necrosi degli epatociti, viene rilasciato maggiormente nel circolo sanguigno dove produce emolisi. Conseguentemente a ciò il rame viene accumulato in tutti gli altri distretti corporei come nei reni e nella cornea; in quest’ultimo l’accumulo di rame produce degli anelli pigmentati (gli anelli di Kayser- Fleisher) che sono il segno distintivo della patologia a stadio avanzato. Nel cervello la deposizione del rame avviene nei gangli basali, come è evidenziabile mediante immagini di risonanza magnetica (MRI), che risulta nella perdita neuronale e nella gliosi (Sudmeyer et al., 2006).

Utilizzando la tomografia ad emissione di singoli fotoni (SPECT) ad alta risoluzione specifica per il cervello, sono state individuate disfunzioni pre- e post-sinaptiche associate ai neuroni dopaminergici nei pazienti affetti da WD, in modo simile a quanto accade nei pazienti affetti dal morbo di Parkinson, suggerendo una classificazione dei disturbi neurologici associati all’accumulo di rame nel cervello quale sindrome Parkinsoniana secondaria (Barthel et al., 2003). Tali disfunzioni possono esser spiegate dall’inibizione diretta del traffico vescicolare dell’ATP7B, così come è stato descritto nelle cellule cromaffini trattate con rame (Wimalasena et al., 2007). Tale inibizione comunque non sembra correlata alla formazione di ROS mediata dal rame. L’alterato metabolismo delle catecolamine è identificabile sia nella malattia di Wilson sia nelle sindromi Parkinsoniane; infatti, tutte sono caratterizzate da una neurodegenerazione progressiva che provoca tremori, disartria, disprassia e atassia. Nel Wilson sono inoltre identificabili modificazioni comportamentali, cambi di personalità, depressione e schizofrenia quali possibili conseguenze di disfunzioni nella trasmissione serotonergica (Hesse et al., 2003). Nel cervello dei pazienti affetti da WD, inoltre, si possono riscontrare ulteriori modificazioni metaboliche come ad esempio in quelle vie che richiedono il consumo di glucosio; questo, infatti, risulta ridotto nello striato e nel cervelletto, soprattutto dove i sintomi a carico dei neuroni motori extrapiramidali sono più marcati (Hermann et al., 2002).

Anche il nostro gruppo ha studiato i meccanismi che sottendono alla neurodegenerazione indotta da eccesso di rame, in cellule di neuroblastoma umano SH-SY5Y (Arciello et al., 2005) ed abbiamo dimostrato che il metallo tende ad accumularsi marcatamente nei mitocondri producendo

stress ossidativo, probabilmente il principale responsabile dei processi neurodegenerativi. Sia l’alterazione del metabolismo delle catecolamine sia la tossicità indotta dal rame sono esacerbate dalla presenza di riducenti, come ad esempio l’ascorbato, che è presente in abbondanza nel cervello (Brewer et al., 1996); questi, infatti, sono in grado di alimentare il ciclo ossidoriduttivo del rame aumentando così la formazione dei ROS.

A differenza della malattia di Menkes, per la quale la somministrazione endovenosa di complessi rame-istidina dei bambini affetti non risulta in alcun modo efficace, nella malattia di Wilson il trattamento a vita con chelanti specifici del rame (ad esempio D-pennicillamina, trietilentetrammina tetraidrocloruro e tetratiomolibdato) in dosi giornaliere di 1g, risulta estremamente efficace per ridurre i livelli del metallo nel liquido cerebrospinale e la sintomatologia neurologica (Brewer et al., 1996; Payne et

al., 1998). Alternativamente all’uso di queste sostanze, può risultare utile

una terapia basata sulla somministrazione di zinco; infatti, questo metallo, che è di per sè meno reattivo e pericoloso del rame, contrasta l’assunzione di questo ultimo a livello intestinale, competendo con esso per il legame ai suoi trasportatori e stimolando la produzione di metallotioneine utili alla detossificazione (Ferenci, 1998).