• Non ci sono risultati.

Una delle patologie neurologiche dell’età adulta più diffusa, in cui il rame sembra avere un coinvolgimento indiscutibile ma allo stesso tempo estremamente complesso, è la malattia di Alzheimer (AD). Questa patologia neurodegenerativa, cui è associata una forma molto grave di demenza, si presenta in forma sporadica generalmente in età avanzata, o nella forma familiare che si manifesta generalmente più precocemente ed ha un decorso molto più rapido. L’incidenza della malattia è in costante e drammatica crescita dal momento che l’età media della popolazione nei paesi industrializzati è in costante aumento, pertanto è ipotizzabile che questa patologia rappresenterà nel futuro un grosso problema sociale. Al momento, nonostante la mole di ricerche svolte in tutto il mondo volte ad identificare le cause di questa malattia neurodegenerativa, i reali meccanismi responsabili della sua insorgenza e della sua progressione sono solo ipotizzabili. Per di più, non sono ancora noti marcatori molecolari adeguati che ne permetterebbero una diagnosi certa quando il paziente è ancora in vita; ad

oggi, infatti, una definizione sicura dell’AD è possibile solo mediante analisi bioptica eseguita sul cervello dopo il decesso.

Il cervello post-mortem di un soggetto affetto da AD presenta l’unica caratteristica certa a tutt’oggi nota in grado di identificare la patologia, la presenza di aggregati extracellulari organizzati in placche del peptide di 39- 42 aminoacidi chiamato β-amiloide (Aβ). Le placche amiloidee sono ritenute le principali responsabili delle disfunzioni neuronali poiché impediscono le comunicazioni intercellulari e inducono la neurodegenerazione. Oltre ad esse, i neuroni AD sono caratterizzati dalla presenza di grovigli neurofibrillari costituiti dalla proteina Tau (una componente del citoscheletro) iperfosforilata e aggregata (figura 10) (Mattson, 2004).

La sequenza del peptide Aβ è racchiusa in quella della proteina APP, la formazione del peptide avviene mediante quella che viene definita “via amiloidogenica”, che procede attraverso il taglio proteolitico sequenziale della proteina APP ad opera della secretasi γ- e β-, le quali agiscono rispettivamente all’N- e al C-terminale della sequenza del peptide, senza il coinvolgimento dell’ α-secretasi che invece opera fisiologicamente sulla sequenza aminoacidica di APP. Nei casi di AD che presentano una storia familiare sono state identificate mutazioni a carico di APP o della proteina presenilina 1 (che è una componente della γ-secretasi), le quali sembrano predisporre l’APP ad un taglio proteolitico aberrante che faciliterebbe la genesi del peptide Aβ. I numerosi studi epidemiologici che sono stati condotti sull’AD, tengono conto di innumerevoli fattori tra cui quelli ambientali, quelli comportamentali, l’alimentazione (in particolare se è ad alto tasso di colesterolo e povera in folati), l’educazione e lo stile di vita, il sesso dell’individuo affetto o la riduzione della produzione degli steroidi sessuali. I dati ottenuti suggeriscono che tutti questi elementi possono contribuire all’insorgenza e/o alla progressione della patologia, e disegnano così un quadro di fattori di rischio assolutamente vasto ed articolato che dipinge l’AD come una patologia multifattoriale.

Figura 10. Le caratteristiche formazioni cui sono attribuibili gran parte dei danni riscontrabili nel cervello dei pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer: le placche amiloidee ,generate dal peptide β-amiloide (Aβ), ed i grovigli neurofibrillari, causati dall’iperfosforilazione della proteina tau.

Dall’analisi della letteratura scientifica corrente si evince una correlazione tra rame ed AD abbastanza convincente e allo stesso tempo intrigante: da un lato, come abbiamo già descritto precedentemente, l’APP sembra coinvolta nei processi fisiologici deputati all’espulsione del rame dal cervello, dall’altro anche la sequenza aminoacidica di Aβ presenta un dominio di legame per il rame, ed è proprio l’interazione con il rame a favorire la fibrillazione e la deposizione in placche del peptide (Atwood et

al., 1998; Syme et al., 2004) ed a stimolare lo stress ossidativo cui i neuroni

sono sottoposti (Opazo et al., 2002; Smith et al., 2006). Tuttavia, al momento, il meccanismo effettivo alla base del coinvolgimento del rame in questa patologia non è stato ancora scoperto. In letteratura si trovano lavori che attribuiscono ora all’eccesso, ora alla carenza di rame, un ruolo preponderante nell’insorgenza o nella progressione dell’AD. In effetti non è assolutamente semplice dipanare questa matassa di conoscenze; sembra che il corretto legame del rame ad APP ne consente un’appropriata proteolisi

evitando che si formi Aβ, tuttavia una volta che Aβ si è formato, il suo legame con il rame può drasticamente potenziarne l’azione tossica (figura

11).

Il ruolo di prevenzione giocato dal rame nella formazione di Aβ è stato chiarito alimentando topi transgenici esprimenti una forma mutata di APP (APP23), maggiormente predisposta ad una proteolisi aberrante di tipo amiloidogenico, con una dieta supplementata di rame; i risultati ottenuti mostrano una chiara riduzione della formazione e della deposizione del peptide Aβ (Bayer et al., 2003). Inoltre, in topi transgenici esprimenti APP23, l’overespressione di una forma mutata e malfunzionante dell’ATP7B, che provoca un aumento dei livelli di rame, produce una riduzione della formazione di Aβ ed una sua minor deposizione nelle placche (Phinney et al., 2003). A conferma ulteriore di questi risultati, è stata recentemente pubblicata una ricerca in cui il trattamento di linee cellulari CHO overesprimenti APP con dei complessi contenenti rame, ha prodotto una significativa riduzione della formazione di Aβ in modo dose dipendente (Donnelly et al., 2008).

Il peptide Aβ lega Cu2+ con un’elevata affinità (Ka = 8 x 10-18 M) in vitro (Atwood et al., 1998) e successivamente dimerizza mediante la formazione di un ponte di istidina. I danni ossidativi causati ai neuroni da Aβ potrebbero

essere mediati dall’H2O2 che viene generata dal ciclo ossidoriduttivo del

rame ad esso legato, fenomeno che risulta potenziato dai vari riducenti del

Cu2+, come il colesterolo, l’ascorbato e le catecolamine presenti

fisiologicamente nel cervello (Opazo et al., 2002; Huang et al., 1999). Per di più i segnali dello stress ossidativo e un aumento dei livelli di queste sostanze sembrano avere una progressione parallela (Sayre et al., 1997; Smith et al., 2000). Negli ultimi anni è stato proposto un ulteriore meccanismo tossico dell’Aβ, sembra infatti che esso sia in grado di associarsi ai mitocondri delle cellule nervose (Crouch et al., 2005) e ciò suggerisce che la catena di trasporto degli elettroni e la produzione di energia siano un bersaglio importante della sua azione tossica; a riguardo, è stato infatti dimostrato che la cytox sia malfunzionante sia nel cervello che nelle piastrine di pazienti AD (Mutysia et al., 1994; Parker et al., 1990).

Legame del Cu II Riduzione a Cu I Dimerizzazione Taglio dell’ α-Secretasi α-Secretasi APP Cu II Cu II Cu I Cu I Cu I Cu I Cu II γ-Secretasi β-Secretasi Placche Taglio della γ –Secretasi Taglio della β-Secretasi aggregazione e deposizione di Aβ Cu II APP ROS Cu II Cu II Cu II Cu II A B

Figura 11. Figura 2. Rappresentazione dell’interazione proposta del rame con APP e con Aβ. A) Il corretto legame del rame ad APP provoca la riduzione del metallo e previene la

proteolisi amiloidogenica. B) Il rame è in grado di interagire con il peptide Aβ, portando alla formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e formazione delle placche (in accordo con Barnham et al., 2002).

Uno dei fattori di rischio cui è associata una elevata probabilità di essere colpiti da AD, è la presenza nel genoma dell’allele 4 del gene codificante per l’apolipoproteina E (ApoE4). È noto, infatti, che ApoE è in possesso di notevoli proprietà antiossidanti in relazione al suo legame con il rame, tuttavia, l’ApoE4 mostra un’attività protettiva inferiore rispetto alle isoforme E2 ed E3, e quindi potrebbe non apportare una protezione adeguata allo stress ossidativo causato da Aβ (Sanan et al., 1994).

L’unica cosa che sembra certa in questa patologia riguardo al coinvolgimento del rame, è che piuttosto che un eccesso o una carenza del metallo, quello che avviene è una sua errata omeostasi; in altre parole nell’AD, soprattutto nel cervello, si potrebbe presentare un malfunzionamento di un enzima a rame o di un suo trasportatore. In effetti il livello di rame nel cervello sembra addirittura diminuire in confronto a quanto ne viene stimato nel cervello di un soggetto sano (Deibel et al.,

1996), tuttavia, il metallo sembra accumularsi ad alte concentrazioni nelle placche (Lovell et al., 1998), probabilmente perché rimane intrappolato nelle fibrille di Aβ.

I risultati ottenuti in numerosi studi suggeriscono che lo squilibrio che investe l’omeostasi o la coordinazione del rame non avvenga solo nel cervello ma anche in altri distretti corporei. Studi condotti dal nostro gruppo, analizzando campioni di siero di pazienti affetti da AD, infatti, hanno riscontrato un aumento nei livelli di rame che non è correlabile alla Cp, alla quale solitamente è associato il 95% del rame sierico, ed è questa frazione quindi che potrebbe esser responsabile dell’azione tossica del metallo (Pajonk et al., 2005). Và comunque detto che i risultati riportati in letteratura riguardo ad uno squilibrio sistemico del rame, come è stato riscontrato nel siero, sono spesso contrastanti (Squitti et al., 2006). La Cp a riguardo potrebbe rappresentare un ottimo soggetto di studi dal momento che è l’indicatore dello stato del rame a livello sistemico ed inoltre risponde a condizioni patologiche infiammatorie. I numerosi meccanismi che evidenziano un coinvolgimento del rame nella malattia di Alzheimer sono riassunte nella figura 12.

L’idea che la attività incontrollata dei metalli possa essere coinvolta nella patogenesi dell’AD ha portato a sviluppare nuove strategie terapeutiche che utilizzano chelanti per contrastare il declino cognitivo tipico di questa patologia. Sono stati effettuati infatti studi clinici sia con la D-pennicillamina che con il cliochinolo; questo ultimo in particolare, una molecola in grado di legare il rame e attraversare la barriera emato-encefalica, è stato visto ridurre la fibrillogenesi di Aβ nei topi transgenici modello per l’AD (Cherny et al., 2001). Tuttavia, l’alta affinità di questo composto per il metallo, e la sua peculiarità di attraversare facilmente le membrane cellulari, purtroppo, ne rendono difficile uno stretto controllo e quindi si và incontro a rischi dovuti ad una eccessiva ed indesiderata mobilitazione del metallo. Anche per questi motivi, recentemente, la comunità scientifica ha mostrato un grande interesse per differenti composti polifenolici normalmente assunti mediante la dieta grazie al consumo di frutta e verdura (Rossi et al., 2008; Dai et al., 2006). È stato osservato, infatti, che queste molecole, in grado di chelare il rame e che presentano caratteristiche antiossidanti, mostrano effetti benefici nel trattamento della patologia e sembrano contrastarne l’insorgenza; tuttavia, il preciso meccanismo alla base del loro effetto protettivo nell’AD deve ancora essere chiarito.

Cu APP

Apo E4 proteina Tau

Cuproproteine con funzioni alterate

ROS