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La sclerosi laterale amiotrofica (SLA).

ROS Sistemi di difesa

2.8 La sclerosi laterale amiotrofica (SLA).

La sclerosi laterale amiotrofica (SLA), conosciuta anche come Morbo di Lou Gehrig, malattia di Charcot o malattia dei motoneuroni, è una malattia neurodegenerativa progressiva dell’età adulta che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale che trasmettono i comandi per il movimento dal cervello alla muscolatura scheletrica (figura

17); ciò determina atrofia con perdita progressiva della forza muscolare fino

ad arrivare a una progressiva paralisi e poi alla morte per insufficienza respiratoria entro 5 anni dalla diagnosi.

Anche nelle fasi più avanzate, la malattia colpisce soltanto il sistema motorio e risparmia tutte le altre funzioni neurologiche. Questa malattia, analogamente a quanto riscontrato per l’AD, si presenta in forma sporadica o familiare (SLAf), circa il 10% dei casi, clinicamente indistinguibili. Le cause che portano alla degenerazione dei motoneuroni sono ancora sconosciute, tuttavia, la presenza di caratteristiche così estremamente simili tra la forma sporadica e quella familiare suggerisce l’esistenza di un processo patologico comune responsabile dell’insorgenza di questa malattia (Brown e Robberecht, 2001). Generalmente si ammalano di SLA individui adulti di età superiore ai 20 anni, di entrambi i sessi, con maggiore frequenza dopo i 50 anni. L’incidenza è di circa 1-2 casi ogni 100.000 abitanti con una prevalenza di 4-6 malati ogni 100.000 abitanti; in Italia si manifestano in media tre nuovi casi di SLA al giorno e attualmente si contano circa 5.000 ammalati. La SLA, come altre patologie neurodegenerative, è considerata una patologia multifattoriale dal punto di vista eziopatogenetico; dal punto di vista molecolare, infatti, sono stati individuati numerosi meccanismi che

possono partecipare all’insorgenza e alla progressione della patologia (figura 18).

Figura 17. Principali bersagli della sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e loro coinvolgimento nella progressione della patologia.

Come in altre malattie neurodegenerative, un ruolo importante nell’insorgenza e nella progressione di questa patologia è attribuito allo stress ossidativo e nitrosativo (figura 18). Da numerose evidenze sperimentali, ottenute mediante analisi immunoistochimiche e biochimiche delle zone maggiormente colpite dalla malattia, si evince la presenza di un marcato squilibrio ossidoriduttivo sia nei pazienti affetti dalla forma sporadica, sia in quelli colpiti dalla forma familiare (Beal et al., 1997; Ferante et al., 1997; Bogdanov et al., 2000). Sono stati infatti riscontrati: un aumento degli indicatori di un’avvenuta perossidazione lipidica (malondialdeide), un aumento dell’emossigenasi 1, danni ossidativi al DNA,

nonché un aumento della concentrazione di 3-nitrotirosina e dell’acido 3- nitro-4-idrossifenilacetico. Questi dati, inoltre, sono stati corroborati anche da studi condotti su topi transgenici modello per la SLAf (Bendotti e Carrì, 2004; Liu et al., 1999).

Modificata da Hervias et al., 2006

RNS

Figura 18. Potenziali meccanismi alla base del coinvolgimento del mitocondrio nella SLAf. Le SOD1 mutate possono colpire il mitocondrio attraverso diversi meccanismi che

agiscono in sinergia, contribuendo alla degenerazione del motoneurone. Le SOD1 mutate possono causare la produzione di specie reattive dell’ossigeno e/o dell’azoto e formare aggregati sia nel citosol che nel mitocondrio, dove possono alterare la funzionalità della catena respiratoria mitocondriale, con conseguente diminuzione della sintesi di ATP, oltre ad alterazioni dell’omeostasi del calcio e attivazione del pathway apoptotico.

Un altro elemento caratterizzante la patologia è la presenza di aggregati proteici, spesso individuati nei motoneuroni della spina dorsale (figura 18). Questi aggregati comprendono agglomerati ubiquitinati, i cosiddetti corpi di Bulina, e inclusioni di ialina ricche in proteine dei neurofilamenti. Associate a questi aggregati sono state individuate numerose proteine, tra cui quelle costituenti i neurofilamenti e la periferina (Lariviere e Julien, 2004), la SOD1, chinasi implicate nella trasduzione del segnale come p38MAPK e CdK5 (O’Brien et al., 2004), la cistatina C (un inibitore delle proteasi a

cisteina importantissima nella regolazione dell’omeostasi proteica extracellulare nel sistema nervoso centrale) (Okamoto et al., 1993), TDP43 (un fattore nucleare coinvolto nella regolazione della trascrizione e nello splicing alternativo) (Arai et al., 2006) e molte altre (Wood et al., 2003). Tuttavia, stabilire quanto ciascuna di queste proteine sia implicata nella formazione di questi aggregati oppure vi sia solamente intrappolata all’interno è ancora da decifrare; è chiaro comunque che tale fenomeno di aggregazione proteica è estremamente deleterio per le cellule dal momento che sono coinvolte proteine fondamentali alla corretta funzionalità cellulare e direttamente implicate per la sopravvivenza.

Una delle prime ipotesi sui meccanismi implicati nell’insorgenza e nella progressione della SLA è quella che viene definita eccitotossicità dovuta ad un eccesso di glutammato (figura 18), dal momento che studi condotti sui liquidi cerebrospinali di pazienti SLA presentavano un livello aumentato di glutammato (Rothstein et al., 1990). L’eccesso di questa molecola può esser causato da un mancato riassorbimento di questo neurotrasmettitore, fenomeno che può esser la conseguenza dell’inattivazione o della perdita dei suoi trasportatori. Nei pazienti affetti da SLA, Rothstein et al. (Rothstein et

al., 1992) hanno riscontrato una marcata riduzione della velocità massima di

trasporto per il riassorbimento ad alta affinità del glutammato nei sinaptosomi della spina dorsale, della corteccia motoria e della corteccia somato-sensoria. A supporto di questi dati, analisi immunoistochimiche hanno evidenziato una drastica riduzione nel tessuto cerebrale dei pazienti SLA del trasportatore del glutammato EAAT2, sia nella corteccia motoria sia nella spina dorsale, ciò ha portato ad ipotizzare che la causa principale dell’eccitotossicità fosse un deficit di questo trasportatore (Rothstein et al., 1995; Lin et al., 1998; Maragakis et al., 2005). Tuttavia sembra che non siano state riscontrate anomalie nell’mRNA di questa proteina, così come in quelli di altri trasportatori implicati nel trasporto del glutammato (EAAT1 e EAAT3), neppure nei pazienti che presentano una significativa diminuzione della proteina EAAT2 (Bristol et al., 1996), quindi è stata ipotizzata la presenza di una mutazione responsabile di questa disfunzione.

Effettivamente una mutazione (N206S) è stata individuata, tuttavia il basso numero di casi in cui è riscontrata ne rende difficile una chiara correlazione con l’insorgenza della SLA (Aoki et al., 1998). Altre alterazioni in grado di ridurre l’efficienza del trasporto del glutammato sono state identificate, come ad esempio la riduzione della subunità GluR2 del recettore per l’AMPA (alfa-Amino-3-Idrossi-5-Metil-4-isoxazolone propinato) (Rattray et al., 2006). Tuttavia, dal momento che tale evidenza si è

riscontrata soprattutto nei motoneuroni di pazienti SLA sporadica (Kawahara

et al., 2004), è difficile stimarne la reale importanza ai fini

dell’eziopatogenesi della malattia. Attualmente infatti, il reale apporto dell’eccitotossicità mediata dal glutammato alla patologia è oggetto di numerosi studi, non solo perché tale disfunzione è riscontrabile solo ad uno stadio avanzato, ma anche perchè l’uso di sostanze antiglutammato, tra cui il riluzolo, l’unico farmaco approvato finora per il trattamento della SLA, non sembrano apportare significativi benefici ai pazienti affetti da questa devastante malattia.

Altra disfunzione considerata tra le papabili responsabili dell’insorgenza della SLA è quella a carico dei fattori neurotropici (NTF), questi intervengono nella sopravvivenza e nel differenziamento del sistema nervoso centrale e possono intervenire a tutela di neuroni danneggiati, come è stato dimostrato in modelli motoneurali sia in vitro che in vivo (Ekestern, 2004). Allo stesso modo di quanto proposto in altre patologie neurodegenerative, disfunzioni che implicano gli NTF sono state proposte come parte di un complesso meccanismo alla base dell’eziopatogenesi della SLA; tuttavia, il loro reale coinvolgimento nella patologia non è ancora ben chiaro.

Uno degli elementi comuni a tutte le forme di SLA sembra essere il danno mitocondriale; sono state infatti identificate numerose alterazioni strutturali e funzionali a carico di questi organelli che rappresentano la centrale energetica cellulare e che, di conseguenza, rappresentano un elemento cardine soprattutto nelle cellule neurali. Quest’argomento verrà comunque trattato in modo approfondito in seguito.

La forma familiare della patologia (SLAf) può essere trasmessa sia come malattia autosomica dominante che recessiva. Numerosi studi a riguardo hanno evidenziato che in entrambi i casi possono essere implicati più un gene. La forma dominante è clinicamente e patologicamente indistinguibile dalla forma sporadica e anch’essa è tipica dell’età adulta pur essendo stati osservati casi di insorgenza in età giovanile. Vari loci genici sono stati identificati da analisi genetiche, ma solo alcuni di essi sono stati inequivocabilmente associati a geni specifici. Tra questi vanno sicuramente ricordati quelli che codificano per l’alsina (Hadano et al., 2001), la senataxina (Chen et al., 2004), la dinactina 1 (Munch et al., 2004), la proteina B associata (VAPB) a VAMP (la proteina associata alle vescicole di membrana) (Nakamura et al., 1997), l’angiogenina (Greenway et al., 2004) e il gene che codifica per la SOD1 (Deng et al., 1993). Questi geni codificano per proteine implicate in una vasta gamma di processi cellulari tuttavia

dall’ossidazione al trasporto assonale, dalle modificazioni dell’RNA al riparo del DNA, al trasporto delle vescicole e all’angiogenesi.

Il fatto comunque che mutazioni a carico di geni specifici portano a manifestazioni patologiche del tutto paragonabili a quelle riscontrabili nella forma sporadica della malattia, ha spinto i ricercatori di tutto il mondo ad indirizzare i loro studi sui geni coinvolti manifestamente nell’insorgenza della patologia, nel tentativo, e la speranza, di identificare un meccanismo patologico comune in grado di portare alla comprensione e ad un efficace trattamento terapeutico della SLA. In quest’ottica risultano fondamentali le ricerche indirizzate allo studio delle mutazioni a carico della SOD1 alla quale sono ascrivibili il 20 % dei casi di SLAf.