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Note sul valore sociale della carta da parati e sue implicazioni nella costituzione e lettura del ‘genere’.

Punto di partenza è un breve brano tratto da Walter Benjamin, lontano nel tempo e nei riferimenti ma, si crede, utile a suggerire il peso della dimensione domestica nella creazione di comportamenti sociali, nonché per assestare la metafora di ‘azione codificata’ (quella che diverrà, per estensione, ‘gesto performativo’) che lega l’ambiente privato all’atto di assumere e ‘inscenare’ un preciso ruolo sociale: senza tale premessa non sarebbe ben chiarito il percorso che ha assegnato anche alle carte da parati, in diverse occasioni, un valore importante in performance o installazioni collegate proprio a quella funzione identitaria e alla codifica di ‘genere’.

7 Un richiamo alle politiche e alle rivendicazioni femministe, sarà necessario a inquadrare il momento culturale nel quale Carolee Schneemann negli Stati Uniti e Tomaso Binga in Italia si sono trovate ad agire, tra la metà dei Sessanta e la fine degli anni Settanta.

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Nel 1935 Walter Benjamin, esaminando la sfera della vita privata del cittadino moderno8, definiva la drawing room (il salone di un qualsiasi interno piccolo-borghese) come “una scatola nel teatro del mondo”9, ovvero uno spazio ritagliato alla frenesia della vita esteriore10, alla stregua di una scatola scenica nella quale poter anche rappresentare il proprio ruolo in famiglia e nella società.

L’analisi di Benjamin è rivolta alla Parigi dell’Ottocento, un periodo e un luogo non marginali nella storia moderna e in ciò che riguarda la costruzione dei nuovi modelli socio-culturali occidentali, che saranno ancora largamente vigenti nel XX secolo: l’Ottocento europeo, infatti, specie nella declinazione francese che ha segnato e affermato la nascita della borghesia, è stato il frangente nel quale si sono strutturate le fondamenta di una società auto-legittimantesi sulle definizioni di ‘genere’ e ‘classe’, mediante differenziazioni e divisioni ‘utili’ alla sussistenza dell’ordine socio- economico.

Entro tale panorama, la negoziazione dei valori fondamentali e il modo in cui generi e classi sociali sono stati interpretati e rappresentati, hanno trovato un punto di forza nell’“immaginario ordine naturale che indica come incontestabili le gerarchie nelle quali le donne, i bambini, i piccoli lavoratori e la servitù (così come le altre razze) sono postulate come naturalmente differenti e subordinate all’uomo bianco europeo”11 e, proprio attraverso tale partizione, l’assetto socio-culturale ottocentesco ha potuto fondarsi e rafforzarsi facendo gioco sulla bipartizione sfera pubblica–sfera privata e ancora su quella di un possibile e attivo (o, al contrario, del tutto precluso alle categorie emarginate) protagonismo nella società.

In sostanza, “la sfera pubblica, definita come spazio del lavoro produttivo, della decisione politica, del governo, dell’educazione, della legge e dei servizi pubblici, in maniera sempre crescente diventarono spazio esclusivamente per uomini. La sfera privata era la casa, il mondo per le mogli, i bambini e la servitù”12

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Per una riflessione su tali regole del vivere sociale fondato nell’Ottocento, specie per ciò che riguarda la condizione femminile, è risultata chiarificatrice la lettura del volume di

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W. Benjamin, Paris: Capital of the Nineteenth Century [testo ideato nel 1935-1939 come introduzione a

Das Passagen-Werk], in W. Benjamin, Reflections. New York, Schocken Books, 1986. 9 T.d.A. Testo in inglese: “a box in the world theater”; Ivi, p.154.

10 “Il teatro del mondo”, sulla scia della ben nota formula shakespeariana: v. W. Shakespeare, As you like it, ed. aggiornata a cura di M. Hattaway. Cambridge, Cambridge University press, 2009.

11 G. Pollock, Vision & Difference. Femininity, Feminism and the Histories of Art, London- New York, Routledge, 2003, p. 67, T.d.A.

12 Ibidem. T.d.A. Cfr. anche J. F. MacMillan, Housewife or harlot: the place of women in French society 1870-1940, Brighton, The Harvester Press, 1981.

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Griselda Pollock Vision & Difference. Femininity, Feminism and the Histories of Art, e in particolare il fin qui citato capitolo Modernity and the spaces of femininity.

In esso è, inoltre, possibile riscontrare una citazione che, ben lungi dal risultare emarginata alla lettura delle strutture di una società del passato, può essere assunta quale paradossale chiave di lettura per la società ancora largamente maschile (e per ciò stesso contestata) della metà del Novecento: “What is man’s vocation?” – leggiamo – “It is to be a good citizen. And woman’s? To be a good wife and a good mother. One is in some way called to the outside world, the other is retained for the interior”13. La constatazione è tratta da La femme du vingtième siècle (1892), libro di Jules Simon.

Il ruolo della donna, dunque, come affermatosi nel secolo precedente, messo in crisi e combattuto dalle attiviste del primo femminismo (ma parzialmente immutato fino alla metà del Novecento), travalicando il limite dell’analisi dei rapporti sociali marginali e inoltrandosi sempre più nella sfera familiare e delle relazioni affettive, verrà ampiamente dibattuto – specie nella sua connotazione di genere – da parte della critica di stampo femminista, con l’intento di accertare il valore dei termini di ‘maschile’ e ‘femminile’ e dell’interazione tra i due, intesi non come mero dato biologico ma come modello di comportamento, pattern assunto più o meno consapevolmente14.

Entro tale orizzonte, la dimensione abitativa privata non verrà certamente intesa come luogo-a-parte, tantomeno asessuato, ma confermata come “a ‘stereotypically feminine space, situating’ itself ‘in the sexualized, emotionalized, personalized, privatized, erratic sphere of the home and bedchamber rather than in the structured, impersonal, public realm’”15

, e di conseguenza indicatore di uno stato di fatto da combattere e sovvertire, avvalendosi dello slogan “il personale è politico”16

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13 T.d.A.:“Qual è la vocazione dell’uomo? Essere un buon cittadino. E quella della donna? Essere una

buona moglie e una buona madre. Il primo è in un certo senso chiamato al mondo esterno, l’altra è serbata per quello interno, domestico”. V. G. Pollock, Vision & Difference… op. cit., p.68.

14 V. J. Butler, Performative acts and Gender costitution: an essay in Phenomenology and Feminist Theory, in “Theatre Journal”, vol.40, n.4, dicembre 1988, p.520. Cfr. D. Heyse-Moore, Wallpaper, wallpaper, wallpaper: pattern, repetition and gender, in G. Saunders (a cura di), op. cit., pp-96-113. Nel

saggio sopracitato, Dominique Heyse-Moore sottolinea: “Butler suggested that femininity or masculinity

are performances we act out using a ‘script’ that has been repeated by previous performers through history, so ‘the ground of gender identity is the stylized repetition of acts through time’”, p.99. Cfr., come

testo precursore del dibattito, S. de Beauvoir, Il secondo sesso [Le deuxième sex, 1949], Il Saggiatore, Milano 1961.

15 T.d.A: "Uno spazio femminile stereotipato, che si colloca nella sessualizzata, emotiva, personalizzata, privatizzata, irregolare sfera della casa e della camera da letto, piuttosto che nella strutturata, impersonale,

sfera pubblica”. R. Feldstein, J. Roof (a cura di), Feminism and Psychoanalysis. Ithaca, New York,

Cornell University Press, 1989, p.2. Cfr. M. Wigley, Untitled: The Housing of Gender, in B. Colomina (a cura di), Sexuality and Space. New York, Princeton Architectural Press, 1992.

16 Cfr. G. Pollock (a cura di), Generations and geographies in the visual arts: feminist readings, London- New York, Routledge, 1996.

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Tale lettura, subito dopo la metà del Novecento, era innanzitutto avvalorata da testi- chiave quali The Feminine Mystique17, della teorica Betty Friedan, animatrice della seconda ondata del femminismo18, che centrava la sua analisi intorno al meccanismo vincolante la donna – complici l’assetto patriarcale ancora vigente, l’educazione scolastica e l’opinione pubblica – allo stereotipo di moglie e madre, di valore impari rispetto all’uomo.

È da ricordare come il femminismo, come lo intendiamo oggi, sia da considerarsi il prodotto del dibattito nato alla fine dell’Ottocento (nel contesto al quale si accennava) e particolarmente vivificatosi alla metà del secolo successivo, in un dopoguerra alle prese con la ricostruzione sociale, il rinnovamento e, di pari passo, i problemi posti nelle società occidentali dall’assetto capitalista19

.

Come suggerisce ancora Griselda Pollock, il femminismo è “una pratica critica, non una dottrina”20

, che mira alla costante analisi e decostruzione dei termini-chiave (tra questi appunto, in ruolo preminente, il ‘genere’) intorno ai quali ruota l’assetto sociopolitico e culturale. Il termine ‘donna’, così come il termine ‘uomo’, del resto, assecondando tale lettura si confermano essere non esclusivamente dati biologici di partenza, ma “un effetto dei sistemi psico-simbolici che producono e differenziano le soggettività nella formazione di classe, razza e sessualità”21

. Dunque se l’essere donna è un dato costruito attraverso una serie di pratiche correlate, attraverso relazioni sociali concrete, “if woman is a sign”22, (“punto di transizione tra il sistema sociale e il soggetto”23

) questo può incessantemente essere negoziato e ridefinito attraverso l’azione e la comunicazione.

In quest’ottica, cinema e arte (performativa e non, naturalmente, ma con un accento in più sul primo elemento) concorrono a produrre senso, lottando per fissare certi significati e per far scaturire particolari, ideologiche, rappresentazioni del mondo24. Il ruolo delle carte da parati, a tal proposito, non è stato marginale, ponendosi dapprima – in riferimento alla sua definizione domestica – come elemento presente negli spazi del

17 B. Friedan, The Feminine Mystique, 1963. Trad. it., La mistica della femminilità. Milano, Edizioni di Comunità, 1964.

18 Cfr. S. Gamble (a cura di), The Routledge companion to feminism and postfeminism, New York, Taylor & Francis, 2001

19 Cfr. G. Pollock (a cura di), op. cit. 20

Ivi, p. 5. 21 T.d.A. Ibidem.

22 V. G. Pollock, Vision & Difference… op. cit., p.31 23 T.d.A. G. Pollock (a cura di), op.cit., p.6.

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quotidiano anche in funzione educativa e ‘edificante’25

per i più giovani abitanti della casa; ponendosi dunque, in un secondo momento, come medium artistico adatto a ospitare, nella strutturale reiterazione dei suoi pattern, forme e concetti vicini a problematiche dell’attualità e di conseguenza il commento a quelle.

Non è un caso, allora26, che il wallpaper sia stato assunto, da parte di alcune artiste, come mezzo adatto a veicolare affermazioni di natura ideologica o a commentare cliché e meccanismi ai quali il mondo femminile è apparso spesso confinato.