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I.1. Un possibile precedente: Yayoi Kusama, gli endless pattern e Aggregation: One Thousand Boats Show (1963).

I.2.2. Il volto del leader-icona comunista: genesi e caratteristiche del wallpaper Mao (1974).

Il soggetto di Cow non si darà come esclusivo nella produzione di wallpaper da parte di Warhol. Infatti, l’artista concepirà un ulteriore parato nel 1974, elaborando un soggetto – se si vuole – ancor più stupefacente e perturbante rispetto al “banale” animale fin qui osservato, ma perfettamente leggibile nel contesto della sua poetica e del suo linguaggio: un ritratto del leader comunista cinese Mao Zedong217.

Il gallerista svizzero Bruno Bischofberger, per molti anni legato da vincoli commerciali e di stretta amicizia con Andy Warhol, ricorda nella prefazione del suo testo Andy

Warhol’s Visual Memory218

come nel 1971, dopo aver procurato all’artista un certo numero di commissioni, gli avesse chiesto di realizzare per lui una serie di ritratti, in largo formato, di una persona molto nota, suggerendogli di rivolgersi alla figura di Albert Einstein.

L’artista, tuttavia, decise di scegliere l’immagine del leader cinese, dilagante pressoché ovunque attraverso i media e con la diffusione del Libretto rosso (1966) anche tra gli occidentali. Il gallerista, come già era stato avvalorato dall’assistente di Warhol, Bob Colacello219, riconduce la scelta definitiva del soggetto – che può dunque attestarsi intorno ai primi mesi del 1972 – al vasto impatto politico e mediatico della visita del Presidente Nixon in Cina, su invito dello stesso Mao e all’interesse suscitato sull’artista,

216

V. nota n.80.

217 Si adotta qui la forma traslitterata ‘Mao Zedong’, di più largo utilizzo nel mondo anglofono (rispetto a

‘Mao Tse-Tung’), come notato nel Catalogue Raisonné di Warhol. v. G. Frei, N. Prinz (a cura di), op. cit., vol. 03 (2010), p.165.

218

B. Bischofberger, Andy Warhol’s Visual Memory, Edition Galerie Bruno Bischofberger, Zurigo 2001.

Il testo è interamente leggibile all’indirizzo web:

< http://www.brunobischofberger.com/salewarhol/swphoto.htm>

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in particolare, dalla copertina di “Life” recante, nel numero del 3 marzo 1972, il volto del leader comunista in copertina220.

Warhol già manifestava interesse per l’ossessione volta alla riproduzione e reiterazione del volto di Mao, ritenendola affine a certe caratteristiche della sua produzione e della selezione iconografica ivi operata. Si legge infatti, nella trascrizione di una conversazione del 1971: “I’ve been reading so much about China. They’re so nutty. They don’t believe in creativity. The only picture they ever have is of Mao Zedong. It’s great. It looks like a silkscreen”221

. Tuttavia, come viene sottolineato da Frei e Prinz, interesse prevalente da parte dell’artista stesso era quello rivolto ai meccanismi di produzione della celebrità mediatica, piuttosto che al valore politico del leader in sé. Un primo cospicuo nucleo di opere con questo soggetto venne esposto nel 1972 a Basilea, al Kunstmuseum222, segnando il ritorno di Warhol alla pittura.

L’ingente lavoro di Warhol sull’iconografia del leader rosso223

– ulteriore passo di un fitto e reiterato prelievo sull’imagerie diffusa costituita da divi ma anche da figure istituzionali, di indifferente provenienza socio-politica224, trova un precedente nell’acquaforte di Jim Dine Drag - Johnson and Mao [fig. 16] realizzata già nel 1967225

, con sovrapposizione di belletti ironico-caricaturali sul volto dei due politici, e un parallelo in Mao (1972) [fig. 17], larga tenda-bandiera in tessuto dipinto realizzata da Sigmar Polke226.

La serie di lavori di Warhol su Mao, indica un cambio teorico-operativo nella produzione serigrafica poiché, a differenza degli anni precedenti (in cui la serigrafia seguiva, solitamente con una certa distanza temporale, la versione dipinta del soggetto), il lavoro con i media della pittura e della serigrafia si svolge all’incirca nello stesso

220

v. B. Bischofberger, op. cit., Cfr. G. Frei, N. Prinz (a cura di), op. cit., vol. 03 (2010), p.165.

221 Frasi tratte da una conversazione telefonica di Andy Warhol con David Bourdon, 4 settembre 1971: D. Bourdon, Andy Warhol, Harry N. Abrams, New York 1971, p.317. Citato e tradotto in A. Mecacci,

op.cit., p.113: “Ho letto così tanto della Cina. Sono proprio matti. Non credono nella creatività. L’unica

immagine che hanno è quella di Mao Zedong. E’ fantastica. Sembra una serigrafia”. Cfr. G. Frei, N. Prinz (a cura di), op. cit., vol. 03 (2010), p.166.

222 Andy Warhol, “Zehn Bildnisse von Mao Tse-Tung”, Kunstmuseum, Basel, 21 ottobre-19 novembre 1972.

223 Dal quale scaturirono cinque serie, con migliaia di opere tra pittura e serigrafia, alcune di notevoli dimensioni. Cfr. G. Frei, N. Prinz (a cura di), op. cit., vol. 03 (2010), pp.165-224.

224 Si vedano, ad esempio, il noto ritratto di Nixon (1972) siglato – paradossalmente – dalla formula

“Vote McGovern”, che ne funge da titolo, o ancora i vari tentativi di Warhol di riuscire a ritrarre Imelda

Marcos, moglie del dittatore filippino Ferdinand Marcos. Cfr. A. Danto, Oltre il Brillo Box… p.142. 225

v. J. Dine, Drag - Johnson and Mao, 1967. Acquaforte su carta, 86,9 x 122,5 cm. Tate Modern, Londra.

226 v. S. Polke. Mao, 1972. Vernice su tessuto stampato, montato su feltro con tassello di legno, 373.5 x 314 cm. The Museum of Modern Art, New York.

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tempo227; nelle serigrafie, inoltre – come si noterà a proposito del wallpaper Mao – introduce, solitamente intorno al volto raffigurato, una serie di linee schizzate a mano libera, che contraddicono la fissità della posa e l’uniformità prevalente delle campiture cromatiche. “Impossessandosi” dell’icona del volto di Mao, Warhol riesce dunque, a partire dal 1972, a “disintossicare una delle immagini politiche più terrificanti dell’epoca; infatti, fino a quando Warhol non si appropriò della faccia di Mao, appendere al muro una fotografia del leader cinese non significava soltanto fare un’affermazione politica: si trattava di una vera e propria dichiarazione di fede e nessuna istituzione americana avrebbe mai osato affrontare il sospetto di sovversione che essa avrebbe inevitabilmente suscitato”228

.

E procede ancora oltre, producendo – come si è detto, nel 1974 – Mao [fig.18], una carta da parati intorno alla reiterazione del volto del leader, presentandola a Parigi, come background per l’allestimento delle sue opere al Musée Galliera229 e dichiarando l’intento di conferire, agli ambienti museali, l’aspetto “confortevole” (ma banale) di un salone casalingo230.

In questo caso, in effetti, in primis la coppia cromatica scelta mostra toni smorzati (se confrontata ai primi esempi di Cow Wallpaper) e dunque ‘plausibili’ per il decoro di una carta da parati: Warhol sceglie di rendere il soggetto in violetto su fondo color crema e, compiendo un ulteriore passo, sintetizza il volto di Mao entro i contorni di un perfetto ovale, i cui lineamenti sono difficilmente leggibili a una certa distanza.

Tale espediente avvicina il modulo decorativo a quello derivante dall’antica tipologia inglese delle “print rooms”231

[fig. 19], in voga per la concezione delle tappezzerie a partire dalla seconda metà del Settecento, momento nel quale il motivo delle pareti movimentate da ritagli pre-stampati, incollati e contornati mediante fregi, festoni e nastri venne tradotto in vere e proprie carte da parati che fingevano l’andamento del collage murale. Quest’ultimo, chiaramente, generava un sottile inganno visivo, un effetto trompe-l’oeil, tra sfondo e primo piano, tra decoro retrostante e oggetto ritagliato e apposto ad esso.

227 v. D. De Salvo, God is in details: the prints of Andy Warhol in F. Feldman, J. Schellmann, op. cit., p.26.

228

A. C. Danto, Andy Warhol (2009), Giulio Einaudi Editore, Torino 2010, pp.105-106. 229 V. nota n.82 di questo capitolo.

230 v. G. Saunders in G. Saunders (a cura di), op. cit., p.30.

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Da tale tipologia di carte, dalla quale erano a loro volta derivati i “parati celebrativi” [fig. 20] introdotti nella società inglese intorno alla Great Exhibition del 1851232, non in ultimo, l’opera di Warhol pare riferirsi nella misura in cui, proprio le “print rooms”, avevano consentito sin dalla metà dell’Ottocento (e, in particolare, dalla cronachistica celebrativa inglese legata all’epoca vittoriana) l’accesso, negli interni domestici di vasti strati della popolazione, di immagini e episodi legati al contingente e a personaggi al vertice della società del tempo233.

Dalla breve digressione fin qui sviluppata è possibile ricavare la suggestione, dunque, di una maggiore adesione (seppur assolutamente ironica234) di Warhol con Mao al décor più tipico per le carte da parati [fig. 21] rispetto a quanto non fosse accaduto col precedente Cow: si veda, infatti, come l’ovale di Mao componga un pattern più ‘ordinato’ e coerente rispetto a quello del parato del ‘66, il cui andamento formale non presenta, in un tutto logicamente conchiuso, il profilo dell’animale235.

La mostra al Musée Galliera presenta una reiterazione insistente, impressionante per numero, del volto di Mao, del quale si presentano circa millenovecentocinquanta casi236. Come significativamente commenterà – in anni più recenti e sul piano dell’estetica – Andrea Mecacci, partendo dallo statuto acquisito dall’immagine del leader nella sfera socio-politica: “Warhol tradurrà questa ossessiva monodimensionalità iconica, nella mostra al Musée Galliera […], ricorrendo nuovamente alla saturazione degli spazi mediante l’esposizione di un unico motivo e la combinazione del motivo stesso in diversi formati […]. Il soffocamento ottico del Mao warholiano specchia perfettamente la sovraesposizione di un’immagine che vive unicamente nell’eccedenza del proprio statuto rappresentativo senza la possibilità di alcun intervento ermeneutico. In modo paradossale è il ciclo Mao a fornire i paradigmi formali della ritrattistica glamour del decennio in perfetta coincidenza di ortodossia politica ed edonismo capitalista, dando a

232 Cfr. G. Saunders, Wallpaper in Interior… pp.83-87, pp.102-103. Tali soggetti avevano, prima ancora, esordito in ambiente francese, con la diffusione di immagini celebrative dei valori diffusi dalla Rivoluzione. Cfr. B. Greysmith, op. cit., pp.82-85.

233

Cfr. B. Greysmith, op. cit., pp.111-127. Da tale punto di vista, un parato fondamentale è Queen

Victoria's Golden Jubilee, Manifatture F. Scott & Son, Hawick, Scozia 1887. Scheda E.791-1970, Prints

and Drawings Collection, Victoria & Albert Museum, Londra. 234

Non bisogna, infatti, dimenticare come la reiterazione del volto del leader cinese rimandi, innanzitutto, alla monotona ripetizione dei meccanismi della propaganda di partito.

235 Da ricordare come i margini dei rotoli che compongono il pattern Cow, infatti, siano volutamente

sfalsati, lasciando terminare il profilo dell’animale in modo assolutamente incongruo e “interrotto”.

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Warhol l’occasione ironica e cinica di vendere un’effige comunista, seppur trasfigurata, alla mondanità occidentale”237

.

L’idiosincrasia tra i due termini, in effetti, si ricompone nella monotonia iconografica perseguita da Warhol e si risolve nel distanziamento che l’artista opera, ancora una volta, adoperando colori forti ed eterogenei rispetto al referente reale dell’immagine e alla fissità data dai tratti fisionomici del leader e dalla divisa militare indossata.

Oltre al Musée Galliera, il wallpaper vedrà ulteriori occasioni di allestimento a Baltimora e Los Angeles, entrambe nell’anno successivo238.