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1974).

Il movimento significativamente chiamato Supports/Surfaces, dichiarante sin dalle immediate premesse l’intenzione di rivolgersi all’analisi dei supporti e delle superfici intesi quali strutture-chiave del fare artistico, nasce decentrato rispetto alla capitale, a sud della Francia, tra le cittadine di Montpellier, Nîmes e Nizza.

Si colloca, a pieno titolo, entro le tendenze europee degli anni Sessanta-Settanta volte a mettere in discussione, fin nei minimi termini, le istanze delle neoavanguardie e i media adottati da quelle: indicativo sarà, nel caso specifico di Supports/Surfaces, il paragone

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con le pressoché contemporanee tendenze analitiche italiane, criticamente sostenute da Filiberto Menna e Klaus Honnef 4.

Dodici sono gli artisti componenti il gruppo francese, tutti uomini: André-Pierre Arnal, Vincent Bioulés, Louis Cane, Marc Devade, Daniel Dezeuze, Noël Dolla, Toni Grand, Bernard Pagés, Jean-Pierre Pincemin, Patrick Saytour, André Valensi e Claude Viallat, riuniti tra il 1970 e il ’74 in numerose occasioni espositive e in parallele proposizioni teoriche diffuse attraverso ‘fascicoli’5

di chiara derivazione politica (terminologica quanto contenutistica) e manifesti.

Guidati da propositi decostruttivisti di chiara marca derridiana e spinti dal vento di cambiamento culturale promosso nel 1968 del Maggio francese, gli artisti proprio in quel frangente intensificano una riflessione che, da parzialmente individuale, diviene pienamente collettiva intorno all’esposizione “Support-Surface” (1970)6

, che risulterà essere atto fondativo e battesimo nominale del gruppo.

Traendo inizialmente spunto dall’attenzione del Nouveau Réalisme nei confronti delle materie prelevate dalla sfera del quotidiano, gli artisti di Supports/Surfaces riconducono poi, in maniera decisa, la propria analisi ai termini e ai codici costitutivi della pittura, ritenuta non medium anacronistico ma valido strumento espressivo e, al tempo stesso, affermazione di principio. Parallelamente, negano nelle premesse e nei fatti qualsiasi tangenza con la sfera dell’Arte Povera, avversa al linguaggio pittorico e dichiarano una voluta e ideologica distanza rispetto al sistema dell’arte, a partire dal rifiuto della cornice, in direzione di composizioni imperniate su griglie7 compositive estese e potenzialmente estensibili: le opere di molti componenti di Supports/Surfaces, infatti, si allargano fino a raggiungere dimensioni e altezze notevoli (talora fino al limite della visibilità), inadatte a un canonico allestimento di galleria e perseguono una parallela ed

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Si vedano, a mero titolo di esempio, la produzione di Giulio Paolini (Genova, 1940) e Giorgio Griffa (Torino, 1936), sin dal biennio 1967-‘68 focalizzata sulla centralità di elementi primari quali la tela e il

telaio, il segno, la luce e il colore, in costante meditazione sul procedimento operativo dell’artista, rigoroso e disciplinato in ogni sua fase. L’attenzione rivolta al fare pittura, affrancato da simboli e

elementi accessori, trova conferma e sostegno da parte di Menna, che nel 1975 dà alle stampe La linea

analitica dell’arte moderna (Einaudi, Torino).

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v. R. Rubinstein, The Painting Undone: Supports/Surfaces in “Art in America”, November 1991, pp.134-43. Archiviato online all’indirizzo <http://www.artcritical.com/2004/02/01/the-painting-undone- supportssurfaces/>

6 “Support-Surface”, mostra organizzata dagli artisti del movimento, con un ruolo preminente di Viallat e Dezeuze. Parigi, ARC, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, settembre-ottobre 1970. v. S. Jamet- Chavigny, La Naissance de Supports/Surfaces ou la fin annoncée de l’avant-garde in “Critique d’art” n.28, autunno 2006; Url: <http://critiquedart.revues.org/1078>.

7 «Logicamente la griglia è suscettibile di estendersi in tutte le direzioni all’infinito. Ogni limite imposto da una data pittura o scultura non può che essere arbitrario». R. Krauss, op. cit., p.13.

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esplicita assenza di appeal commerciale per l’opera che ne deriva. Un’opera che possa collocarsi, al tempo stesso, oltre l’orizzonte “bloccato”8

del Minimalismo del contiguo Gruppo BMPT9 ritenuto asettico e “completamente gratuito”10.

Seguiti in special modo dal critico Marcelin Pleynet11, gli artisti di Supports/Surfaces appaiono ben presto suddivisi in due raggruppamenti, a seconda del termine del binomio preponderante nella propria scelta operativa e poetica: si accennerà in questa sede esclusivamente al lavoro di Viallat, Cane e Saytour, chiaramente rivolti a un’espressione “di superficie” che privilegia l’utilizzo del colore primario, della reiterazione formale e di mezzi operativi eterogenei rispetto ai più canonici strumenti della pittura e del disegno, rifiutati a favore di modalità che privilegiano il contatto diretto, la manipolazione e le tecniche (volutamente affini alla sfera artigianale) della stampa manuale, della stiratura e della tintura su tessuto12.

In tal senso, risulta ispiratore delle proposizioni di Supports/Surfaces il lavoro di Simon Hantaï (Biatorbágy, Ungheria, 1922 - Parigi 2008), divenuto termine di riferimento per il gruppo (del quale non farà parte) e radicato nell’esperienza surrealista incontrata nel 1948 a Parigi, nella persona e nei consigli di André Breton.

8 v. Louis Cane citato, senza altre indicazioni, in R. Rubinstein, op. cit.

9 Raggruppamento (individuato dalla critica, più che da una programmatica scelta degli artisti) formato da

Daniel Buren, Olivier Mosset, Michel Parmentier, Niele Toroni, esordiente nel ’67 al Salon de la Jeune

Peinture di Parigi e scioltosi appena pochi mesi dopo. v R. Maillard (a cura di), Vingt-cinq ans d'art en

France: 1960-1985, Larousse, Paris 1986.

Da segnalare come, tra gli artisti facenti parte del gruppo, Olivier Mosset si occuperà (seppur sporadicamente) di wallpaper realizzando nel 2006 la carta monocroma in giallo acceso Untitled (005) e successivamente, insieme a Amy Granat, Untitled (007). Il primo lavoro è un’estensione degli studi sul

monocromo lungamente condotta da parte dell’artista e prevede la paradossale destinazione d’uso

parietale per una carta dal colore estremamente invasivo e disturbante; il secondo lavoro, con Amy Granat, è incentrato su un macro-pattern in bianco e lilla che rivisita le forme della pellicola di celluloide, ad uso cinematografico. [Cfr. M. Costantini (a cura di), op. cit.] Porre in bibio riguardo Mosset: Y.

Aupetitallot, R. Wäspe (a cura di), “Olivier Mosset: Arbeiten/Works 1966-2003”. Musée Cantonale de

Beaux-Arts, Lausanne, 22 maggio-24 agosto 2003; Kunstverein St. Gallen Kunstmuseum, 23 maggio-10 agosto 2003; SITE, Santa Fe, New Mexico, USA, 13 dicembre 2003-7 marzo 2004. Catalogo della mostra, Editions 5 Continents, Milano 2003. Entrambi i parati sono stati realizzati su invito, per il

progetto commerciale “Wallpapers by Artists” nato in Francia nel 2006 e i cui prodotti sono stati

acquisiti, nel 2010, dal Musée des Arts Décoratifs de Paris. Al progetto ha partecipato anche, tra gli altri, John Armleder, con Untitled (021), del 2012: un pattern stampato in vernice oro su fondo bianco, incentrato sul noto simbolo fiabesco della lampada di Aladino. Si veda il sito web del progetto: < http://www.wallpapersbyartists.com/>

10 Claude Viallat citato, senza altre indicazioni, in R. Rubinstein, op. cit. 11

Il quale ha, ancora di recente, scritto del lavoro di Claude Viallat nei termini di “originalité singulière

de la répétition”. v. “Viallat: une rétrospective” a cura di M. Hilaire, M. Lozón de Cantelmi. Montpellier,

Musée Fabre, giugno-novembre 2014.

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Hantaï, recentemente ricordato da una preziosa retrospettiva a Villa Medici (Roma, 2014)13, seguendo la lezione surrealista aggiornata alla luce dell’astrattismo del dopoguerra è stato l’assiduo promotore della tecnica del pliage, inoltrata nel 1960 con la serie delle Mariales (1960-‘62) [fig. 71] e adottata fino al 1982.

La tecnica, consistente nello sgualcire e ripiegare un largo rettangolo di tela, colorare, pressare e dunque svolgere il tessuto fino a rivelare casuali disposizioni del colore, risulta chiaramente memore del semi-automatismo surrealista e, tramite quello, del dripping di Pollock14, del quale eredita anche l’abitudine alle grandi dimensioni.

Le tele dell’Espressionismo Astratto – dell’Action Painting e della Color Field Painting – fungono da riferimento dimensionale anche per il lavoro di Claude Viallat, che tuttavia non ne richiama la tecnica, preferendo attingere al repertorio dell’ultimo Matisse, che varia con ritagli adoperati a mo’ di stencil per comporre griglie di motivi ripetuti e cadenzati. Il medium adoperato non è mai la carta da parati: lo stretto riferimento alla dimensione parietale è tuttavia esplicito, nell’installazione al muro di tessuti [fig. 72] che spesso raggiungono la larghezza e la consistenza di tendoni o ‘vele’ o ancora adottano, nel parallelo caso di Jean-Pierre Pincemin, la tecnica dell’arazzo. L’approccio installativo, ambientale lato sensu, è presente nella serie Toiles Sol/Mur di Louis Cane [fig. 73], realizzata nei primi anni Settanta a partire da tele piegate e dipinte a olio, con uno scoperto richiamo formale a Rothko e l’intenzione di far combaciare, in una stessa opera e in continuità ottica, piano di calpestio e parete. Risulta maggiormente indicativa, tuttavia, nell’oeuvre di Cane, una serie di Toiles tamponneés [fig. 74] che a partire dal 1967 (e con riprese fino alla fine degli anni Ottanta) si pongono a commento delle modalità operative Pop, essendo il risultato di una fitta reiterazione di stampi realizzati a partire da rudimentali timbri intagliati nella gomma. Tra le opere più note della serie, sono quelle in cui la trama finale risulta generata da timbri siglati “Louis Cane Artiste Peintre”, motivo autoreferenziale di scoperta ironia15

.

13 v. E. de Chassey (a cura di), “Simon Hantaï”, Roma, Villa Medici, Académie de France, febbraio-

maggio 2014. Catalogo della mostra, Drago, Roma 2014. L’esposizione si è posta come ideale seguito

della vasta monografica del Centre Pompidou di Parigi tenutasi nel 2013: “Simon Hantaï”, a cura di D. Fourcade, I. Monod-Fontaine, A. Pacquement. Parigi, Centre Pompidou, maggio-settembre 2013.

14 Hantaï stesso ammise di essere debitore, oltre che alle “forbici [di Matisse], al bastone gocciolante di

Pollock”. E. de Chassey, op. cit., p.22.

15 Con il lavoro di Louis Cane, si può raffrontare quello svolto (circa un quindicennio dopo) da Philippe Cazal (La Redorte, 1948). Agli esordi, Cazal ha realizzato delle opere-assemblages, con oggetti di uso comune. Membro del gruppo Untel ( Jean-Paul Albinet, Philippe Cazal et Alain Snyers: attivo tra il 1975 e il 1980), ha realizzato tra le varie opere anche un grande environment-allestimento museale intitolato

Vie Quotidienne - Environnement de type « Grand Magasin » (1977), costituito da tracce e oggetti

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Ancora sulla struttura della griglia sono incentrati i folded paintings di Patrick Saytour, sviluppando un andamento lineare che talora cede, indulgendo al decorativo: è questo il caso delle serie intitolate Brûlage [fig. 75] e realizzate nel periodo 1967-’73. In queste ultime, si osservano bruciature metodicamente effettuate su tessuti d’arredo (decorati con pattern floreali) o pellicole di rivestimento plastico, volutamente ordinarie16 nella loro evidente fattura seriale17.

A partire dal 1969-’70 la spinta sociale18 e partecipativa degli artisti confluiti in Supports/Surfaces si era esplicitata dapprima attraverso una serie di presentazioni al di fuori degli spazi espositivi, aperte al pubblico più eterogeneo come nel caso delle spiagge, le piazze e i paesi coinvolti in “Eté 70”, rassegna itinerante lungo la costa francese, fino ai confini italiani e spagnoli19.

In un secondo momento, si era registrato un infittimento dell’enunciazione teorica a seguito della fondazione (1971) a opera di Devade e Cane (con il contributo di Dezeuze e Bioulés) della rivista “Peinture – Cahiers Théoriques”. Questa, d’impronta nettamente marxista, esacerberà presto il dibattito interno al gruppo, conducendo addirittura ad espulsioni ‘politiche’ come nel caso di Viallat, nel 1971 e degli stessi Bioulés e Dezeuze, l’anno successivo.

L’attività espositiva di Supports/Surfaces inizierà progressivamente a scemare, fino al 1974, anno nel quale alcuni artisti rigetteranno l’invito a partecipare a “Nouvelle Peinture en France: pratiques/théories”20

, mostra organizzata dal Musée d’Art et d’Industrie di Saint-Etienne, nella Loira.

“Untel” alla decima Biennale de Paris (Musée d’art moderne de la Ville de Paris, settembre 1977). A

partire dal 1984 la poetica di Cazal – autodefinitosi un “Artiste publicitaire” – si è accentrata sulla ‘sigla’ costituita dal proprio nome (attraverso un logotipo fatto realizzare allo studio grafico Minium di Parigi) e il titolo, sempre uguale, dato alle sue opere: L’artiste dans son milieu. Rapportando criticamente

l’operazione artistica al contesto commerciale, questo è divenuto una sorta di marchio-slogan

pubblicitario. Cfr. E. Grazioli, Arte e pubblicità, Bruno Mondadori, Milano 2001, p.206. Secondo Frank

Perrin, Cazal ha operato “[…] uno slittamento dello spazio del soggetto nello spazio pubblico, il cui risultato è una soggettività riformulata e al contempo una pubblicità reinventata”. Una sorta di definizione “postidentitaria dell’immagine […] personale”. F. Perrin cit. Ivi, p.207.

16 v. R. Rubinstein, op. cit.

17 Di recente, (a partire dal 2010) Saytour ha nuovamente risposto alla vocazione decorativa realizzando larghi pannelli polimaterici, nei quali accosta o sovrappone superfici di linoleum, tessuti e colore acrilico.

La serie è intitolata, in chiarissimo rimando all’esperienza di Supports/Surfaces, Sol/Mur.

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Cfr. R. Rubinstein, op. cit.

19 La rassegna aveva coinvolto Dezeuze, Pagès, Saytour, Valensi e Viallat. v. S. Jamet-Chavigny, op. cit. 20 Cfr. R. Rubinstein, op. cit.

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