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Lasciate le premesse riguardanti il lavoro di Carolee Schneemann negli anni Sessanta, con la riflessione operata dall’artista sul corpo che diventa carta, elemento mobile e femminile, “soft, responsive, tactile, active, malleable”48

, sarà bene adesso focalizzare l’attenzione su un nucleo di lavori (di scrittura bidimensionale e corporea, installativi e performativi) più strettamente attinenti l’argomento della presente trattazione, ovvero le carte da parati e gli elementi loro contigui, nelle emergenze registrate nell’ambito dell’arte contemporanea.

Il lavoro di Tomaso Binga (Bianca Pucciarelli Menna, Salerno 1931) che si intende prendere in considerazione, appartiene al triennio 1976-1978 e si riferisce agli ambiti della Nuova Scrittura – in particolar modo nella lettura offerta da Filiberto Menna – e della Poesia Visuale49, momento espressivo, più che movimento organizzato, del quale Binga si può ritenere una tra le massime esponenti.

La giovane donna, campana d’origine, si trasferisce a Roma nel 1959, a seguito del matrimonio con il critico suo conterraneo Filiberto Menna.

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T.d.A.: “Così Body Collage finì in completo contrasto rispetto alla sua intenzione originale. Una volta coperto il mio corpo con la colla da parati e i brandelli di carta, tutto è diventato così divertente, e

l’immagine così eccitante, da essere molto distante dalla mia intenzione originale”. Ivi, p. 37.

48 T.d.A.:“morbido, sensibile, tattile, attivo, malleabile”. Cfr. nota n.34 di questo capitolo. 49

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Esordendo come artista, decide di modificare il proprio nome assumendo quello, maschile, di Tomaso Binga: il gesto è ironico e al contempo scopertamente polemico nei confronti dell’ambiente artistico, che ancora tende a privilegiare l’artista-uomo a discapito della collega donna, ritenuta maggiormente votata a una dimensione intimistica, strettamente connessa al ruolo – auspicato dalla società, come si è visto – di moglie e madre.

Ironia e polemica si preannunciano essere, sin da quel momento, i due poli interrelati della poetica di Binga, oggi ancora in corso; attraente nella sua costante vitalità e coerenza d’insieme.

La nuova ‘identità’ scelta sulla carta – e spesso fonte di divertito travestimento da parte di Binga: si consideri, tra tutte, la performance del 1977 Bianca Menna e Tomaso Binga

– Oggi Spose50

– nasce dall’assunzione del nome dello zio materno, Tommaso (guardato con ammirazione per la forza caratteriale e la libera creatività che lo contraddistinguevano), storpiato in ‘Tomaso’ assecondando la pronuncia dialettale della moglie, emiliana, unitamente a ‘Binga’, dizione scorretta, fanciullesca, del nome proprio dell’artista51

.

La scelta dello pseudonimo, dunque (pur nell’evidente femminilità di Bianca), indica sin dai primi passi dell’attività di Binga un’attitudine al gioco linguistico, all’alterazione dell’identità che si vuol indicare come dato convenzionale, sovrastruttura non necessariamente corrispondente al dato biologico da una parte e all’interiorità della persona dall’altra.

Parallelamente a tale aspetto, alla poetica e al modus operandi di Binga si incardina ben presto l’attenzione alle teorie discusse e diffuse dal movimento femminista e, con questa, la vicinanza e lo scambio con coetanee quali Carla Accardi, Ketty La Rocca e Mirella Bentivoglio. L’ambito fiorentino della Poesia Visiva, in particolare, viene assiduamente frequentato dalla coppia Binga-Menna e, laddove in Filiberto Menna inizia a manifestarsi una forte attenzione nei confronti delle tematiche e dei modi linguistici degli artisti accostabili alla Nuova Scrittura, come fenomeno posteriore agli anni Sessanta, in Binga si innesta una reale sperimentazione sul campo, data dal potenziamento della scrittura personale – poetica e non, con prime sperimentazioni grafiche – e dal progressivo abbandono delle modalità operative adottate nei primi anni

50 T. Binga, Bianca Menna e Tomaso Binga – Oggi Spose, 1977. Performance, Roma, Galleria Centro D. 51 La spiegazione è stata fornita dall’artista nel corso di una visita al suo studio-atelier romano, il 10 ottobre 2013. Cfr. Appendice I.

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Settanta, con operazioni di “desemantizzazione e risemantizzazione del codice verbale” segnate su contenitori di polistirolo con inserti in collage52.

La desemantizzazione operata da Binga sul linguaggio corrente e su quello poetico è innanzitutto leggibile, seguendo Bentivoglio, come “promozione dell’elemento scritturale a unità poetica: protagonista sarà il gesto. […] Del linguaggio verbale resta il significante elevato a «segno non classificato»53 e in ciò non bisogna trascurare il fattore agente emotivo e di lata automazione psichica, sulla scia delle esperienze, specie di area linguistica inglese, rivolte al flusso di coscienza.

Binga, tuttavia, esplica tale modalità espressivo-scritturale in termini del tutto personali, sottolineando come, nei primi lavori (triennio 1971-’73 circa), il testo letto e assunto in sé e non solamente afferrato con la vista e l’intelletto, fuoriesca in un secondo momento, tornando sulla pagina bianca e depositandosi su di essa “come fiato”54.

La consistenza aerea e labile del fiato, del resto, sembra davvero rispecchiarsi nella grafia privilegiata da Binga, elemento linguistico ibrido (tra scrittura e immagine, tra significato e significante) protagonista dell’azione compiuta, sin dal 1976, sul medium della carta da parati, adottato specificamente in virtù del richiamo esplicito alla dimensione domestica, socialmente intesa come dominio prettamente femminile. Le carte da parati verranno da Binga ‘scritte’ e successivamente – in massima parte – adoperate come sfondo, ambientazione alla performance Io sono una carta (1977)55, segnalando l’adozione non solamente di “un’arte come scrittura”56

ma di una prima interrelazione tra codice verbale e codice visivo, che si allarga integrando non solamente l’elemento ambientale-installativo, ma il corpo stesso dell’artista che a esso si relaziona divenendone specchio e sottolineatura.

L’attenzione all’elemento-carta da parati si registra, in Binga, a partire dai primi mesi del 1976, quelli dell’ideazione dell’intervento ambientale su Casa Malangone (maggio 1976)57 [figg.59,61], nato con l’intenzione di registrare, su vere e proprie pareti

52 Cfr. Appendice I.

53 M. Bentivoglio, “Poesia Visiva”, ad vocem, in G. C. Argan et al., op. cit., p. 465. 54

Cfr. Appendice I.

55 T. Binga, Io sono una carta 1977. Performance, messa in scena in: “Distratti dall’ambiente”, a cura di

B. D’Amore e A. De Flora. I Biennale d’Arte Contemporanea, Riolo Terme (RA), 1977 e Bologna, Galleria Comunale d’Arte Moderna, 1978; “La Metafisica del quotidiano”, a cura di F. Solmi, M. Pasquali. Bologna, Galleria d’Arte Moderna, 1978.

56 Cfr. F. Menna, Fotografia analitica, Narrative art, Nuova scrittura, in R. Barilli et al., op. cit., pp 218- 224.

57 T. Binga, Casa Malangone, 1976. Installazione ambientale, Roma, viale dei Parioli: opera non più esistente. Cfr. Appendice I.

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domestiche, il disagio di un’ipotetica casalinga costretta a vivere e esprimersi nella ridotta dimensione dell’abitazione.

Le carte, scelte ad hoc e acquistate, recano una partizione decorativa alternante bande floreali e spazi vuoti, simili all’andamento grafico di una pagina di quaderno a righe: la scrittura desemantizzata, fortemente allargata e perciò illeggibile che Binga vi traccia [figg. 60, 62], rimanda inoltre da vicino a quella componente diaristica – di espressione intima e di un privato che vuol divenire pubblico58 che spesso si riscontra nel lavoro di artiste impegnate, negli anni Sessanta-Settanta, sul fronte del femminismo. La forma desemantizzata, infine, diviene per Binga codice individuale, eppur di universale suggestione archetipica, giacché reca con sé immediatamente l’ombra di una scrittura che mai tende al geroglifico ma invece si dà come traccia, “segno motivato, profondamente radicato dentro lo spessore delle strutture psichiche del soggetto agente”59

; ciò avvalorato, infine, dall’evidente autografia del segno.

Diventa, a questo punto, del tutto particolare e significativa la consistenza del supporto sul quale la scrittura viene tracciata da Binga con andamento continuo e vicino, come si preannunciava, al flusso di coscienza: seguendo l’analisi che Filiberto Menna compie della scrittura desemantizzata, è possibile notare: “In questo processo di desemantizzazione […], il supporto occupa un ruolo determinante: nello spazio del testo e della comunicazione conta soprattutto la leggibilità immediata della scrittura, per cui il supporto ha una funzione subordinata, il più possibile neutrale, per non intralciare la trasparenza del significato; nello spazio figurale, invece, il supporto interferisce direttamente con i segni, contribuisce a sottolinearne le componenti plastiche e a trasformare il testo in una trama di segni, in texture. Come i significanti grafici, anche il supporto si inserisce nel con/testo con le proprie qualità fisiche e queste diventano, esse stesse, scritture, significanti di una diversa significazione”60

.

Ne deduciamo, per estensione, che al caso del lavoro – di chiara marca femminista – di Binga sulle carte da parati, tale riflessione di Menna possa ben attagliarsi e non solo, legarsi sviluppandosi all’ennesima potenza giacché, da una parte, la texture d’origine verbale si sovrappone alla reale texture decorativa del supporto, che può risultare a tratti disturbante o altrimenti (assecondando l’intento di Binga) elemento di sottolineatura della natura linguistica del segno; d’altra parte, le caratteristiche della carta da parati (tanto concrete, fisiche quanto metaforiche, nel sistema di rimandi simbolici che

58 In risposta al noto slogan femminista “Il personale è politico”. Cfr. nota n.15 di questo capitolo. 59 v. F. Menna, op. cit. 1986, p.224.

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instaurano) unite al segno desemantizzato realmente diventano scritture “significanti di una diversa significazione”61

.

Significazione che, nel biennio 1977-‘78, si rafforza ulteriormente con l’associazione, all’ulteriore proposta di ambienti allestiti con le carte da parati sovrascritte similmente a Casa Malangone62, della performance poetica Io sono una carta [figg. 63-65].

In essa Binga, vestita di un abito realizzato con la medesima carta, si presenta immobile, appoggiata a una parete; talora, animandosi, recita l’omonima poesia da lei composta e in seguito si allontana, sfilandosi l’abito e lasciandolo su una sedia a dondolo. Si tratta della prima performance poetica dell’artista, tuttora attiva in questo linguaggio espressivo.

La ripetizione cadenzata e ossessiva che segna la struttura della poesia, rimarca l’identificazione tra la donna e la carta, nelle sue molte varianti: identificazione che non si rende metafora di una fragile esistenza, ma anzi elemento attivo e reattivo, caratterialmente deciso, come la chiusa della poesia rende evidente:

Io sono una carta a quadrettini, io sono una carta colorata, io sono una carta velina, io sono una carta strappata, io sono una carta assorbente, io sono una carta vetrata, io sono una carta opaca, io sono una carta perforata, io sono una carta trasparente, io sono una carta piegata, io sono una carta semplice, io sono una carta bollata, io sono una carta da imballaggio, io sono una carta da lettera, io sono una carta da parato. Io sono una carta, io sono un cartone, io sono un cartoncino, io sono

una cartuccia e va… sparata!!

Il testo poetico evidenzia ancora una volta l’impegno dell’artista in chiave di rivendicazione femminista; la forzatura del linguaggio (e linguaggio è “parola maschile”, sottolineerà Mirella Bentivoglio63) sposandosi con l’immagine dell’artista

genera un incontro-scontro che trova ulteriore riverbero sulle pareti, laddove ogni elemento presente è, ancora una volta, brandello di carta da parati incorniciata o cornice vuota che inquadra una porzione della medesima superficie murale.

L’idea di frammento di parato sovrascritto, sfondo d’immagine (nel collage) o elemento di per sé stesso efficace, tornerà in una breve serie di opere realizzate da Binga ancora

61

Ibidem.

62 Cfr. nota n.54 di questo capitolo.

63 M. Bentivoglio, Post Scriptum, in A. M. Fioravanti Baraldi (a cura di), Post Scriptum, Artiste in Italia tra linguaggio e immagine negli anni Sessanta e Settanta. Catalogo dell’VIII Biennale Donna, Ferrara,

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nel periodo in esame, e pubblicate nel libro d’artista … & non uscire di casa (1977)64, che offre anche una ricca documentazione fotografica dell’ambiente di Casa Malangone e si apre con una lunga poesia-elenco di restrizioni rivolte dall’uomo alla figura femminile, dolce-amara riflessione che rinserra e racchiude il senso del lavoro fin qui ricordato.

… & non uscire di casa … & aspetta che ti telefoni

… & non guardarti troppo allo specchio … & il mio lavoro

… & gli amici

… & il tempo è nuvoloso … & il fuoco si spegne … & aspettami

… & non uscire

… & la camicia deve essere pronta … & dove sono le pantofole … & non ti amo più

… & non uscire di casa

… & le tue amiche sono noiose … & il tuo lavoro è inutile … & il gatto è fuggito … & il buio

… & il vento … & l’angoscia … & le solite cose … & la pasta è scotta … & io lavoro

… & l’acqua alle piante … & resto fuori a cena … & la noia

… & i giorni semplici … & le ore complicate … & le mèches

… & le rughe … & il cuore

… & non uscire tardi … & andare via … & la casa … & non uscire

64 T. Binga, … & non uscire di casa, La Nuova Foglio Editrice, Pollenza (MC) 1977. Il testo presenta una

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… & quanto rompi … & il convegno … & l’altra … & la vita … & tu aspettami … & la polvere … & il gatto è morto … & i sogni

… & la foto … & il lavoro

… & il canto degli uccelli … & la gabbia

… & l’odore del fieno … & tu guardi oltre … & le parole sui muri … & i miei pensieri … & il mio occhio … & la fine … & la casa … & non uscire

Com’è evidente dalla lettura del componimento e da quella delle opere fin qui descritte, il lavoro di Binga ha offerto un singolare esempio – che possiamo definire, specie alla luce del ricorso alla scrittura sperimentale e alla lingua poetica, di marca culturale italiana – di commistione tra intento critico e politico, ironia e gioco semantico.

Di particolare valore appaiono, soprattutto se contestualizzate entro questa ricerca, l’azione site-specific sulle pareti di Casa Malangone e la performance Io sono una carta, poiché sono entrambe testimoni di un gesto polemico-poetico che investe l’intero spazio della rappresentazione e della narrazione, invadendo le pareti e diversi elementi ‘mobili’ (gli oggetti presenti, fino a giungere all’artista stessa) attribuendo un ruolo cruciale alle carte da parati e alla loro ‘trasformazione’ attraverso il gesto dell’artista. Quest’ultimo, chiaramente, non crea ex novo decori e modelli di tappezzeria ma, avvalendosi di prodotti commerciali, ordinari, interviene sulla superficie di quelli creando trame di segni e rimandi linguistici dal sotteso potere evocativo: in tal senso, la pratica di Binga si offre davvero come un unicum, trovando dei possibili rimandi solamente nell’attuale lavoro del bulgaro Nedko Solakov e nella sua pratica di scrittura e disegno su carta da parati65.

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Nell’opera dell’artista italiana, dunque, nel triennio 1976-1978, il medium qui in esame è stato letteralmente ‘tratto’ dallo spazio in background per divenire elemento di attenzione, portato al primo piano; l’artista ha, in tal senso, ancora compiuto un passo ulteriore con l’‘agire’ la carta, rendendola materia identitaria e mobile, non solamente ‘pagina’ da sovrascrivere ma vero e proprio abito da addossare alla propria pelle e alla propria esperienza.