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I.1. Un possibile precedente: Yayoi Kusama, gli endless pattern e Aggregation: One Thousand Boats Show (1963).

I.2.4. Una carta da parati dedicata all’infanzia: Fish (1983).

Un ultimo wallpaper, Fish [fig. 28], è stato realizzato nel 1983, come fondale per una mostra del tutto particolare: “Andy Warhol. Paintings for Children” [fig. 29], tenutasi alla Galerie Bruno Bischofberger di Zurigo255.

L’idea dell’esposizione, così come l’iniziativa di produrre il pattern, sono nate dal gallerista svizzero il quale, conoscendo il particolare feeling esistente tra le immagini di Warhol e il “pubblico” costituito dai più piccoli, commissionò nel 1982 un piccolo gruppo di opere ad essi dedicate256. Warhol rispose con la realizzazione delle Toy paintings, incentrate su temi cari all’infanzia quali i giocattoli e gli animali e presentate in mostra, nell’83, con un allestimento inusuale, che vedeva i quadri collocati all’altezza dello sguardo di un visitatore “ideale”, tra i tre e i cinque anni d’età. A completare l’allestimento, come preannunciato, il background costituito da Fish, wallpaper formato

254

Intendendo qui richiamare l’etimologia latina primaria del termine persona, riferita alla maschera e non al volto.

255 “Andy Warhol. Paintings for Children”. Zurigo, Galerie Bruno Bischofberger, 3 dicembre 1983-14 gennaio 1984

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dalla reiterazione di un pesce d’argento su un fondo beige chiaro: non sono stati individuati dipinti all’origine del parato né esistono opere su tela derivate da esso ma unicamente, come ricordato nel Catalogue Raisonné delle Stampe di Warhol257, tre stampe annoverate nella categoria “Unpublished prints” e, in particolare, tra i “Personal Projects” dell’artista258

. La prima è una serigrafia su foulard di seta259 ideata e realizzata come dono natalizio; nel secondo caso, si segnala una stampa omonima260 in due versioni cromatiche.

Il parato sarà l’ultimo realizzato dall’artista: dopo la sua scomparsa, la Andy Warhol Foundation for the Visual Arts (New York) proporrà una breve serie di ristampe dei cinque soggetti ideati tra 1966 e ’83, limitatamente all’allestimento di mostre o spazi museali.

E’ da sottolineare, seguendo quanto rimarcato nel catalogo dell’Andy Warhol Museum di Pittsburgh, come tali wallpaper non siano mai stati – e non sono intesi per essere – aperti alla produzione e alla diffusione commerciale.

Per quanto riguarda, invece, l’ideazione di pattern, è da segnalare come nella bibliografia warholiana si trovi notizia di un progetto per wallpaper rimasto inedito alla morte dell’artista.

I.2.5. Il progetto irrealizzato del wallpaper ‘Skull’ (1986-‘87 c.) e l’ipotetico confronto con simili soggetti di Felice Levini e John Armleder.

Esaminando la bibliografia più strettamente inerente ai wallpaper di Andy Warhol, si è riscontrata la stringata notizia di un progetto rimasto inedito alla morte dell’artista: un nuovo decoro che avrebbe dovuto incentrarsi sulla rielaborazione e ripetizione del motivo del teschio, inteso evidentemente come moderna vanitas o ancor meglio, come

257 F. Feldman, J. Schellmann (a cura di), op. cit., scheda IIIA, p39. 258

v. Ivi, p.244.

259 A. Warhol, Fish, 1983. 90,2 x 90,2 cm. La stampa presenta due sagome in argento su fondo bianco. V. Ivi, p.244. Scheda IIIA.40.

260

A. Warhol, Fish, 1983. Due versioni cromatiche: una con i pesci stampati in rosso-giallo su fondo blu,

l’altra con i pesci in fucsia su fondo giallo, con la medesima combinazione cromatica del primo wallpaper Cow, 1966. Le stampe,serigrafie su carta Saunders Waterford, sono state realizzate – come il foulard – da Rupert Jasen Smith, New York. v. Ibidem. Scheda III.A.41 a,b.

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ricordato da Ronnie Cutrone, assistente dell’artista, soggetto classico nella storia dell’arte capace di porsi come ‘ritratto’ di qualsiasi uomo e qualsiasi donna261

[fig. 30]. Un ritratto che, incidentalmente, potesse riprodursi in numerose varianti e copie e, così facendo, fungere da contraltare alla gran quantità di ritratti su commissione eseguiti costantemente dall’artista per uomini e donne appartenenti al jet-set e al mondo dello spettacolo262.

Il cenno al progetto incompiuto si rileva negli Atti del Convegno “The Work of Andy Warhol”, tenutosi alla DIA Art Foundation di New York nel 1988: in particolare nel saggio Skulls di Trevor Fairbrother263, dedicato allo sviluppo del tema nel corso degli anni, nonché nell’appendice al volume, recante la descrizione delle mostre di Warhol tenutesi presso la DIA Art Foundation nel triennio 1986-1988264. In questi si legge come l’artista avesse progettato la realizzazione di un wallpaper basato su uno dei disegni appartenenti alla serie dedicata ai teschi, come opera da utilizzare sullo sfondo di una personale dal titolo “Andy Warhol: Skulls 1976” la cui apertura era in programma per la fine del 1987. In effetti la mostra, curata da Gary Garrels, ebbe luogo nel 1987-’88265 e consistette nella presentazione, su mura semplicemente tinteggiate di bianco, di cinquanta opere: collage su base serigrafica, dipinti e disegni recanti varianti compositive e cromatiche del tema del teschio.

Quello della morte è stato un tema ampiamente presente nella riflessione e nell’oeuvre di Warhol sin dagli anni Sessanta, e ampiamente dibattuto: si ricordi, tra tutti, il già citato saggio di Hal Foster Death in America (1996), che riprende esattamente l’ipotetico titolo previsto dall’artista per la prima personale in Europa, ovvero quella tenutasi a Parigi, alla Galerie Ileana Sonnabend, nel 1964, infine intitolata semplicemente col nome dell’autore.

La morte, dunque, come unico destino universale nonché come inevitabile e paradossale opposto del ‘sogno’ o del lifestyle americano, come evidenziato dalle serie di opere dedicate, dal 1962, a tragici decessi di persone comuni o alle splendide fattezze, ormai inerti, della diva Marilyn Monroe266.

261 “[…] like doing the portait of everyone in the world”. R. Cutrone, parte di una testimonianza rilasciata a T. Fairbrother. Cit. in

262

Cfr. T. Fairbrother, Skulls in G. Garrels (a cura di), op. cit, p.97. 263

Cfr. T. Fairbrother, Skulls in G. Garrels (a cura di), op. cit., pp.93-114. 264 v. Warhol Exhibitions in G. Garrels (a cura di), op. cit., pp.187-195. 265 V. nota n.89.

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Anche l’ultimo multiplo firmato da Andy Warhol poco prima della sua scomparsa, un’edizione speciale su base fotografica per “Parkett”267

, recava un preciso riferimento alla tematica fin qui ricordata, consistendo nella quadruplice composizione – con le singole parti assemblate mediante una cucitura a macchina – di una breve fila di scheletri appartenenti alla Classe di Anatomia della New American Academy of Art268, descritta come un’immagine, ‘tratta ai raggi-x’, di anonimi partecipanti ad un cocktail- party269.

Se fosse stato realizzato, l’ipotetico ‘Skull’ o ‘Skulls wallpaper’ avrebbe parossisticamente riverberato, associandosi alle numerose opere affisse alle pareti tappezzate della DIA Art Foundation, le fattezze del teschio rendendo ancor più vane e indistinguibili identità e connotazioni personalistiche, portando – forse – a una sparizione dei tratti simile a quella osservata nell’autoritratto in camouflage, soggetto dell’ultima serie (titolata semplicemente Self-portrait) dedicata dall’artista alla propria immagine, nei primi mesi del 1986.

Al momento dell’ideazione del wallpaper, un’opera con soggetto simile era già stata realizzata, in tutt’altro ambito geografico e con diversi intenti e modalità operative: si tratta di Carta da parati a morte [fig. 31] di Felice Levini (Roma 1956), presentata alla Galleria La Salita di Roma nel 1981.

L’artista appartiene al gruppo dei Nuovi-nuovi, riunito da Renato Barilli e presentato, nella primavera 1980, in una mostra curata da Barilli, Francesca Alinovi e Roberto Daolio alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna270

.

L’opera risale ai primi anni d’attività di Levini e testimonia di un’iconografia che diverrà caratteristica di un vocabolario personale formalmente caratterizzato da una precisa manualità: quest’aspetto è piegato, tuttavia, alla reiterazione di emblemi e simboli che si avvicinano a segni stereotipi o veri e propri caratteri di stampa. In particolare, il pattern è generato manualmente con l’ausilio di un timbro esagonale recante la forma di un teschio con una stella sulla fronte: il segno non è preciso ma si affastella a creare chiaroscuri e tratti che ne rivelano l’origine manuale.

267 A. Warhol, edizione in 120 esemplari per “Parkett”, n.12, marzo 1987. 268

Cfr. Ivi, p.111; AA.VV., “Parkett”, n.12, marzo 1987. 269 Cfr. Ibidem.

270 Cfr. F. Alinovi, R. Barilli, R. Daolio, “Dieci anni dopo. I nuovi nuovi”. Catalogo della mostra a cura di

R. Barilli, Bologna, Galleria d’Arte Moderna, 15 marzo-1980. GRAFIS, Bologna 1980; F. Irace, F. Moschini (a cura di), “Anniottanta”. Bologna, Galleria comunale d’arte moderna; Imola, Chiostri di San

Domenico; Ravenna, Chiostri della Loggetta Lombardesca e Biblioteca Classense; Rimini,Castel Sismondo, Palazzina Mostre, Chiesa di Santa Maria ad Nives, 4 luglio-30 settembre 1985. Catalogo della mostra, Mazzotta, Milano 1985.

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Nella recensione della mostra “Breve, e forse eroica, recita” tenuta da Levini alla Galleria Planita di Roma271 nel 1991-1992 e ancora incentrata sulla ripetizione del segno, si cita l’opinione legata dall’artista alla procedimento reiterazione iconica presente già nelle sue prime opere e, in particolare, con l’utilizzo dei timbri-teschio della carta da parati: Levini definisce questi simboli “tante piccole risate”272

e tale accezione concorre definitivamente a chiarire la natura dell’immagine, sdrammatizzata proprio attraverso l’accumulo e la reificazione del simbolo, ridotto a pittogramma moderno.

Una nuova versione della Carta da parati a morte è stata prodotta da Levini nel 2013 e presentata ancora a Roma, alla Galleria La Nuova Pesa, nella personale “Felice Levini. La pulce nell’orecchio”, tenutasi tra il 17 ottobre e il 17 novembre 2013.

Il tema del teschio, ancora in anni recenti, è stato posto al centro del pattern di una carta da parati da John Armleder, artista svizzero del quale si tratterà nel Capitolo terzo: l’opera, intitolata Lubantuun [fig. 32] e realizzata nel 2002, è un wallpaper con fondo bianco e la riproduzione, in color oro, di teschi dalle dimensioni all’incirca corrispondenti alla realtà.

L’ironia caratteristica dell’intero lavoro di Armleder e dispiegatasi spesso nell’aspetto formale delle opere si evidenzia, in questo pattern, attraverso il riferimento nominale al sito archeologico di Lubantuun, in Belize: al luogo si lega, infatti, la nota vicenda del ‘Teschio di cristallo’, ovvero il ‘Teschio Mitchell-Hedges’, manufatto in cristallo di quarzo spacciato, nel Novecento, per un misterioso ritrovamento archeologico da parte di Frederick Albert e Anna Mitchell-Hedges. L’esploratore e la figlia avevano riferito la scoperta al 1924 e all’area di Lubaantun, al tempo facente parte dell’Honduras Britannico, alimentando la diffusione di leggende e superstizioni legate a presunti poteri sovrannaturali273.

Entrambi i pattern ai quali si è fatto cenno, dunque, mostrano caratteri decisamente differenti rispetto all’opera progettata da Warhol a metà anni Ottanta rivelando, non in ultimo e per contrasto, una più stringente e drammatica adesione di quello al tema rappresentato dal teschio.

271

“Breve, e forse eroica, recita”, mostra di Felice Levini presentata da L. Pratesi. Roma, Galleria Planita, 12 dicembre 1991, 18 febbraio 1992.

272 F. Levini cit. in G. Villa, Felice Levini – Planita in “Flash Art”, febbraio-marzo 1992, p.122.

273 Cfr. G. Scarpelli, Il cranio di cristallo: evoluzione della specie e spiritualismo, Bollati Boringhieri, Torino 1993.

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Tema che avrebbe aggiunto un vero e proprio acme nella citata esposizione monografica tenutasi presso la DIA Art Foundation nel 1987-’88, confermando un soggetto più volte ritenuto cruciale nell’oeuvre di Warhol e veicolato, efficacemente, attraverso le multiformi possibilità offerte dalla produzione seriale.