• Non ci sono risultati.

All’incirca nello stesso momento si sviluppano, come si diceva, negli Stati Uniti – in un contesto culturalmente e geograficamente distante, ma similmente connotato dalle caratteristiche della periferia a sud: la California – il dibattito e la condivisione d’intenti che porteranno alla formazione di Pattern and Decoration21.

Il movimento, interpretato variamente come tardo-modernista in un momento storico ormai distante dalla concezione stessa di “movimento”22

o altrimenti, dai suoi stessi componenti, come primo tra i post-modernisti, è formato da undici artisti e conta, a differenza di quanto osservato nell’esperienza di Supports/Surfaces, una larga presenza femminile che ne sarà anima e vero fulcro, apportatrice di importanti stimoli teorici. Cynthia Carlson, Brad Davis, Valerie Jaudon, Jane Kaufman, Joyce Kozloff, Robert Kushner, Kim MacConnel, Tony Robbin, Miriam Schapiro, Ned Smyth, Robert Zakanitch possono considerarsi in certo senso, con la loro azione comune, precursori di quella che, negli anni Ottanta, diverrà la prassi operativa dell’appropriazionismo e dell’ibridazione mediale e linguistica; una prassi che in maniera non trascurabile toccherà la sfera decorativa e ‘ordinaria’ delle carte da parati o le sue componenti caratteristiche.

Klaus Honnef, che in diverse occasioni si rivelerà favorevole alle istanze poste dal gruppo23, ne sottolineerà il ruolo di apripista in una, successivamente estesa, “tendenza storica, eclettica e pluralistica”24

che impernia le sue pratiche sulla negazione di distinzioni gerarchiche tra canone ‘alto’ e ‘basso’, tra opera d’arte e ‘merce’. Il parere del critico non può che essere condiviso, specie alla luce delle varietà di stimoli stilistici e iconografici che Pattern and Decoration fa coesistere, entro superfici pittoriche dall’andamento non convenzionale, aniconico, estensibile ad libitum.

21 Movimento indicato, talvolta, come “P&D” o, più genericamente, “Pattern Painting”. 22

Si veda il parere di Arthur C. Danto nel saggio Pattern and Decoration as a Late Modernist Movement

in A. Swartz (a cura di), “Pattern and Decoration. An Ideal Vision in American Art, 1975-1985”. New

York, Hudson River Museum, ottobre 2007- gennaio 2008. Catalogo della mostra, Hudson River Museum Ed., New York 2007, pp. 7-11.

23 Honnef dichiarerà ad esempio, a proposito di Pattern and Decoration: “Il primo impulso per il

cambiamento drammatico nell’arte contemporanea fu fornito da un movimento artistico di carattere così

tipicamente americano che in Europa venne preso in considerazione solo incidentalmente e con

sufficienza. […] Con la Pattern & Decoration l’arte contemporanea ha riconquistato una dimensione sociale che per motivi concettuale le era stata negata dall’avanguardia”

K. Honnef, op. cit., p.62 24 Ivi, p.70.

148

Pattern and Decoration debutta sulla scena espositiva statunitense con la mostra “Ten Approaches to the Decorative”25, curata da Jane Kaufman all’Alessandra Gallery di

New York e organizzata da Miriam Schapiro, artista tra i fondatori del movimento. Insieme a Schapiro sono stati, in primis, Kushner e MacConnel a maturare l’esigenza di un rinnovamento della propria pittura, a partire dalle lezioni tenute alla University of California di San Diego, nell’Anno accademico 1969-1970, da Amy Goldin in qualità di Visiting Professor. Goldin, autorevole studiosa di arte islamica, appassiona gli allievi aprendo nuove possibilità alla comprensione di forme aniconiche, prettamente decorative, extraeuropee: un invito che presto viene accolto, in un senso non scevro da implicazioni d’ordine socio-politico, dai giovani artisti.

Gli interrogativi posti da Goldin stimolano la riflessione intorno al ‘valore’ e al ‘significato’ dell’espressione artistica26

generando, dapprima in Kushner, l’ipotesi che decorazione, arte figurativa e arte astratta possano trovarsi su uno stesso piano proprio in virtù del significato esplicito e che anzi, a seguito delle proposte dell’Arte Concettuale e del Minimalismo, proprio la decorazione possa servire a umanizzare o piuttosto ri-umanizzare l’espressione artistica27.

A ciò si aggiunge la fondamentale proposizione secondo la quale forme legate esclusivamente al pattern e a una disposizione a griglia, assolutamente non gerarchica ma anzi “centrifuga”28

, possano fornire, di per sé stesse, un significato autonomo e non meramente legato a una struttura – prioritaria e portante – “da abbellire”. Un’affermazione, questa, di cruciale importanza nella lettura del wallpaper come opera d’arte – basato proprio sulle strutture del pattern e della griglia formale, che assumono dignità di primo piano – che qui s’intende sostenere.

Dall’incontro con Amy Goldin i due artisti iniziano ad attingere a piene mani, nel proprio modus operandi, al repertorio formale ed estetico caratteristico delle arti ‘minori’ o, altrimenti, delle culture non-occidentali, conciliandone diversi ‘frammenti’ nelle tecniche pittoriche e nel collage. Il critico Jeff Perrone, in particolare, definirà l’intero percorso di Pattern and Decoration alla luce della pratica del collage: un collage “letterale” o “metaforico”, laddove nel primo caso si opera un esplicito accostamento di

25 Cfr. J. Perrone, Approaching the Decorative, in “ArtForum”, Vol. XV, n. 4, dicembre 1976, pp. 26–30. 26 In ciò accostandosi anche al pensiero di Danto, che sottolinea: “My own effort as a philosopher of art has been to replace aesthetics of form with aesthetics of meaning, grounded in a definition of an artwork as the embodiment of meaning”. A. C. Danto in A. Swartz (a cura di), op. cit., p.10.

27

Cfr. Ibidem.

28 A. Goldin, Patterns, Grids and Painting in “Artforum”, settembre 1975, p. 54. Il concetto anticipa, significativamente, quanto notato da Rosalind Krauss nel saggio Griglie, già citato, del 1978.

149

materiali eterogenei e nel secondo caso, quello del collage come metafora, gli elementi “sono stati decontestualizzati e quindi stratificati, non meramente giustapposti”29

.

Kushner e MacConnel, così come gli altri sodali del movimento, rimarranno per tutto il decennio di Pattern and Decoration (e oltre) legati a quelle che Kushner ricorda essere le tre caratteristiche fondamentali della decorazione come trasmesse da Goldin nel corso delle lezioni: l’essere piatta, dilatabile e subordinata a una visione d’insieme30

.

È tuttavia sul versante femminile del movimento che maturano le proposizioni più radicali, soprattutto da un punto di vista critico che si rivela saldamente strutturato e significativo in riferimento a possibilità espressive considerate ‘minori’, non in ultimo il medium del wallpaper. Nel 1977 viene infatti pubblicato, sul quarto numero della rivista “Heresies: A Feminist Publication on Art and Politics”, fondata nel medesimo anno da un gruppo di “autocoscienza femminista” del quale fanno parte Miriam Schapiro, Joyce Kozloff, Lucy Lippard e molte altre artiste e critiche, un fondamentale pamphlet dal titolo “Art Histerical Notions” of Progress and Culture, a firma di Joyce Kozloff e Valerie Jaudon, artiste operanti nel movimento in esame.

Nello scritto le autrici intendono contrastare e smascherare, “come femministe e artiste che esplorano il decorativo” nella propria pittura, “l’uso peggiorativo del termine «decorativo» nel mondo dell’arte contemporanea” basato su dicotomie gerarchiche quali “arti maggiori – arti minori, arte Occidentale [sic] – arte non-Occidentale, arte maschile – arte femminile” radicate in un sistema centralizzato che è necessario esaminare e decodificare31. A tal fine procedono dapprima con l’elencare termini associati alla cosiddetta “arte maggiore” e dunque alla “arte minore”, inserendo nella seconda categoria parole-chiave quali “[…] donne, bambini, selvaggi […] decadenza, caos, anarchia […] artificio […] ornamento, decorazione, tappeti, arazzi, pattern, vita familiare, carta da parati, tessuti e mobilio”; allegano infine una lunga serie di citazioni

29 T.d.A. v. J. Perrone, op. cit., p.26. Cit. in A. Swartz (a cura di), op. cit., pp.24-25. 30

R. Kushner cit. ivi, p.26. Per tali concetti risulta chiarificatrice, in un senso ben più ampio, la lettura di E.H. Gombrich, Il senso… op. cit.

31

T.d.A. Testo originale: “As feminists and artists exploring the decorative in our own paintings, we were curious about the pejorative use of the word «decorative» in the contemporary art world. In rereading the basic texts of Modern Art, we came to realize that the prejudice against the decorative has a long history and is based on hierarchies: fine art above decorative art, Western art above non-Western art, men’s art

above women’s art. By focusing on these hierarchies we discovered a disturbing belief system based on

the moral superiority of the art of Western civilization. We decided to write a piece about how language

has been used to communicate this moral superiority”. V. Jaudon, J. Kozloff, “Art Hysterical Notions” of Progress and Culture in “Heresies: a Feminist Publication on Art and Politics” n.4, inverno 1977-’78,

150

da dichiarazioni d’artista nonché scritti teorici e critici di larga diffusione32

, categorizzati a seconda dell’argomento.

Più precisamente, nella colonna dedicata al tema “Decorazione e vita domestica” si legge: “L'antitesi della violenza e della distruzione idolatrate dall’Arte Moderna è la cura dell'ambiente domestico. (Se l'umanesimo è identificato con il dinamismo, la decorazione è vista come sinonimo di statico). Un metodo che il «modernismo» ha utilizzato per screditare gli avversari è stato quello di associare il loro lavoro con i tappeti e la carta da parati”33. L’articolo-pamphlet si conclude con il ringraziamento a

Amy Goldin, che lo ha reso possibile con le proprie idee e l’incoraggiamento alle autrici.

Nel 2001, Kozloff preciserà come, data la sua formazione umanistica, la propria arte sia scaturita innanzitutto dal linguaggio e dal pensiero34: osservandone alcuni esempi notiamo infatti come le proposizioni critiche appena citate si rispecchino nell’interesse per le trame e i pattern di qualsivoglia provenienza culturale, nonché nell’attenzione per l’environment che risulta evidente nella serie An Interior Decorated, intrapresa nel 1978 e conclusa nell’80 con diverse esposizioni tra New York e Washington. In quest’ultima, si osserva una profusione di tessuti stampati e affissi alle pareti[fig. 76], e mattonelle disposte al pavimento, che intende porsi quale repertorio, più vasto possibile, di motivi decorativi occidentali e orientali. La serie emblematizza uno degli aspetti fondamentali dei lavori confluiti in Pattern and Decoration, ossia il linguaggio operativo volutamente in bilico tra arte e artigianato, tra comunicazione ‘alta’ e adesione a un’imagerie popolare, alla portata dei più vasti strati della società.

Tra gli altri artisti, notiamo un largo ricorso alle carte da parati – come elemento da adoperare in collage – da parte di Miriam Schapiro (Toronto, Canada, 1923), con risultati piatti e iperdecorativi, e di Cynthia Carlson (Chicago, 1942) che, a partire dal 1974, realizza wallpaper come “varianti della pittura”35. Si veda, a titolo d’esempio, la

32

Le autrici spaziano dal Loos di Ornamento e delitto, 1908, all’Arnheim di Arte e percezione visiva, 1954; dal Kandinskij de Lo spirituale nell’arte, 1912 ad Aldous Huxley che nel ’47 descrive Cathedral di Pollock come un wallpaper o, ancora, al pensiero di Picasso e Diego Rivera, Gabo e Pevsner e molti altri. 33T.d.A. Testo originale: “The antithesis of the violence and destruction idolized by Modern Art is the visual enhancement of the domestic environment. (If humanism is equated with dynamism, the decorative is seen to be synonymous with the static). One method «modernism» has used to discredit its opponents

has been to associate their work with carpets and wallpaper”. V. Jaudon, J. Kozloff, op. cit., p.42.

34 J. Kozloff in L. Burkard, Pattern and Decoration: A Conversation with Valerie Jaudon, Joyce Kozloff and Robert Kushner in K. Ohrt, L. Burkard (a cura di), “Pattern: Between Object and Arabesque“,Odense, Kunsthallen Brandts Klaedefabrik, , aprile-maggio 2001. Catalogo della mostra, DK

Odense 2001, p. 78.

151

Wallpaper Installation [figg. 77, 78] realizzata da Carlson, nel 1976, presso la Hundred Acres Gallery di New York: alle pareti, i rotoli di carta da parati non sono realmente stampati ma dipinti a mano, con un segno spesso e regolare che dichiara fieramente la sua matrice pittorica. L’installazione fa parte di una serie di lavori realizzati tra il 1980 e l’82 circa, con una precisa attenzione alle modalità di decoro domestico tipiche della middle-class americana36.

Tra i critici internazionali, anche Harald Szeemann si occuperà di ciò che definisce “Patterning or Decoration Art”, in un articolo pubblicato in “du – The Art Magazine” nel giugno 197937. La trattazione si sofferma sul lavoro di Miriam Schapiro e in particolare sulle caratteristiche del “femmage”, termine coniato dall’artista per descrivere le caratteristiche tipiche del lavoro femminile, secondo il ruolo assegnatogli dalla storia e mutuato dalla società attuale. Tra queste, le immancabili attività di ritaglio, collezione e assemblaggio e, infine, di “patterning” e decorazione38

.

Szeemann ricorda, inoltre, la fondamentale suggestione esercitata sul gruppo di Pattern and Decoration dal lavoro dell’ultimo Matisse39

, riferendosi in particolare alla fase dell’”Orientalismo” e delle “Gouaches découpées”, consapevolmente richiamate nel lavoro del movimento. In chiusura, lamenta come l’imbrigliamento della produzione di Pattern and Decoration nelle sempre più strette maglie del mercato dell’arte40

costringa – a causa di un’eccessiva pressione esercitata sugli artisti – ad analizzare e valutarne maggiormente le premesse teoriche rispetto ai prodotti finali. Nota tuttavia, come una recente circostanza espositiva della Pattern painting quale quella degli inizi del 1979 a Bruxelles, Palais des Beaux-Arts, abbia mancato l’occasione di un confronto critico con il contesto europeo e con artisti il cui interesse per i pattern Szeemann ritiene “congeniale” a quello degli statunitensi, seppur non fine a sé stesso come in quel caso,

36

v. ancora C. Carlson, Richmond, circa 1980, 1980. Installazione murale presso l’Institute of Contemporary Art di Richmond. Cfr. J. Tannenbaum, On the wall. Wallpaper by contemporary artists in J. Tannenbaum, M. Boulton Stroud (a cura di), op. cit., p.20.

37 H. Szeemann, Retrogression and Progression Towards the “Dignity of the Decorative” in “du – The

Art Magazine”, n.6, giugno 1979, n.p.

38

Ibidem. 39

Cfr. M. Oliver Hapgood, op. cit., pp.231-233. Ancora, come nota Anne Swartz nel catalogo più volte citato, il riferimento a Henri Matisse – del resto condiviso con Supports/Surfaces e molti altri artisti attivi in quel momento – è stimolato negli anni Settanta non solamente dal lascito delle retrospettive del

decennio precedente, ma soprattutto dalla grande mostra nel centenario della nascita dell’artista, curata da

Pierre Schneider al Grand Palais di Parigi e, per quanto riguarda le Gouaches découpées, dalla mostra

itinerante “Matisse: The Cut-Outs”, partita nel settembre-ottobre 1977 dalla National Gallery of Art di

Washington, a cura di J. Cowart e J. Hallmark Neff. Anne Swartz cita anche l’articolo di Amy Goldin,

Matisse and Decoration: The Late Cut-Outs in “Art in America”, luglio-agosto 1975, pp.49-59. 40 Il riferimento è, in particolare, alla Holly Solomon Gallery di New York.

152

ma piuttosto parte di una procedura concettuale che coinvolge una riflessione sui canonici termini formali di pittura e sfondo41. Tra gli artisti chiamati in causa da Szeemann, appaiono indicativi i nomi di Daan van Golden, Konrad Lueg (pseudonimo di Kondrad Fischer) e del ben più noto Sigmar Polke.

Di Daan van Golden (1936, Rotterdam, Olanda) è possibile considerare, riguardo al periodo preso in esame, una omogenea ma concisa produzione, giacché il suo lavoro tra il 1968 – anno della massima visibilità, a dOCUMENTA 4 – e il ’78 verrà volontariamente eclissato dalla scena pubblica. Accostato talora a modalità espressive Pop, il suo linguaggio potrebbe allo stesso modo ben inquadrarsi nell’appropriazionismo che diverrà cifra specifica degli anni Ottanta. La sua opera, infatti, al pari di una pratica Zen, deriva tutta da quanto avviato nel 1963-64, biennio della sua permanenza in Giappone, con l’attenzione formale e la precisa traduzione, su tela o carta, di alcuni modelli decorativi nipponici. Nelle esposizioni e nelle letture critiche, van Golden è stato spesso associato a Sigmar Polke nell’ottica di in una variante europea della Pop Art.

Szeeman, allo stesso tempo, chiama in causa il circoscritto lavoro di Konrad Lueg (pseudonimo utilizzato nel 1963-1968 da Konrad Fischer, Düsseldorf 1939-1996), incentrato in larga parte sulla ripresa, su medium pittorico, di pattern floreali o geometrici appartenenti alle carte da parati o a ritagli di carta stampata. Compagno di studi all’Accademia di Düsseldorf di Richter e Polke, l’artista cesserà l’attività nel 1967, al momento dell’apertura della Konrad Fischer Galerie a Düsseldorf.

Sigmar Polke (Oleśnica, Polonia, 1941 – Colonia, Germania, 2010), infine, è contraddistinto da una lunga e multiforme carriera42 e da un pensiero operativo che è stato definito quasi alla stregua di un procedimento alchemico43 che trasfigura, adottandoli a uno stesso livello, spunti tratti da diversi canoni estetici e da diversi ambiti percettivi. Riguardo al suo lavoro, Dierk Stemmler parlerà di “contraddizioni mediali, con formule e materiali che conciliano l’inconciliabile: il bello e il brutto […], l’opulento e il povero”44

.

41 H. Szeemann, op. cit.

42 Cfr. K. Halbreich, L. Tattersall, M. Schaefer (a cura di), “Alibis: Sigmar Polke 1963-2010“. The Museum of Modern Art, Ney York, aprile-agosto 2014; Tate Modern, Londra, ottobre 2014– febbraio 2015; Museum Ludwig, Colonia, marzo-luglio 2015. Catalogo della mostra, Ed. Museum of Modern Art, New York 2014.

43 cfr. K. Honnef, op. cit., p.80. 44 Ibidem.

153

Nota caratteristica di Polke, particolarmente interessante nell’ambito della presente tesi, è la combinazione di pittura e collage adottata nelle Fabric Pictures, opere realizzate non su convenzionali tele ma su tessuti d’arredo45

, decorati con policromi e comunissimi pattern (pois, fiori, decori geometrici) o, ben più raramente, su fondi di carte da parati commerciali [fig. 79]. Tale scelta operativa connota un filone intrapreso nel 1964 e che giungerà fino al termine della sua carriera 46, confermando la propensione di Polke per una “sfida allo status quo delle convenzioni artistiche”47

mediante una poliedrica ricerca formale che ha attraversato stili e soggetti dell’arte

45 Materiali simili si riscontrano, in Italia, nei collage polimaterici di Enrico Baj (Milano 1924- Vergiate

2003) e nella serie di “Tappezzerie” realizzate da Cesare Tacchi (Roma 1940-2014). I collage e

assemblage del primo artista hanno, come noto, fatto largo ricorso alle tappezzerie tessili, sin dai primi anni Cinquanta. Baj ha esordito appena prima, fondando nel 1951 a Milano, insieme a S. Dangelo, il Movimento Nucleare (redigendo poi, nel ’52, un Manifesto della pittura nucleare), che mirava alla proposta di nuove forme pittoriche di segno, non figurative, che potessero corrispondere alle istanze espressive del presente.

Le opere polimateriche di Baj sono nate da suggestioni dada e surrealiste: l’approccio combinatorio di

oggetti e forme eterogenee, da parte dell’artista, è sfociato in una miriade di personaggi e figure (in

special modo militari o comunque parodisticamente affini alle figure delle gerarchie di potere), sempre

precisamente caratterizzate. V. M. Simonetto (a cura di), “Baj”. Venezia, Palazzo Grassi, 5 giugno-30 settembre 1971. Catalogo della mostra, Bertieri, Milano 1971; Pegoraro, S. (a cura di), “Enrico Baj.

Frammento & Frammento, opere dal 1951 al 2000”. Castelbasso, Borgo Medievale, 15 luglio-26 agosto

2000. Catalogo della mostra, Stamperia dell’Arancio, Grottammare 2000.

Tacchi, artista partecipe della Scuola di Piazza del Popolo, utilizzando colori e smalti, ha operato nel biennio 1965-’66 su tessuti stampati con delicati pattern floreali, utilizzati singolarmente o, più spesso, in accostamenti di diverse fantasie; monta infine, sul retro, delle imbottiture che si possono raffrontare, come notato dalla critica, con le contemporanee tele sagomate di Bonalumi e Castellani, sebbene non condividano il nitore cromatico e formale di quelle. Nel caso di Tacchi, più precisamente, le imbottiture

richiamano le forme degli elementi d’arredo e delle tappezzerie, come evidente innanzitutto dal nome che

contrassegna la serie di opere. Prima occasione di presentazione dei lavori, è stata nel 1965 la personale alla Galleria La Tartaruga, Roma; tra le opere, Renato e poltrona, 1965, dedicata all’amico e collega

Renato Mambor e riprodotta ad illustrazione dell’invito. L’anno successivo Tacchi espone, in una sua

personale alla galleria Apollinaire di Milano, la Primavera Allegra, realizzata nel 1965, chiaro omaggio formale e rivisitazione della Primavera di Sandro Botticelli. Il tema verrà rivisitato a più di quarant’anni di distanza (nel giugno 2007) alla Galleria La Nuvola di Roma, dove Tacchi presenterà con Maurizio Calvesi I guardiani della primavera pop, grande lavoro (210 x 300 cm) che si collega alle tappezzerie del 2006 e del 1965-’66 e come quelle accosta tessuti (sempre a motivi floreali) a sagome in nero, sintetiche

nelle linee e di chiara marca Pop. Si vedano, sull’argomento, F. Falsaperla, G. Soligo (a cura di), “Cesare Tacchi. Tappezzerie”, Roma, Studio Soligo, 1999. Catalogo La.Ra. Arte, Roma 1999; con testo di

presentazione di Maurizio Calvesi; A. Tugnoli, La Scuola di Piazza del Popolo, M&M, Firenze 2004. 46 Cfr. K. Halbreich, L. Tattersall, M. Schaefer (a cura di), op. cit; J. Becker, C. von der Osten (a cura di), Sigmar Polke. The Editioned Works 1963-2000. Catalogue Raisonné. Hatje Cantz Publishers, Ostfildern- Ruit 2000; H. Belting, R. H. Fuchs et al., “Sigmar Polke. Die drei Lügen der Malerei”. Hamburger

Bahnhof, Berlino, ottobre 1996-febbraio 1997; Kunst und Ausstellungshalle der Bundersepublik Deutschland, Bonn, giugno-ottobre 1997. Catalogo della mostra, Hatje Cantz Publishers, Ostfildern-Ruit, 1997.

47 “[…] Polke was challenging the status quo of artistic conventions”. K. Halbreich, L. Tattersall, M. Schaefer (a cura di), op. cit., p.11.

154

contemporanea48, noncurante delle etichette e delle gerarchie di valore alle quali quelli erano sottoposti.

III.3. Il wallpaper negli anni Ottanta, tra appropriazionismo e linguaggi