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III.3. Il wallpaper negli anni Ottanta, tra appropriazionismo e linguaggi postmediali.

III.3.3 Il perturbante politico nel wallpaper di Robert Gober e affini produzioni di collettivi.

Tra i protagonisti della seconda parte degli anni Ottanta (da quel momento attivi in ambito internazionale, con ampi riconoscimenti critici) è ancora Robert Gober

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M. Perniola, Rituali di esibizione in I. Gianelli, G. Verzotti (a cura di), op. cit., p.13. 114

Cfr. P. Halley, Collected essays 1981-1987, Bruno Bischofberger Gallery, Zurich 1989; F. Cusset,

French Theory. Foucault, Derrida, Deleuze & co. all’assalto dell’America, Il Saggiatore, Milano 2012;

M. Foucault, Sorvegliare e punire: nascita della prigione, Einaudi, Torino 1976. 115 cfr. Collins & Milazzo, op. cit., p.90

116 Presentato al Museum Folkwang, Essen, Germania (1998). v. G. Mercurio, “The Big Bang”., Roma, Museo Carlo Bilotti, 25 giugno-19 ottobre 2008. Catalogo della mostra, Tipografica Artigiana, Roma 2008.

117 “Personal Structures” a cura di K. De Jongh e S. Gold. Venezia, Palazzo Bembo, 4 giugno-27 novembre 2011.

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(Wallingford, USA, 1954), artista estremamente significativo nell’ambito della presente tesi, in ragione di un ricorso al wallpaper che, rispetto agli esempi fin qui riportati di Armleder e Steinbach, è rivolto all’ideazione di pattern fortemente allusivi a una dimensione narrativa e carichi di simbologie che si manifestano attraverso scelte iconografiche non convenzionali, specie considerando l’originaria destinazione d’uso delle carte da parati, che in questo caso rimane centrale e imprescindibile riferimento nella lettura critica delle opere. Tale ultimo aspetto non sarà ugualmente stringente, come si osserverà nel prossimo capitolo, in tutti i casi che si registreranno dagli anni Novanta in poi, ma verrà particolarmente rilevato rispetto a precise tematiche e evidenze iconografiche e contenutistiche che si riscontreranno tra gli esempi presi in esame. Si manterrà, tuttavia, presente nella totalità delle opere esaminate, agendo a un livello di suggestione e richiamo implicito.

Nel decennio Ottanta, Gober è presente nel gruppo sostenuto da Collins & Milazzo a partire da “Extreme Order”, mostra tenutasi presso la Galleria Lia Rumma di Napoli nel maggio 1987 con l’intenzione di presentare sulla scena europea non solamente poetiche affermate quali quelle di Halley o Steinbach ma anche il lavoro “in progress o sul punto di cristallizzarsi”118

di giovani quali, ancora, Annette Lemieux e Saint Clair Cemin. Sin da quell’occasione, nella quale presenta un’eloquente scultura dal titolo Open Playpen119 (1987), Gober manifesta una poetica che diverrà largamente post-mediale e incentrata sulla riflessione intorno alle relazioni sociali, alle strutture e alle sovrastrutture dell’educazione, alle condizioni di sofferenza e oppressione, metaforicamente analizzate tanto nelle loro cause quanto negli effetti.

“La repressione, la costrizione e il disprezzo, nel modo in cui sono esercitati dall’adulto ed esperiti dal bambino, si fondono in questo lavoro”120

, hanno notato a proposito dell’opera dell’87 Collins & Milazzo, centrando il nucleo fondamentale della poetica di Gober, eminentemente rivolta all’individuazione e alla sconfessione dei cliché legati a

118

Collins & Milazzo, op. cit., p.89. 119

La scultura simula un ‘box’ per bambini incompleto, con un lato mancante: si tratta di un’opera che,

come notato da Collins & Milazzo, “rimandava agli estremi dello psicologico, in particolare a quegli estremi che si manifestano nell’esperienza infantile. Per contro, gli estremi del mondo del bambino riflettono quelli del mondo dell’adulto”. Collins & Milazzo, op. cit., p.91.

L’opera di Gober appartiene a una serie di “recinti traumatici” che annovera, tra gli altri, Slanted Playpen

e X Playpen (entrambe 1987), spazi pressoché impraticabili perché circondati da pareti fortemente

inclinate o, nel secondo caso, incrociate. v. A. Temkin (a cura di), “Robert Gober: The Heart is Not a Metaphor”. Museum of Modern Art, New York, 4 ottobre 2014- 18 gennaio 2015. Catalogo della mostra,

Ed. Museum of Modern Art, New York 2014. 120 Collins & Milazzo, op. cit., p.89.

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un’educazione patriarcale dalle profonde radici religiose e alle rigide indicazioni di condotta fornite da una società che tende a emarginare il diverso per età, educazione o orientamento sessuale.

L’importanza di tali tematiche si evidenzia in particolare nell’attenzione, pressoché ossessiva, che Gober rivolge alla sfera domestica, ambiente che – come ampiamente trattato negli anni Cinquanta dal filosofo francese Gaston Bachelard 121 – è ‘guscio’ ma al contempo testimone non inerte della costruzione dell’identità personale: l’artista, a partire dal 1978-’79 affronta direttamente l’argomento realizzando delle evocative Dollhouses, vere e proprie ‘case di bambola’ spesso attentamente accessoriate, in stretto rimando alla casa di legno in stile Cape Cod, costruita personalmente dal padre e abitata dalla famiglia Gober122.

Negli ambienti interni di alcune di esse inserisce, realizzandole personalmente servendosi di piccole porzioni di linoleum, rivestimenti che fingono in miniatura le carte da parati, con un’attenzione pressoché maniacale che poco dopo, affrancandosi definitivamente da una zona forse ancora ibrida tra produzione artistica e passatempo da bricoleur, approderà a un linguaggio maturo e alla vera dimensione ambientale.

Nel 1989 infatti Gober, reduce da un fitto e monotematico impegno affine alla Commodity Sculpture (segnato in particolare dalla realizzazione manuale di Sinks, ‘lavandini’, la cui destinazione d’uso è negata da particolari materiali o formali) realizza i primi due esempi di carte da parati, Male and Female Genital Wallpaper e Hanging Man/Sleeping Man, presentandoli in una personale alla Paula Cooper Gallery di New York123 nel contesto di due complesse installazioni su scala ambientale.

La mostra è dominata dalla presenza di opere che in apparenza sono, pienamente, ‘oggetti comuni’, pressoché universalmente riconoscibili eppure non acquisiti da Gober alla stregua di ready-made ma realizzati manualmente dall’artista (eccezion fatta per la stampa materiale delle carte da parati).

I pattern delle due opere, la concezione di quelli e l’aspetto totale delle installazioni – “traumaticamente mute”, le ha definite Hal Foster124

– nelle quali i wallpaper sono stati

121 v. G. Bachelard, La poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1975. Cfr. S. Backer in Aa.Vv., Il Palazzo Enciclopedico – Guida breve alla 55a Biennale di Venezia, Esposizione Internazionale d’Arte, Marsilio

Editore, Venezia 2013, p.88.

122 Ibidem. Una delle Dollhouses di Gober, Dollhouse 4 del 1978, è stata selezionata da Cindy Sherman e annessa alla personale sezione, a sua curatela, de Il Palazzo Enciclopedico, mostra tematica della 55a Biennale di Venezia, a cura di Massimiliano Gioni.

123 “Robert Gober”. New York, Paula Cooper Gallery, 30 settembre-28 ottobre 1989. 124 Cfr. H. Foster, Design & Crime (2002), Postmedia Books, Milano 2003, p.122.

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presentati e di cui sono elemento centrale, non relegabile al solo piano di fondo, sono da considerarsi rivoluzionari per i tempi e le modalità di presentazione.

Si vuole qui ipotizzare come Gober possa considerarsi l’artista che, dopo Andy Warhol, abbia maggiormente influito sul rinnovamento del linguaggio del wallpaper, inteso come medium d’espressione artistica contemporanea, in particolar modo conferendo alla superficie un aspetto perturbante, evocativo e latore di significati che decisamente deviano dalla carta da parati domestica, loro referente oggettuale primario, pur sfruttandone la suggestione e il rimando.

L’aggettivo ‘perturbante’ si vuole richiamare in questa sede – ampliando uno spunto offerto da Gill Saunders nel 1997125 ˗ nell’accezione freudiana, sviluppata nel 1919 con il saggio Das Unheimliche, riguardo ad argomenti che spaziano dalle strutture linguistiche all’estetica, alla letteratura e al mito126

.

Il riferimento al tema freudiano era stato in breve accennato da Saunders nella lettura del lavoro di un’altra artista che si è segnalata, a inizio anni Novanta, come una tra le prime a far ricorso al wallpaper: l’inglese Abigail Lane, della quale si tratterà nel prossimo capitolo; si ritiene, tuttavia, che possa al meglio trasferirsi nell’introduzione della poetica e del linguaggio di Robert Gober, che proprio nel bouleversement dei termini affini alla dimensione domestica ha trovato il suo punto di forza.

Nel saggio Il Perturbante, si diceva, Sigmund Freud si spinge verso “una sfera determinata dell’estetica [… negletta] dagli studi estetici specializzati”127

(ambito che ritiene di sporadico interesse per uno psicanalista), al fine di indagare appunto vari aspetti di ciò che è definibile – piuttosto che come elemento oggettivo e analizzabile – come una “qualità del sentire”128

. Questa implica le possibilità di trasformazione percettiva di un concetto o di un oggetto ritenuto “familiare” nel suo contrario, pertinente la sfera dell’inquietante, dello spaventoso.

“Il perturbante” – scrive infatti Freud – “è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”129

e che si manifesta in una dimensione in più campi linguistici associata alla casa, all’intimità domestica, in relazione a una variazione che viene percepita interiormente.

125 G. Saunders, How Wallpaper Left Home and Made an Exhibition of Itself [paragrafo Abigail Lane] in D. De Salvo, A. Massie (a cura di), op. cit., p.46.

126 S. Freud, Il Perturbante [Das Unheimliche, 1919] in Saggi sull’Arte, la Letteratura e il Linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp.269-307.

127

Ivi, p.269. 128 Ivi, p.270. 129 Ibidem.

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Il saggio di Freud trae le mosse da una lunga analisi linguistica dell’aggettivo tedesco

“heimlich”, del suo contrario “unheimlich” e dei loro omologhi nelle lingue straniere:

attraverso tale osservazione mostra come il primo termine – per il quale evidenzia il significato primario: “che appartiene alla casa, non straniero, familiare, domestico, fidato e intimo”, dunque una sfera semantica legata a una “piacevole Heimlichkeit (intimità domestica)”130

– in conseguenza di una tra le possibili sfumature di significato possa arrivare a coincidere con il suo contrario “unheimlich”, ovvero ‘perturbante’. Ciò avviene poiché il termine “heimlich”, ‘familiare’, “non è univoco ma appartiene a due cerchie di rappresentazioni che, senza essere antitetiche, sono tuttavia parecchio estranee l’una all’altra: quella della familiarità, dell’agio, e quella del nascondere, del tener celato”131

. Avviandosi alla conclusione del lungo elenco esplicativo dei termini sopraccennati, Freud introduce un periodo che si può ritenere significativo nell’ambito della presente tesi; nota infatti: “Unheimlich, dice Schelling, è tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto, nascosto, e che è invece affiorato”132 e conclude “Heimlich è quindi un termine che sviluppa il suo significato in senso ambivalente, fino a coincidere in conclusione col suo contrario: unheimlich”133.

Andando oltre nella lettura del saggio, riscontriamo come per Freud “[…] nell’inconscio psichico è riconoscibile il predominio di una coazione a ripetere”134

e dunque, “[…] si percepirà come elemento perturbante ciò che può ricordare questa coazione interna a ripetere”135. Conclude infatti: “Il rapporto con la rimozione ci chiarisce ora anche la

definizione di Schelling, secondo la quale il perturbante è un qualcosa che avrebbe dovuto rimanere nascosto e che è affiorato”136

.

Entrambi i parati presentati da Gober nel 1989 possono ricondursi, dal punto di vista iconografico e inoltre per la loro disposizione in allestimento, alla sfera dell’inconscio, delle pulsioni, alla rimozione delle stesse137: il primo, infatti, Male and Female Genital

130 Ivi, pp.272-273. 131 Ivi, p.275. 132 Ibidem. 133 Ivi, p.277. 134 Ivi, p.290. 135 Ivi, p.291. 136 Ivi, p.294.

137 La struttura enigmaticamente narrativa, correlata a un meccanismo di accettazione – o rimozione – di

impulsi inconsci, si può commentare con il pensiero di Hal Foster: “[…] la funzione delle sue opere è, ancora una volta, quella di sostenere l’enigma, e ciò viene realizzato in due modi complementari. Il primo

è quello di evocare un mistero narrativo, una storia che presenta un «buco». Col secondo si cerca di delineare il buco, di tracciare un abbozzo della parte mancante. Questo oggetto perduto non è soltanto un oggetto desiderato: talvolta è un oggetto respinto, disprezzato, persino maledetto. La parte mancante,

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Wallpaper [fig. 88] richiama in maniera evidente la sfera sessuale utilizzando un’iconografia anatomica e tratti e colori decisi mentre Hanging Man/Sleeping Man, con un decoro in apparenza più delicato, dai toni pastello, mettendo a confronto due scene incongrue cela il richiamo alle pericolose dinamiche della discriminazione e della violenza a sfondo razziale.

La breve digressione su Freud fin qui proposta, intende dunque preannunciare come nel lavoro di Gober si possa percepire come elemento perturbante innanzitutto l’adozione di riferimenti ordinari – oggetti d’arredo, merci di uso quotidiano – e la composizione di quelli in strutture complessive che spiazzano lo spettatore, rimandandolo a una sorta di surrealtà che mescola pulsioni inconsce e sovrastrutture, perversione e ironia (come l’artista stesso, sin dagli anni Ottanta, tiene a precisare138

.

La deviazione dalla sfera domestica o, se si preferisce, dal riferimento ai cliché legati a una vita ordinata da regole e comportamenti tradizionali, nel lavoro di Gober si evidenzia non in maniera secondaria attraverso l’utilizzo delle carte da parati, che si possono chiaramente percepire come elemento di ‘scenografia’ e ambientazione, sin dai due esempi presentati da Paula Cooper nel 1989. Esempi che, nella loro complessità, ben preannunciano la pratica dell’artista che, attraverso la realizzazione di diverse installazioni, da più di tre decenni a questa parte dispone ciò ama definire “natural history dioramas about contemporary human beings” ovvero ‘diorami di storia naturale, a proposito degli esseri umani contemporanei’139

.

Il primo parato, Male and Female Genital Wallpaper, è caratterizzato dalla spasmodica ripetizione di organi sessuali maschili e femminili e di un corpo nudo visto di schiena, schizzati in bianco su fondo nero a imitazione dei disegni scolastici su lavagna o, non in ultimo, degli osceni graffiti che facilmente si riscontrano nei bagni pubblici140.

dunque, come part maudite”. H. Foster, Robert Gober. L’arte della parte mancante in “Flash Art”, a. XXXI, n.210, giugno-luglio 1998, p.77. Il testo è la traduzione in italiano, lievemente ridotta,

dell’omonimo saggio pubblicato in P. Schimmel (a cura di), “Robert Gober”. Los Angeles, MoCA –

Museum of Contemporary Art, 17 novembre-14 dicembre 1997. Catalogo della mostra, MoCA - Scalo Verlag, Zurigo 1997.

138 R. Gober in C. Gholson, Artists in Conversation: Robert Gober in “Bomb” n.29, autunno 1989; Url: <http://bombmagazine.org/article/1252/robert-gober>

139 T.d.A. R. Gober in R. Flood, Robert Gober: Special Editions, an Interview in “Print Collector’s

Newsletter”, marzo-aprile 1990, pp.6-9; Cfr. H. Foster, Robert Gober. L’arte della… op. cit., pp.72-78;

H. Foster, Review: Robert Gober – Museum of Modern Art, New York in “Artforum”, v.53 n.5, gennaio 2015, p.205.

140 Alludendo a ciò, Gober pare richiamare ancora una volta gli ambienti di servizio evocati nella serie dei Sinks alla quale si è appena accennato. Cfr. G. Saunders, op. cit., p.35.

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Alla carta da parati sono sovrapposti, con intervallo regolare, degli scarichi idraulici – come inerti orifizi artificiali – che richiamano da vicino i ‘lavandini’ regolarmente proposti, già da qualche tempo, da Gober. Come quelli, tuttavia, sono oggetti manualmente prodotti dall’artista, quasi a volersi legare a una dimensione artigianale, da laboratorio casalingo, che avvicina alla piccola manualità usualmente applicata alle riparazioni domestiche.

Nella medesima stanza, al centro, Gober colloca la scultura-assemblage Bag of Donuts (1989)141, riproducente in carta, materiale organico e resina una confezione di ciambelle, anch’esse echeggianti, nella forma, gli elementi orifiziali nonché, a un livello più immediato, la dimensione del piacere fisico legata al cibo.

Il disegno anatomico maschile/femminile alla base del pattern era stato in realtà concepito da Gober, appena in precedenza, come illustrazione per Heat, un racconto della scrittrice statunitense Joyce Carol Oates, in vista di una pubblicazione – in edizione limitata – promossa dal Whitney Museum di New York142 nell’ambito di un programma di collaborazione tra scrittori e artisti. Le difficoltà riscontrate da Gober nel far accettare l’illustrazione, ne avevano esacerbato la volontà di rappresentazione143

, spingendo verso una riproduzione fuori-scala che era presto divenuta idea per un decoro murale.

Nel pattern del 1989, la scelta operata dall’artista – con l’ingrandimento dei particolari anatomici, nonché l’evidente inadeguatezza del tema rispetto alle pretese di neutralità e decorativismo richieste per le carte da parati, nella loro più consueta destinazione d’uso domestico – commenta e stravolge quella che fu la longeva voga, introdotta in epoca vittoriana, dei sanitary wallpapers e dei nursery wallpapers, intesi quale piacevole e asettico décor, atto a rivestire gli ambienti dedicati all’infanzia144 con uno scoperto intento moraleggiante e edificante.

141 R. Gober, Bag of Donuts, 1989. Assemblage di materiali vari, in otto esemplari. 142

J. C. Oates, R. Gober, Heat, Library Fellows of the Whitney Museum of Art, New York 1989. 143

Cfr. R. Flood, Robert Gober: Special Editions. An Interview in “Print Collector’s Newsletter, March- April 1990, pp.6-9. Cit. in G. Saunders, op. cit. 2010, p.35.

144 Si vedano, in particolare, i parati ottocenteschi di Walter Crane e Kate Greenaway: in special modo Sleeping Beauty, 1879, fiabesco pattern del primo che si può paradossalmente richiamare a proposito dell’opera di R. Gober, Hanging Man/Sleeping Man, 1989 o ancora i lieti episodi ricreativo-pedagogici di The Months, carta da parati di Greenaway realizzata nel 1893. Infine, gli episodi favolistici intrisi di note comiche di Edmund Dulac, concepiti per ‘nursery wallpapers’ per il Central Institute of Art and Design di

Londra, nel 1945.Cfr. M. Oliver Hapgood, Appendix: Artists’ wallpapers for children in M. Oliver Hapgood, Wallpaper and the Artist, Abbeville Press Publishers, New York Londra Parigi 1992, p.237- 256; Cfr. anche G. Saunders, Wallpaper in Interior… op. cit., pp. 127-139.

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Gober rigetta in toto quest’ultimo aspetto, riscontrabile ancora largamente nella società statunitense del secondo dopoguerra e oltre, e al contempo estrinseca, in forma d’immagine, il turbamento legato a una maturazione adolescenziale segnata dalla messa in discussione della propria identità sessuale.

Come acutamente nota Ann Temkin nell’introduzione alla recente retrospettiva del lavoro di Gober tenutasi al Museum of Modern Art di New York145, l’artista sembra rispondere, con buona parte della sua poetica, all’invito rivolto ai lettori dal padre della poesia americana, Walt Whitman, nel lontano 1855, nella prefazione della celeberrima raccolta Leaves of Grass: “re-examine all you have been told at school or church or in any book, dismiss whatever insults you own soul”146

. E il riferimento, seppur distante nel tempo, risulta legittimato dallo stretto riferimento polemico dei temi di Gober a quelli di un’educazione severa e puritana.

Ed è forse seguendo tale suggestione critica che è possibile introdurre la lettura di Hanging Man/Sleeping Man [figg. 89, 90], la più nota tra le carte da parati di Gober, realizzata come la precedente nel 1989 e presentata alla personale da Paula Cooper. Un accenno del pattern era già stato presentato da Gober, dipinto a mano, su un tessuto facente parte di Untitled (Dog Bed), opera del 1989, presentata alla Whitney Biennal nella primavera dello stesso anno e appartenente a una serie di giacigli intrapresa nel 1987147.

Come il primo parato, Hanging Man/Sleeping Man testimonia a favore di una precisa scelta operativa e contenutistica a favore del linguaggio del wallpaper che l’artista avvalora, nella citata intervista del 1990148, accennando a come il significato proprio di una carta da parati possa venire in parte travisato o non afferrato laddove non si consideri – come elemento dialettico – la fondamentale destinazione d’uso del medium originario, come concepito per l’utilizzo domestico.

145 “Robert Gober: The Heart is Not a Metaphor” a cura di A. Temkin. New York, MoMA, Museum of Modern Art, 4 ottobre 2014- 18 gennaio 2015.

146

W. Whitman, Leaves of Grass (1855), The Eakins Press Publishers, New York 1966, p.VI. T.d.A.:

“[…]Riesaminate tutto quello che vi è stato detto a scuola o in chiesa o in qualsiasi libro, respingete tutto

ciò che offende la vostra anima".Cfr. A. Temkin in A. Temkin (a cura di), op. cit., p.14.

147 Cfr. R. Smith, Review/Art: The Reinvented Americana Of Robert Gober’s Mind in “The New York

Times”, 13 ottobre 1989; Url: <http://www.nytimes.com/1989/10/13/arts/review-art-the-reinvented-

americana-of-robert-gober-s-mind.html> . Cfr. anche K. Johnson, Cleaning House in “Art in America”, v.78, n.1, gennaio 1990, p.150. L’articolo di Johnson è un approfondimento in merito alla personale di

Gober presentata da Paula Cooper alla fine del 1989; inoltra una lettura del lavoro dell’artista in chiave

eminentemente teatrale e di commento riguardante la sfera morale, come suggerisce il titolo richiamante

l’atto del ‘nettare, ripulire’ un ambiente privato. Cfr. Ivi, pp.150-151.

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In maniera ancor più evidente rispetto al precedente parato – nel quale si palesava il richiamo ai disegni osceni presenti nei bagni pubblici – in Hanging Man /Sleeping Man il medium del wallpaper si afferma come parte sostanziale nella concezione del lavoro di Gober, innanzitutto in virtù della sua immediata associazione con il tema della casa e della conseguente capacità del mezzo di collegare lo spazio, deputato all’arte, di una galleria o di un museo, in un ambiente direttamente correlato all’atmosfera domestica. Il pattern è incentrato su due frammenti iconografici assolutamente eterogenei, cromaticamente uniformati e stampati in toni pastello su fondo beige.

Il primo è un uomo dormiente, serenamente accomodato tra lenzuola bianche: si tratta di un elemento tratto da un’immagine pubblicitaria degli anni Cinquanta, prelevata da un giornale149; il secondo elemento – di segno opposto – è invece un uomo di colore impiccato a un albero, con un minimo accenno paesaggistico: il frammento è tratto da