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Terminata la stagione creativa di più stretto richiamo al femminismo storico, l’ambito performativo affrontato da artiste non ha certamente perso mordente, ma si è sviluppato spostandosi in territori che, prendendo ancora spunto dal vissuto personale dell’autrice o assumendo problematiche più generali legate a questioni di ordine culturale (con una particolare attenzione nei confronti delle culture extraeuropee) e socio-politico hanno forse “acquistato in intensità ciò che perdevano in polemica e sensazionalismo”66. Le esperienze fin qui riportate si ponevano già come eccezionali, facendo precipitare gli elementi dell’azione performativa – spazio, corpo e linguaggio poetico – fino a ottenere equilibri di notevole intensità formale e, infine, estetica e ciò vale in special modo nella misura in cui la carta è stata per l’artista veste o frammento da assumere per divenire – teatralmente – altro da sé.

Tematiche di genere, tuttavia, in tempi più recenti sono state affrontate avvalendosi del wallpaper come medium, ma in un modo del tutto differente in quanto a strumenti, premesse ed esiti: ossia mediante l’ideazione di pattern specificamente concepiti per essere riprodotti sulle carte, ai fini di inoltrare, in maniera più o meno dichiarata, messaggi d’ordine sociologico o legati all’attualità mediatica, generando una sollecitazione polisemica nei riguardi dello spettatore dell’opera.

Ciò avviene, in particolare, nei casi in cui il wallpaper è proposto come uno degli elementi facenti parte di una singola installazione o di un più complesso environment, di senso unitario.

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E’ questo il caso, ad esempio, delle carte da parati di Sarah Lucas67

(Londra 1962), artista affermatasi negli anni Novanta nell’ambito della Young British Art, il cui lavoro – adottando diversi media quali il disegno, la fotografia, l’installazione oggettuale e il video – osserva e commenta le strutture e le dinamiche della middle-class inglese. A tal fine, volgendosi a un’arguta analisi dell’Englishness (o British-ness68), ossia dei luoghi comuni legati al peculiare carattere inglese e ai meccanismi popolari di quella che viene definita “tabloid culture”69

, Lucas si avvale regolarmente del prelievo di oggetti e scarti della società del consumo usa-e-getta, prevedendone assemblaggi e accostamenti spiazzanti, spesso declinati con l’intento di commentare, sarcasticamente, anche le dinamiche della sessualità e le modalità di rappresentazione dei generi.

Il suo impegno, sebbene tocchi tematiche care al femminismo, dichiara i termini di un’adesione dissacrante rispetto a quello, sviluppandosi attraverso il prelievo e la rielaborazione di un immaginario in bilico tra popolare e trash, che guarda alle ossessioni e agli stereotipi legati alla rappresentazione dei generi e delle dinamiche sessuali. A tale aspetto, più precisamente alla rappresentazione del femminile legata alla sfera domestica e alle sue frustrazioni metaforicamente associa, negli anni intorno al Duemila e in particolare con il lavoro presentato nella personale “The Fag Show”70 (Londra, 2000), l’aspetto della dipendenza dal fumo, presente nella propria esperienza sin dalla giovanissima età71.

A entrambi gli elementi, routine domestica della classe media inglese e tabagismo, si riferisce Tits in space (2000) [fig. 65], primo pattern concepito dall’artista, come sfondo d’allestimento per la mostra appena citata. Il wallpaper è costituito dalla regolare ripetizione di forme richiamanti il seno femminile e, al contempo, sorta di pianeti fluttuanti in un universo buio e uniforme, come suggerito dal nero opaco del

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Sarah Lucas ha rappresentato l’Inghilterra nell’edizione 2015 della Biennale di Venezia, diretta da Okwui Enwezor. v. “All the World’s Futures”, 56ᵃ Esposizione Internazionale d’Arte, a cura di O. Enwezor. Venezia, Giardini e Arsenale, 9 maggio-22 novembre 2015. Catalogo della mostra, Marsilio, Venezia 2015.

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v. A. Rowley, Fertile Objects: Penetralia, Sarah Lucas and English Modernism, 19 settembre 2012 in Henry Moore Institute Online Papers and Proceedings; Url: <www.henry-moore.org/hmi>

69 Sugli aspetti della “tabloid culture”, legata a un progressivo abbassamento (evidenziatosi nel corso del

XX secolo) degli standard dell’informazione, parallelo all’incremento della diffusione dei mass-media e

al moltiplicarsi degli stessi, una panoramica d’insieme è fornita, ad esempio, in A. Biressi, H. Nunn (a cura di), The Tabloid Culture Reader, Open University Press, Mc Grow-Hill Education, Maidenhead 2008. V. anche C. Sparks, Introduction. The Panic over Tabloid News, pp. 1-40 in C. Sparks, J. Tullock (a cura di), Tabloid Tales. Global debates over media standards, Rowman & Littlefield Publishers, Lanham 2000.

70 Sarah Lucas, “The Fag Show”, Londra, Sadie Coles HQ, febbraio-marzo 2000. “Fag” si può tradurre

come “cicca, mozzicone di sigaretta”.

71 v. G. Coulter-Smith, Installationism: The Expanded Field of Sculpture 1985–2005, Online resource (work in progress); Url: < http://www.installationart.net/PDF/Lucas.pdf>

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background sul quale si stagliano le forme sferiche. Queste, costituite dall’ordinata aggregazione di sigarette intatte, intendono indicare l’ossessivo rimando al sesso presente nella società attuale, divenendo elemento isolato, feticcio, paradossale icona. Il wallpaper ha amplificato – riverberandolo sulle pareti – il filo conduttore della mostra londinese, legato alla presentazione di oggetti costituiti, come si diceva, con ‘tessiture’ di sigarette sulla superficie di diversi elementi d’uso comune72

accostati o “accalcati l’uno sull’altro come membri di una famiglia disfunzionale”73

. Tra questi, si notano degli aspirapolvere ed elementi di decoro domestico dozzinale, i ‘nani da giardino’: entrambe le tipologie di oggetti sono rivestite da un fitto strato di sigarette e così avviene per un ulteriore oggetto, un gilet da salvataggio, ricoperto e reso inutilizzabile dalla consueta trama di tabacco. La presenza di quest’ultimo, in associazione agli elettrodomestici, accentua la sensazione di isolamento e intrappolamento della donna, l’ipotetica padrona del claustrofobico spazio rappresentato nella galleria, dominato dallo scuro e desolato sfondo del wallpaper74.

Le immagini sessualizzate e le abitudini stereotipiche della middle-classsaranno il filo conduttore dell’opera di Lucas, fino agli anni più recenti. La realizzazione di wallpaper segnerà un ulteriore passo nel 2003, con la realizzazione di Pizza wallpaper, un unico grande tableau incentrato sull’ingrandimento e la parziale obliterazione di un volantino pubblicitario e presentato alla Tate Britain nella mostra “In-a-gadda-da-vida”75

, prima collettiva dedicata dall’istituzione alla Young British Art, specificamente ad Angus Fairhurst, Damien Hirst e Sarah Lucas.

La realizzazione di tableau applicati a parete e concepiti a partire da immagini fotografiche e collage sarà presente nel lavoro di Lucas fino agli anni più recenti; d’altra parte, invece, la realizzazione di wallpaper tradizionalmente strutturati in singoli rotoli verticali accostati tra loro, si ripresenterà solo nel 2012 con lo sviluppo del collage fotografico Soup (1989)76 fino a formare un pattern ripetuto. Il soggetto presenta la spiazzante sovrapposizione di diverse immagini, ravvicinate, di un particolare genitale maschile allo sfondo indistinto di una zuppa di verdure. Il pattern è stato presentato, nel

72

“I’ll use anything I can”, ha dichiarato Lucas nel 1995, continuando: “[…] the choice of materials is

crucial to what the final piece is”. S. Lucas in Where Does It All End? Sarah Lucas interviewed by Jan Van Adrichem in “Parkett”, n.45, 1995, p. 87.

73 T.d.A. Testo originale: “[…] disparate objects huddled together like members of some dysfunctional

family”. G. Saunders, op. cit. in G. Saunders (a cura di), op. cit., p.63.

74 Cfr. M. van Tilburg, op. cit., p.54.

75 “In-a-Gadda-da-Vida”, a cura di D. Hirst. Londra, Tate Britain, 31 marzo-31 maggio 2004. Cfr. paragrafo IV.5.1.

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2012, presso la galleria Sadie Coles HQ di Londra nel contesto dell’articolata installazione “SITUATION Classic Pervery”77, una tra le tappe di un progetto espositivo – intitolato appunto “SITUATION”– che nel 2012-2013 ha interessato, articolandosi in otto appuntamenti, gli spazi della galleria londinese. Il pattern del 2012 è stato infine annesso alla retrospettiva “SITUATION Absolute Beach Man Rubble”78, che nel 2013 ha ripercorso, presso la Whitechapel Gallery di Londra, una carriera ormai più che ventennale.

Come si è fin qui osservato, il lavoro di Lucas dialoga sarcasticamente con quella tendenza, imperante negli anni Novanta, analizzata in particolar modo nella mostra “Post Human” di Jeffrey Deitch (Losanna, 1992)79

e largamente incentrata sul tema della corporeità.

Una raffigurazione degli attributi iconografici propri della sfera femminile, ma sviluppata in senso diametralmente opposto rispetto a Sarah Lucas, si nota invece nell’organica poetica presentata, sin dalla metà degli anni Duemila, da Helen Knowles (Manchester, 1975) artista formatasi presso la storica Glasgow School of Art.

Il lavoro di Knowles è incentrato, in maniera preponderante, sulla riflessione intorno a tematiche legate alla maternità, nel dichiarato intento di smitizzare l’aura persistente intorno alla gravidanza e al momento del parto, nella cultura visiva occidentale ancora in parte percepiti come eventi ‘spirituali’, paradossalmente svincolati dalla più viva sfera carnale80.

Alla metà degli anni Duemila l’artista, due volte madre, dalla discussione con l’amica e storica dell’arte Phoebe Mortimer81

ha generato il progetto Birth Rites, presto sposato da una clinica neonatale all’avanguardia, con sede nella città di Manchester. Il progetto – dal quale è scaturita una collezione oggi incrementata dall’acquisizione di opere di Judy Chicago e altre artiste contemporanee – è stato contrassegnato dalla stretta collaborazione, in coppia, tra artisti e professionisti dell’ambito medico (ginecologi, ostetriche), al fine di creare opere visive dedicate, da vicino, al tema della gravidanza e del parto.

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“Sarah Lucas. SITUATION Classic Pervery”. Londra, Sadie Coles HQ, dicembre 2012-febbraio 2013. 78 “Sarah Lucas. SITUATION Absolute Beach Man Rubble”, a cura di October 2 – December 15, 2013 at Whitechapel Gallery

79 Della mostra e dell’argomento “Post Human” si tratterà nel capitolo IV.3. 80

Cfr. R. Betterton, Maternal figures: the maternal nude in the work of Käthe Kollwitz and Paula

Modersohn Becker, in G. Pollock (a cura di), op. cit, pp.159-179. Si cfr., inoltre, a proposito di “smitizzazione della figura della madre”, il lavoro di Renée Cox analizzato da F. Alfano Miglietti, op.cit.,

pp.57-60. 81

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Helen Knowles, collaborando con la designer Francesca Granato, ha creato nel 2008- 2009 due emblematici wallpaper, intitolati semplicemente Birth (2008) [fig. 66] e Conception (2009) [fig. 67]. Per il primo, stampato in bianco su fondo nero e i cui singoli elementi sono divenuti il logo della collezione Birth Rites, Knowles ha tratto spunto dal classico andamento decorativo delle carte da parati arabescate, per realizzare un pattern ispirato alle sagome delle ballerine di lap-dance ma che, osservato da vicino, mostra delle figurine femminili nel momento del travaglio o del parto82. Per il secondo, ancora attualizzando un classico motivo decorativo, Knowles si è ispirata ai toni tenui e ai pattern floreali dell’Art déco per comporre un delicato decoro incentrato sugli organi riproduttivi maschili e femminili, assottigliati e stilizzati83.

Tra le recenti realizzazioni di wallpaper al femminile è infine da citare, in un ambito ibrido tra installazione e performance, il lavoro di Cecilia Paredes (Lima, 1950), permeato da un’accurata – ma fin troppo letterale – intenzione di mimesis, in una poetica oggetto di buoni riconoscimenti internazionali.

Paredes – il cui cognome, in spagnolo, significa ‘pareti’: persino l’elemento di gioco linguistico è adottato consapevolmente come spunto operativo – ritrae se stessa camuffata entro sfondi di coloratissime e classiche (in quanto a concezione decorativa) carte da parati, documentando il lavoro – che richiama da vicino il noto modus operandi di Liu Bolin – con immagini che concorrono a chiudere il termine di “photoperformance” [figg. 68, 69], prediletto dall’artista, e che risultano di grande equilibrio formale e bellezza ma, almeno in apparenza, prive di contenuti ulteriori rispetto al preponderante dato estetico presentato. Quest’ultimo, anzi, sembra avvicinare piuttosto il linguaggio adottato da Paredes a quello degli autoritratti dell’ampiamente storicizzata figura di Yayoi Kusama, alla cui decorativa e incessante repetitio ad absurdum si è accennato nel primo capitolo, e che presentano il soggetto avviluppato in gorghi di segni e pattern.

Il lavoro di Paredes, inoltre, sembra legarsi a tratti al linguaggio di certa pubblicità e della fotografia moda (si veda, ad esempio, il caso del giovane e promettente fotografo di moda statunitense Erik Madigan Heck, classe 1983, di recente impegnato con storiche case di moda quali Etro e Kenzo o riviste quali Harper’s Bazaar).

82 Solamente avvicinandosi, guardando con attenzione, è possibile cogliere la reale natura della sagoma- pochoir, come avviene in alcune e notissime opere di Kara Walker o William Kentridge.

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L’ambito della photoperformance richiama infine, parzialmente, il lavoro dell’italiana Donatella Spaziani (Ceprano, Frosinone, 1970), negli ultimi anni vincitrice di residenze d’artista e borse di studio che l’hanno vista spostarsi tra New York, Parigi e Shanghai. Il lavoro di Spaziani si sostanzia di un linguaggio performativo e fotografico che si avvale del proprio corpo come unico segno vitale entro luoghi di apparente freddezza, quali camere d’albergo e appartamenti semivuoti.

Tali spazi, ricoperti da carte disposte sulle pareti, fotografati o ri-allestiti parzialmente entro luoghi espositivi84, recano spesso sulla loro superficie piccoli disegni dell’artista, incorniciati e sovrapposti o segnati direttamente sulla tappezzeria (molto similmente – anche dal punto di vista formale – a quanto avviene per i noodles del bulgaro Nedko Solakov).

I disegni di Spaziani mostrano la silhouette della donna in posizioni di riposo, meditazione o evidente disagio [fig. 70]: a sottolineare, dunque, il riverbero della condizione femminile negli spazi stessi che ne ospitano la quotidianità. Il linguaggio dell’artista, tuttavia, pur legandosi con una certa organicità a tali fattori, non sembra apportare alla tematica fin qui trattata elementi di ulteriore interesse, risultando vincolata all’allestimento di ambienti d’aspetto ancora vagamente ‘minimal’, seppur punteggiato da carte da parati d’origine commerciale.

L’excursus fin qui presentato, spaziando tra nomi, luoghi e momenti diversi dell’espressione artistica, offre certamente spunti eterogenei di riflessione e, al contempo, trattiene la formulazione d’ipotesi critiche generali, a favore di un’osservazione del particolare. È infatti possibile notare come l’apporto teorico e operativo di diverse artiste abbia, dagli anni Sessanta a oggi, caratterizzato la carta (e dunque, per estensione, la decorativa carta da parati) come un elemento evocativo, capace di innescare narrazioni che, dal personale85, spesso giungono a interrogare una sfera pubblica o condivisa, che attiene a diversi ruoli sociali, stati d’animo o episodi significativi nell’esperienza umana.

Il dato non è apparso trascurabile: è stato pertanto un impulso all’analisi svolta in questo capitolo, che vuol essere un contributo che si pone parzialmente sulla scia di quanto già segnalato da saggi come Wallpaper, Wallpaper, Wallpaper: Pattern, Repetition and

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Si vedano, ad esempio, la personale a cura di Maria Savarese tenutasi a Napoli, Dafna Home Gallery, nel maggio-settembre 2013 e la personale “Donatella Spaziani. In Me” a cura di Claudio Libero Pisano, Roma, Galleria OREDARIA, ottobre-novembre 2011.

85 Personale come dato reale o, molto più spesso, ‘simbolico’: si veda il caso di Binga, che ha inscenato la parte di una donna privata della possibilità di esprimersi entro le mura domestiche.

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Gender di Dominique Heyse-Moore86 e Femmes, Papiers Peints et Politique di Merel van Tilburg87, che mostrano come la correlazione tra ripetizione iconografica e sviluppo di temi d’interesse specificamente di ‘genere’, sia stato uno tra gli elementi più evidenti in alcune recenti modalità d’adozione del medium del wallpaper.

Ci si è distanziati dai due saggi, tuttavia, nella misura in cui si sono considerate esperienze totalmente riconducibili all’ambito della produzione artistica e non facenti parte del design e della diffusione di quello, fattore altamente indicativo nell’emissione e nella conseguente ricezione di certo tipo di immagini stereotipate88.

Al tempo stesso, si è incentrata l’analisi su opere significative della relazione tra espressività femminile e superficie cartacea, adottata come medium o elemento di interazione performativa, laddove invece il saggio di Heyse-Moore risulta incentrato, in senso più lato, sulla trattazione di temi appartenenti alla sfera della sessualità e della formazione identitaria, e il saggio di Merel van Tilburg si fonda su un accenno storico al rapporto tra wallpaper, design e società otto-novecentesca, per poi giungere all’osservazione di esemplari opere di artiste attuali89

.

86 v. D. Heyse-Moore, op. cit. in G. Saunders (a cura di), op. cit., pp.96-113. 87 v. M. van Tilburg, op. cit. in M. Costantini (a cura di), op. cit., pp. 50-54. 88

Heyse-Moore, in particolare, ha proposto una lunga e acuta analisi di pattern commerciali – moderni

nursery wallpaper – di larga diffusione e destinati alle camere dei ragazzi, dimostrando come diversi

decori abbiano contribuito a perpetuare cliché legati alla formazione identitaria e di genere. Si vedano, a mero titolo di esempio, i wallpaper commerciali a tema Sindy o Batman (entrambi 1966) riprodotti a corredo illustrativo del saggio (v. D. Heyse-Moore, op. cit. in G. Saunders (a cura di), op. cit., pp.97, 101).

89 Tra queste, sono ad esempio Parastou Forohuar e Zineb Sedira, delle quali nel capitolo quarto si fornirà una diversa ipotesi di lettura, legata a rinnovate forme di impegno politico e sociale da parte delle autrici; v. paragrafi IV.2.1 e IV.2.3.

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Capitolo III

Gli anni Settanta e Ottanta: poetiche e movimenti partecipi del wallpaper.

Dall’analisi della superficie pittorica ai linguaggi postmediali.

Tra la fine degli anni Sessanta e il decennio successivo emergono, in Francia e negli Stati Uniti, due movimenti che, sebbene non registrino (se non in maniera tangente o del tutto sporadica) ricorsi allo specifico medium del wallpaper, risultano nondimeno significativi nel quadro della presente analisi, giacché interrogano, segnando percorsi interessanti e problematici, le strutture dell’Arte Concettuale e del Minimalismo nonché le ipotesi di carattere analitico-riduttivo in quel momento imperanti nell’orizzonte dell’arte tra Italia, Francia e Germania. Ciò facendo, giungono a un deciso e nuovo pronunciamento in favore dei valori di ‘superficie’ e ‘parete’ o, più in generale, di ‘campo’ potenzialmente vasto (se non proprio estensibile ad infinitum) nel quale far convergere griglie e pattern strutturalmente lontani da idee di gerarchia visiva, funzionalismo e narrazione1.

In Francia, in particolare, alle poetiche in fieri della Geplante Malerei, della Pittura Analitica o Nuova Pittura si contrappone (dal 1968 e poi dal ‘70, a tutti gli effetti) l’ipotesi periferica, di derivazione marxista e decostruttivista, propria di Supports/Surfaces, mentre negli Stati Uniti2, intorno alla metà degli anni Settanta dilaga la tendenza, non meno radicata nella teoria, di una pattern painting rappresentata al massimo grado dal movimento Pattern and Decoration, al pari del primo non esente da rivendicazioni d’ordine sociale oltreché estetico.

Entrambe le tendenze, giungendo a soluzioni formali pressoché opposte, pongono letteralmente l’attenzione sui valori di superficie, ripetizione e decoro. Nel caso francese, gli esiti confluiscono in una lata definizione di ‘pattern’ che interpella da vicino la pittura e i suoi linguaggi; nel caso del movimento americano, invece, in un’ampia chiave decorativa che mira ad appianare le pregiudizievoli differenze tra linguaggi ‘alti’ (come quello della pittura) e ‘bassi’ (propri dell’ornamento), e con esse i preconcetti legati alle forme espressive periferiche, eterodosse, extra-occidentali. Lo svolgimento del capitolo, traendo le mosse da quanto annunciato, si concluderà con un esame dell’arte degli anni Ottanta, utile a individuare quanti – in un clima operativo

1 Cfr. R. Krauss, Griglie, in L’originalità dell’avanguardia e altri miti modernisti, Fazi Editore, Roma 2007, pp.13-27.

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postmediale e appropriazionistico – abbiano concepito o adoperato carte da parati, contestualizzando tali evidenze entro le poetiche personali degli artisti e nel quadro critico di riferimento.

Tra gli artisti sarà particolarmente significativo il caso di Robert Gober, nome oggi tra i più affermati nel panorama internazionale. Gober intraprenderà, sul finire degli anni Ottanta, una riflessione sul medium delle carte da parati che condurrà a risultati rilevanti e assolutamente nuovi per concezione e densità tematica. In tal senso, il suo lavoro si distanzierà nettamente da quello parallelamente condotto da John Armleder e Haim Steinbach, le cui installazioni hanno visto – e tutt’oggi segnalano – un vasto ricorso al wallpaper, mezzo che tuttavia rimane meno individuato e autonomo rispetto alla struttura complessiva dell’opera, che generalmente si costituisce di elementi eterogenei. In particolare, gli esempi concepiti da questi ultimi due artisti, anche qualora si dia il caso di veri e propri pattern3, risultano legati all’ambito di una certa ‘inespressività’ della forma e del contenuto.

Il lavoro di Gober, invece, appare notevolmente ricco di rimandi simbolici e narrativi, pur condensati nell’andamento ripetitivo del pattern e, in tal senso, apre la feconda stagione di utilizzo del wallpaper che avrà pieno svolgimento tra anni Novanta e Duemila.