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Già nel testo dell’introduzione, si è suggerito come la carta da parati ‘domestica’ fosse da lungo tempo intesa come superficie ‘parlante’, elemento percepito come significativo e dunque non semplicemente riconducibile alla funzione di sfondo d’arredo. Una superficie ritenuta espressiva, tuttavia, a ben precise condizioni o verso ‘categorie’ umane sensibili a recepire forme del tutto particolari di comunicazione, attinenti alla sfera dell’immaginazione, della formazione identitaria, dell’inconscio, che nel caso specifico vengono veicolate attraverso le ripetizioni segniche delle carte da parati.

Queste ripetizioni si pongono innanzitutto, come ricorda Gombrich, come una “forma di ridondanza”13

che, nel caso specifico delle carte da parati come opere d’arte contemporanee, risulta spesso finalizzata al rafforzamento o di un concetto che si intende inoltrare presso il pubblico al quale ci si rivolge, o di un effetto visivo o narrativo strettamente affine alla dimensione installativa come si è consolidata nell’arte occidentale dalla fine degli anni Cinquanta.

Le carte da parati stesse – insieme alle tappezzerie tessili – avevano trovato spazio, con tutto il carico suggestivo-memoriale che si è precedentemente cercato di suggerire14, in articolate opere di un artista dal ruolo centrale nell’affermazione dell’environment nel linguaggio artistico dell’inizio anni Sessanta: Edward Kienholz (Fairfield, Washington1927 – Hope, Idaho 1994). Sebbene non si dia il caso di wallpaper come elemento linguistico autosufficiente, l’utilizzo da parte di Kienholz di carte da parati commerciali, entro il perimetro dei propri lavori, appare un elemento troppo evidente per essere trascurato. Testimonia, infatti, di un ruolo importante assegnato al wallpaper ai fini di una narrazione in nuce. Si prenda ad esempio Roxys (1961, Berlino, Collezione Reinhard Onnasch) primo tra i suoi ‘concept tableaux’, presentato alla Ferus Gallery di Los Angeles (fondata dall’artista nel 1957) nel 1962: è un’opera di una sbalorditiva complessità materiale che traspone, in maniera assolutamente verosimile per quanto riguarda la dimensione oggettuale, nonché su scala reale, un postribolo di

13 E.H. Gombrich, Il senso… op. cit., p.210. 14 v. soprattutto introduzione.

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Las Vegas nell’anno 1943 (come testimoniano le date dei giornali presenti e la divisa militare poggiata sull’attaccapanni), fungendo anche da memoria personale per l’artista.

Un banale parato floreale tappezza completamente le pareti, del tutto prive della presenza umana – se non, come s’è detto, in forma di traccia – e abitate solo da inquietanti manichini dati da assemblaggi oggettuali che rivelano un’eco antropomorfica negli abiti o, parzialmente, nell’atteggiamento cristallizzato15

. Il volto umano non è presente se non come maschera, testa mozzata, marionetta o cranio animale (questo il caso del manichino richiamante le fattezze dalla maîtresse) e la riproduzione dell’intero ambiente funge da ridondante cornice entro la quale il contenuto testuale viene dispiegato16.

Ciò vale anche per The wait (1964-65, New York, Whitney Museum of American Art), drammatico tableau incentrato sul tema del ricordo, nel quale una tappezzeria in tessuto, dozzinale e annerita, fa da sfondo a una porzione d’ambiente costellata da vecchie immagini fotografiche, suppellettili – tra le quali si accampa, unica presenza viva, un pappagallino in gabbia – e ‘abitata’ da un’anziana donna-manichino con al collo vasetti di vetro recanti emblemi di piccole memorie personali e in grembo un gatto in tassidermia.

Com’è osservabile anche attraverso il breve accenno all’artista, gli environments, specie sul nascere della categoria artistica, hanno spesso recuperato per l’opera d’arte – ponendosi sulla scia delle avanguardie storiche – una densa dimensione narrativa.

Quest’ultima, come si vedrà negli esempi che verranno analizzati nel presente paragrafo, negli ultimi venticinque anni circa è stata spesso condensata nella proposta di un wallpaper o nell’allestimento di un intero ambiente con il medesimo pattern: si vuole dunque ipotizzare come tale aspetto abbia trovato e trovi sostegno in un sistema che, adoperando un recente ed efficace neologismo,

15 Cfr. M. Livingstone, C. Burnett, “Kienholz [Edward Kienholz e Nancy Reddin Kienholz]”, Londra, The Haunch of Venison Yard, 7 ottobre-9 novembre 2005; Sidney, Museum of Contemporary Art, 16 dicembre 2005-5 marzo 2006. Catalogo della mostra, Haunch of Venison, Londra 2005.

16 Si veda, ancora, il caso di The Hoerengracht (opera di Edward e Nancy Reddin Kienholz, 1983- 1988, Collezione degli artisti), tableau multiplo consistente in una serie di piccole camere

(anch’esse riccamente tappezzate) con vetrina aperta verso l’esterno, a richiamare la disposizione del Distretto ‘a luci rosse’ di Amsterdam. Cfr. C. Wiggins (a cura di), “The Hoerengracht”,

Londra, National Gallery – Sunley Room, 18 novembre 2009-21 febbraio 2010. Catalogo della mostra, Yale University Press, New Haven 2009.

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potremmo definire fictionale (caratteristico dei generi narrativi o derivato da quelli) e proprio del tempo attuale, nel quale un immaginario in costante aumento si modula largamente anche sui modelli e i cliché offerti dalla narrativa, dai media di comunicazione di massa, dalla musica e dal cinema e in tal modo può confluire, ai fini dell’espressione o rappresentazione artistica, anche nel rinnovato medium del wallpaper.

Osserviamo dunque come, alla luce di tale premessa, si potrà analizzare – nel presente e nei successivi paragrafi – un congruo numero di carte da parati, perlopiù realizzate da artisti noti in ambito internazionale ma che hanno fatto ricorso al linguaggio del wallpaper solamente in maniera sporadica, in occasione di precisi progetti espositivi o, altrimenti, trasponendo nel nuovo medium caratteristiche formali già presenti nel proprio lavoro. Altre carte sono invece realizzate da artisti che le hanno rese la struttura principale del proprio linguaggio.

Una rappresentazione concettuale colma d’ironia e incentrata su quattro diversi pattern per wallpaper – in correlazione con immagini fotografiche – è ad esempio quella offerta, nel 1998, da John Baldessari (National City, USA, 1931), artista dall’imponente curriculum che nel 2009 verrà insignito del Leone d’Oro alla Carriera alla 53ª Biennale di Venezia17. Baldessari nel ’98 realizza una doppia e parallela esposizione tra Olanda e Svizzera, nelle sedi del Witte de With Center for Contemporary Art di Rotterdam18 e del Migros Museum für Gegenwartskunst di Zurigo19. Le installazioni oggetto delle mostre, entrambe intitolate “Baldessari: RMS W VU: Wallpaper, Lamps, and Plants. New”, vengono inaugurate a una settimana di distanza e sono incentrate sui medesimi lavori: quattro carte da parati di diverso soggetto e colore e immagini fotografiche in bianco e nero, di grande formato, ritraenti piante o lampade domestiche isolate su fondo scuro, applicate sulle pareti tappezzate come se si trattasse di classici soggetti pittorici.

17 Nella motivazione dei premi a John Baldessari e a Yoko Ono (attribuiti dal C.d.A. della Biennale, presieduto da Paolo Baratta, su proposta del direttore Daniel Birnbaum) si legge di “due

artisti che hanno aperto nuove possibilità di espressione poetica, concettuale e sociale”, e ancora: “Yoko Ono e John Baldessari hanno contribuito a rivoluzionare il linguaggio dell'arte e rimarranno

fonte di ispirazione per tutte le generazioni a venire”. v. D. Birnbaum ( a cura di), “Fare Mondi: la

Biennale di Venezia, 53ª Esposizione internazionale d'arte”. Venezia, Giardini e Arsenale, 7

giugno - 22 novembre 2009. Catalogo della mostra, Marsilio, Venezia 2009. 18

“Baldessari: RMS W VU: Wallpaper, Lamps, and Plants. New”, a cura di Bartolomeu Marí. Rotterdam, Witte de With Center for Contemporary Art, 24 gennaio –22 marzo 1998.

19 “Baldessari: RMS W VU: Wallpaper, Lamps, and Plants. New”, a cura di Rein Wolfs. Zurigo, Migros Museum für Gegenwartskunst, 31 gennaio-22 marzo 1998.

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Questo lavoro di Baldessari nasce in congiunzione con la mostra collettiva “Home Screen Home”, dedicata alla produzione e recezione di immagini video e televisive, curata dal regista americano Michael Shamberg20 presso il Witte de With Center e dunque, nella sede di Rotterdam, è allestito in parallelo alla mostra. Nel 2000, in un’intervista alla sua ex allieva Meg Cranston, Baldessari riferirà di aver concordato con il regista il tono da dare alla nuova opera, ideando le carte da parati in relazione all’idea del curatore: quella di suggerire uno scenario domestico correlato all’immaginario televisivo al centro dell’esposizione21

. Il risultato è una sequenza di “quattro camere con vista”, come suggerito dalla sigla che funge da titolo: 4 RMS W VU (‘four rooms with view’: l’abbreviazione richiama il linguaggio in uso nel mercato immobiliare)22, tappezzate ciascuna con un pattern generato dall’accostamento di coppie di immagini incongrue, relative a due diverse sfere di significato. Parte delle immagini è infatti legata alle capacità umane percettive e al senso dello scorrere del tempo, l’altra parte è invece riferita a cibi molto comuni, consumati dal pubblico domestico davanti al televisore. I titoli indicano, per ciascun pattern, i motivi che lo costituiscono: Potato/Lightbulb [fig. 95], Ear/Pretzel [fig. 96], Nose/Popcorn, Clock/Pizza, e ciascuna coppia è avvicinata da una certa analogia formale.

Il primo è su fondo blu e mostra la forma del tubero affiancata alla lampadina e evidenzia un ironico richiamo: quello alla luce dell’intelletto a contrasto con la patata – elemento che evoca ‘goffaggine’ e ironia23 – alla quale si lega un’espressione familiare americana, che associa tali fattezze a chi trascorre un tempo eccessivo guardando la televisione24. Il secondo parato, su fondo rosa,

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“Home Screen Home”, a cura di M. Shamberg. Rotterdam, Witte de With Center for Contemporary Art, 24 gennaio-22 marzo 1998; Barcellona, MACBA – Museu d’Art Contemporani de Barcelona, 16 luglio-27 settembre 1998.

21 “Doveva essere uno scenario domestico, e così ho deciso di realizzare una carta da parati. Poi, ho pensato che sulla carta da parati dovesse essere rappresentato qualcosa. Avevo lavorato molto con le lampade ed avevo appena iniziato a fotografare vasi di piante per accorgermi, meraviglia delle meraviglie, che i vasi di piante assomigliano tantissimo a ombre di lampade. Che

rivelazione!” J. Baldessari (versione italiana del testo) in M. Cranston, John Baldessari: molti aspetti degni di nota in G. Belli (a cura di), “John Baldessari”, Trento, Palazzo delle Albere -

Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, 15 dicembre 2000-11 marzo 2001. Catalogo della mostra, Skira, Milano 2000, p.26.

22 Ivi, pp.25-26. 23

Cfr. J. Baldessari in M. Cranston, op. cit., p.26. 24

J. Gilbert-Rolfe, The Inverted Flower Pot’s in B. Marì, R. Wolfs (a cura di), “Baldessari: RMS

W VU: Wallpaper, Lamps, and Plants. New”. Rotterdam, Witte de With Center for Contemporary

Art, 24 gennaio –22 marzo 1998; Zurigo, Migros Museum für Gegenwartskunst, 31 gennaio-22 marzo 1998. Catalogo della mostra, Museum für Gegenwartskunst, Zurigo 1998, p.44.