• Non ci sono risultati.

Per una nuova legge sulle espropriazioni

La necessità da tempo sentita di riformare la vigente legge sulle espro-priazioni, aveva già da qualche anno indotto il Ministero dei lavori pubblici a ordinare studi preliminari sulla materia, e anzi l'on. Bertolini nel 1909, essendo egli il titolare di quel dicastero, nominò una commissione composta di competenti funzionari e magistrati, col preciso incarico di studiare quelle riforme e integrazioni alla legge cbe l'esperienza avesse dimostrate op-portune.

Tale commissione non era stata però convocata sinora perchè si voleva prima radunare una buona somma di materiali e di quesiti da sottoporle.

Questi materiali, o per meglio dire le indagini preliminari sulla giurispru-denza, sulle leggi comparate, e sull'esperienza dei fatti, furono sintetizzate in una magistrale relazione presentata pochi mesi fa all'on. Sacchi, Ministro dei lavori pubblici, dal Direttore generale di quel Ministero, essendone stato estensore il primo segretario addetto al rispettivo segretariato generale, il cav. avv. Luigi Pintor. Questa relazione ha appunto per titolo: « Bicerche

preliminari per la riforma della legge sulle espropriazioni ».

Pur troppo accade di questa come di molte importanti pubblicazioni mini-steriali, che non sono messe a disposizione del pubblico; così che rimangono spesso anche ignorate, mentre divulgate tra gli studiosi o gli interessati, potrebbero avere un'utile portata molto maggiore che non hanno con questa solita semiclandestinità. In questo caso poi, trattandosi di una relazione su studi preliminari ad una legge di importanza così profonda per tutta l'Italia, il chiamare in certo modo i cittadini a collaborare colla commissione sopra-detta, provocando l'opinione del pubblico in proposito, sarebbe doveroso, mentre accrescerebbe la suppellettile di studi di cui disporrebbe la commissione e il ministero, per formulare le loro proposte al Parlamento in progetto di legge.

E passo a riassumere le cose più importanti détte nella relazione.

Il relatore fa giusto rimprovero alla vigente legge di ibridismo colle sue distinzioni tra piano regolatore e piano di ampliamento, trattando coll'art. 92 un piano regolatore edilizio colle stesse norme di qualunque altra opera dichiarata di pubblica utilità. E vorrebbe giustamente cbe si risalisse ad un concetto superiore che possa provvedere tanto al bisogno di regolare la

via-bilità interna dell'abitato e le sue eostruzioni, come a quello di una preve-dibile espansione da regolarsi fuori dell'abitato attuale. Propone quindi di addottare mezzi di attuazione comuni ai due casi, perchè effettivamente non esiste ragione per trattarli differentemente. E perciò vorrebbe che si ripristi-nasse il sistema ben proposto nel progetto Pisanelli del 1864 da cui scaturì storpiata l'attuale legge vigente, cioè la servitù d'allineamento, invece degli attuali distinti regimi di piano regolatore e di piano di ampliamento che con l'obbligatorietà della loro esecuzione totale dentro un determinato tempo, portano ai comuni inconvenienti d'ordine finanziario e tecnico non lievi, e sono quelli che fanno esitanti le amministrazioni dal risolvere pro-blemi della loro edilizia che pure richiederebbero una soluzione e special-mente una regolamentazione per impedire il caos nell'avvenire. Diffatti osserva che certi sventramenti costosi precipitosamente fatti con inconvenienti d'ordine estetico, fu la legge che obbligò a eseguirli in tal guisa coll'obbligo che impone di eseguire con una certa rapidità il piano regolatore o d'ampliamento nella tema che una servitù continuativa, senza scadenza fissa e relativamente prossima, sia esagerata offesa all'interesse privato.

Ciò che veramente non è.

Col sistema proposto dall'egregio relatore si imporrebbe come obbligo, anziché permettere, come fa la legge attuale, ad ogni centro urbano di avere un piano che regoli tanto il nucleo urbano esistente e fabbricato, quanto la zona del comune non fabbricata. E a questo piano dovrebbe uniformarsi tanto il proprietario del fabbricato, quanto quello del terreno ancora nudo. Quest'ul-timo proprietario dovrebbe tenersi dentro la linea segnata dal piano quando volesse fabbricare, oltre che attenersi alle altre norme relative alla sua ese-cuzione. Il proprietario del fabbricato esistente già prima del piano regolatore, potrebbe mantenerlo nell'attuale stato e posizione, quantunque secondo il piano dovesse un giorno essere abbattuto tutto o in parte, finché il comune non intenda di abbatterlo per procedere all'esecuzione di quella parte del piano che le spetta, conferendo la congrua indennità; senza però potere fare nel frattempo trasformazioni e miglioramenti tali che al momento che l'indennità dovrà essere corrisposta, si trovi a dovere essere maggiore di quello che altri-menti sarebbe stata.

Il relatore avv. Pintor, proponendo questo ripristino della servitù di

alli-neamento già accolta nel progetto Pisanelli, osserva che essa ha dato buoni

risultati in Francia dove vigeva già dal 1807, e in altri paesi che l'hanno presa dalla Francia.

Per conto mio osservo che con un sistema simile al proposto, la vecchia Vienna ha potuto diventare con poca spesa, a poco a poco, una città a propor-zioni e linee moderne.

Il relatore critica la legge vigente perchè dà soltanto facoltà ai comuni di fare un piano regolatore dell'interno e dell'esterno del fabbricato, mentre evidentemente dovrebbe essere un obbligo perchè la riforma di una difettosa costruzione, o della sua espansione, sono funzioni necessarie di un comune urbano.

f i } )

\

/

E per di più la nostra legge arresta quella facoltà ai comuni che hanno almeno diecimila abitanti. Ora non è chi non vede cbe anche un comune più piccolo deve trovarsi in necessità quasi sempre di un piano regolatore per lo meno per la sua espansione.

Addottando il semplice istituto della servitù di allineamento, non occorre come fa la legge vigente, dice il relatore, far distinzione tra piano regolatore edilizio e piano di ampliamento, nè di applicare differenti norme per l'uno o l'altro caso. Quindi neppure accordare all'estetica in via eccezionale di poter essere causa di nuovi tracciati edilizi, come si fa ora ammettendola soltanto in uno di quei casi.

Arrivato a questo punto il relatore si domanda se è proprio necessario, se è utile che detti piani, anche per i centri secondari abbiano da essere approvati per decreto reale. È certamente da applaudirsi il desiderio che anima il relatore di portare in questa materia un po' di quel desiderato decentramento di cui molto si parla ma che mai si applica. Egli vorrebbe che riservata al governo centrale l'approvazione per i centri principali, si demandassero le altre al prefetto della provincia.

Concordo col relatore nel desiderio di discentramento anche in questa materia, ma dissentirei dal riportare puramente nel prefetto quell'autorità che la legge vigente fa discendere dal centro.

E per due ragioni. La prima di ordine politico. Sappiamo che i prefetti manipulano le elezioni. Ed un'arma di cui molti si servono è appunto il con-cedere o negare, a seconda dell'addattarsi al volere prefettizio nelle elezioni, quelle approvazioni che dovrebbero concedere o negare con puro criterio ob-biettivo a rigore di legge. Ora i tracciati dei piani regolatori diventerebbero facilmente subordinati alle amicizie o alle opposizioni nelle elezioni al can-didato governativo. Tanto più che è appunto nei centri secondari e nei minori specialmente che la pressione prefettizia troverebbe in quel mezzo facile strada.

Una seconda ragione è di ordine più generale. Il discentramento utile non è quello topografico dal centro alla periferia, ma bensì quello per competenze, quello che conferisca la responsabilità degli atti amministrativi ai funzionari o ai collegi competenti, per così dire, tecnicamente in materia. Il prefetto, invece, ha da noi già troppe mansioni da esercitare sto per dire simbolica-mente assumendo la responsabilità di atti di cui non ha capacità effettiva a giudicare, e spesso neppure tempo ha da occuparsene, ricoprendo semplice-mente, e assolutamente della sua responsabilità e autorità l'opera di funzionari che per ciò non sono tenuti da alcun freno — se non quello della propria coscienza — ed essere retti e zelanti.

I corpi che attualmente sono chiamati a dare il loro parere sui decreti per un piano regolatore edilizio, sono almeno talmente alto locati da affidare di indipendenza anche davanti all'arbitrio governativo.

Senza abbandonare l'idea buona — in sè — di discentrare in fatto di appro-vazioni di questo genere, si cerchi dunque di affidarla ad autorità o collegi che affidino di competenza e di obbiettività di giudizio.

li relatore esamina sotto l'aspetto visto dall'art. 22 della vigente legge, la

necessità dell'espropriazione delle zone latistanti per far vedere che non è necessario parlarne esplicitamente, come se si trattasse di un'eccezione, perchè se si esaminano i casi in cui praticamente sia necessaria, anche nell'ambito più vasto del concetto moderno di questa necessità, si vede che essa non può essere considerata cosa quasi secondaria e come appendice occasionale all'opera principale per cui si è dovuto proclamare la utilità pubblica ; ma che invece deve far parte necessariamente integrante dell'opera tutta in sè. Che anzi qualche volta mentre è presentata come appendice, è invece essa stessa lo scopo principale dell'opera: come, per es., quando si invoca la pubblica utilità per una strada che squarci e risani quartieri occupati da case in condizioni igieniche pessime. Evidentemente in tal caso l'espropriazione delle zone lati-stanti diventa lo scopo principale dell'opera, perchè scopo ne è la demolizione dei vecchi fabbricati per sostituirli con altri di ben diverse condizioni igie-niche. E cosi il caso contemplato dalla legge sulle case popolari cbe ammette l'espropriazione delle zone latistanti a strade fatte apposta per formare dei quartieri popolari, è evidente che anziché essere una conseguenza del trac-ciamento di quelle strade, il rendere possibile la fabbricazione è lo scopo per cui le strade sono tracciate. E così via.

Tracciata una strada o una piazza, i terreni latistanti di qua e di là soventi non coincidono nei loro privati confini con una razionale possibilità di divisione in lotti fabbricabili. Il relatore non approva come questo caso è risolto da varie legi-slazioni straniere, e neppure approva come è voluto risolvere da noi da vari regolamenti edilizi che ne hanno preso l'esempio dal regolamento pel piano di Genova orientale. Egli propone invece che siano tutti i terreni aggruppati e ripartiti in lotti in conformità del nuovo piano; che siano lasciati ai proprie-tari rispettivi i lotti che possono accogliere un isolato intero senza dover essere integrati con parte della proprietà del vicino; e che infine i terreni di quei lotti che sono formati da varie proprietà siano messi all'asta a favore dei singoli proprietari secondo giusta stima di un minimo di valore, dedotta però a favore del comune la parte di plus valore che viene assorbita dal contributo che fosse applicato.

À me pare che si potrebbe arrivare a questa ultima ratio dopo di aver esperito un altro rimedio ancora che permettesse al proprietario del piccolo appezzamento di usufruirlo direttamente. Invece di stabilire con misura gene-rica la forma dei lotti, a priori, nel piano regolatore, discutere prima quei sistemi di utilizzazione che proponessero i proprietari, i quali hanno maggior agio di poter presentare all'autorità cbe forma il piano, proposte che per avventura corrispondono ugualmente alle esigenze dell'igiene e dell'estetica, pur non dovendo cedere a una troppo uguale ripartizione dei lotti, che sovente produce monotonia. Ciò che proviene appunto da che la ripartizione vien fatta da una sola mente ufficiale che non può portare la sua attenzione su ogni breve tratto di fronte o di superficie da ricavarne quella differente e più razionale utilizzazione che solo uno studio singolare di essa può suggerire. Il regolamento-legge per Zurigo e Wintertur ha al riguardo delle disposizioni

\

I

ben delineate per compenetrare l'interesse pubblico con quello privato, e quello dei privati fra loro. Mi pare potrebbe essere preso in considerazione. Tanto più che le sue disposizioni potrebbero permettere una razionale influenza dei proprietari dei terreni nella formazione dei piani specialmente delle zone secondarie nelle quali l'interesse pubblico ha ragioni di prevalere.

Mi porterebbero troppo in lungo a ripeterle le molteplici acute critiche e proposte del relatore per quanto ha tratto al sistema delle indennità da cor-rispondere all'espropriato, e al modo di computarle. L'importanza loro e la perfetta logica a cui sono ispirate meriterebbero cbe lo spazio mi consentisse di ricapitolarle almeno.

Non voglio però tralasciare di riferire alcune principali proposte. Una riflette la perizia e il perito del danno e la giurisdizione d'appello da essa. Rilevati i gravi inconvenienti del vigente sistema propone alternativamente che nomini ciascuno delle due parti un perito scelto nell'albo e che sieno i due tecnici presieduti o diretti da un magistrato, pretore o giudice, che, esaminate le richieste delle parti, sottoponga ad esse i quesiti, ricevendone risposta separata e motivata. E tale magistrato, in base a tali risposte, dichiari quale sia il danno e quale ne debba essere l'indennità. Ovvero le dette tré persone in tal modo prescelte, vengano riunite in vero e proprio collegio arbitrale.

Dalla loro sentenza sia concesso in tal secondo caso, o da quella del magistrato nel primo, di adire i comuni rimedi giurisdizionali.

E questi sistemi propone l'egregio relatore perchè osserva che molte perizie incongruenti hanno origine nel fatto che il perito tecnico è chiamato a far la stima del danno senza che gli sia previamente indicato esattamente, cioè da un punto di vista giuridico, ciò cbe deve costituire oggetto di perizia, cioè qual'è il danno che a termini di diritto deve compensarsi, e che solo quindi è destinato a essere stimato. Il perito insomma, secondo il sistema vigente, non fa solo il tecnico, ma è obbligato a mettersi dei quesiti, molti dei quali sono di natura giuridica, difficilmente apprezzabili da un incompetente che anzi talvolta neppure saprà rilevarli. Colla proposta sua, secondo il relatore, sin da principio si delineerebbe nettamente il campo delia perizia, mentre ora sovente si discute dei limiti di questo campo a perizia compiuta, cioè quando questa è impugnata davanti al tribunale.

Si aggiunga che vorrebbe che venissero emanate delle norme per il rileva-mento del danno secondo le traccie che l'esperienza tecnica e quella legale, consacrata dalla giurisprudenza, hanno potuto permettere di generalizzare.

Mi rincresce non poter seguire la relazione in tutti i concetti cbe espone sul tema del contributo, che tratta con critiche, distinzioni e proposte degne della maggior attenzione. Si mostra propensa ad aumentare, come norma generale, il contributo dovuto sul plus valore acquistato dagli stabili latistanti alle opere stradali, ai tre quarti di esso anziché alla metà. E giustamente vorrebbe che obbligatorio fosse sempre il contributo quando il plus valore

si verifica, perchè deve essere istituto parallelo a quello dell'indennità. La legge comune dovrebbe imporlo per regola generale, senza che debba essere imposto per legge speciale caso per caso, come ora è necessario.

Ma la questione del contributo mi offre occasione di esporre alcuni concetti che a parer mio dovrebbero essere accolti in un nuovo progetto di legge sulle espropriazioni, o in qualche altro che parallelamente dovrebbe integrare tutta la materia sulle opere di espansione e di regolarizzazione urbana.

Le norme contenute in una legge per permettere ai centri urbani la loro espansione edilizia, o il miglioramento della viabilità interna e dell'igiene del fabbricato, non devono essere scritte solo perchè i comuni se ne valgano, sal-tuariamente, capricciosamente, quando, per così dire, ne li coglie vaghezza. No, una tale legge deve essere fatta per spingere i comuni a fare della buona politica edilizia. Ma spingere a fare non è ancora tutto. È ragionevole che contemporaneamente il legislatore armi i comuni dei mezzi per fare.

Una buona politica edilizia deve riformare i vecchi quartieri, come deve abbondantemente provvedere all'espansione edilizia al di là del vecchio circuito, tanto più quando la popolazione cresce rapidamente. E non a caso ho detto

abbondantemente provvedere, perchè il guaio delle aree care che tanto

in-ceppa la soluzione del problema dei fitti, e per riflesso quello dell'igiene delle abitazioni, dipende in gran parte dalla lentezza e scarsità colle quali si prov-vede dai comuni alla viabilità esterna e al conseguente addattamento di terreni ad aree fabbricabili. In genere scarseggiano relativamente alla domanda di aree realmente pronte alla fabbricazione, mentre, se si vuole aree a buon mercato, bisogna far sì che le aree pronte alla fabbricazione, cioè prospicienti o contigue a strade perfettamente praticabili, siano costantemente in numero molto superiore alla domanda. Questo è il miglior calmiere del prezzo delle aree.

Ma anche ottenendo così che questo prezzo si mantenga in limiti misurati, non sarà men vero che i terreni beneficati coll'apertura delle strade che li convertono in aree fabbricabili, aumenteranno di prezzo in modo da essere quello a cui saranno ceduti come aree fabbricabili, un multiplo del primitivo. Il benefìzio venale delle nuove strade che proviene dalla pressione del bisogno di espansione della città edificata, è sempre fortissimo. Un'arteria nuova che penetra in terreni mancanti di una viabilità di carattere cittadino fa sentire anche a una certa distanza la sua venuta con una ripercussione sul valore dei terreni latistanti per una profondità di molte decine di metri, sebbene con effetto decrescente. Ora, in tesi generale, l'aumento complessivo di valore sulle due profondità latistanti a detta arteria, è tale che, confrontato colle spese di tracciamento della strada e servizi accessori, le supera e anche di gran

lunga.-Quindi razionalmente il contributo deve essere tale, e lo può essere, cbe compensi almeno tutte le spese incontrate dal comune. Ma quando vi è mar-gine può essere di più, ed è giusto cbe sia di più. E se, come abbiamo detto, in tesi generale, realmente questo margine nel maggior valore si verifica, ne viene che la legge deve mettere in caso i comuni di poter avere dalla somma

dei lavori di espansione urbana il compenso delle forti spese incontrate ed anche più.

Ma perchè ciò possa avvenire non basta innalzare l'aliquota del maggior valore da lasciarsi ai comuni; bisogna anzitutto che il vero maggior valore, il totale maggior valore possa essere accertato. E perciò bisogna anche qui innovare dal sistema vigente per accertarlo in modo sicuro che non sfugga al perito come sfngge colle norme in vigore. Bisogna trovare il modo di accertare il valore iniziale dei terreni nel momento che è ancora tale, per confrontarlo posteriormente col valore da loro conseguito per merito dell'opera compiuta. Accertare, come si fa ora, valore iniziale e valore nuovo per ricavarne il maggior valore ottenuto, insieme ad opera finita, è mettere il perito nella massima delle difficoltà, anzi in parecchie difficoltà perchè non è appena com-piuta l'opera, cioè appena aperta la strada, che i terreni latistanti e special-mente quelli semplicespecial-mente contigui ai latistanti acquistano il pieno valore che acquisteranno più specialmente in seguito quando la fabbricazione vi si affermerà in modo deciso. E ciò accadrebbe tanto più se le amministrazioni comunali provvedessero a che le aree disponibili fossero sempre esuberanti, perchè le aree latistanti si scoprirebbero anche più lentamente di fabbricato. Bisognerebbe quindi che un accertamento del valore dei terreni percorsi da quella parte del piano che si vuole eseguire, avvenisse prima dei relativi lavori e possibilmente anche prima delle approvazioni richieste dai corpi competenti.

E l'accertamento invece del valore conseguito per merito dell'opera com-piuta, e che confrontato col primo deve mettere in evidenza la differenza sulla quale ha da conteggiarsi il contributo, dovrebbe invece avvenire non solo ad opera finita, ma anche un certo lasso di tempo dopo l'apertura della strada. Ciò ridonderebbe anche a comodo dei proprietari soggetti a contributo che non possono vendere subito le loro aree. Essi ora sono obbligati ad esborsare almeno un decimo del contributo ogni anno ancorché per anni non ricavino