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Nuova Tari, apertura sugli inesigibili

Possibili imputazioni a costo più flessibili per «tutelare la finanza pubblica locale»

Pasquale Mirto Il 2020 si preannuncia caldissimo per i Comuni. Dopo le annunciate

modifiche della maggior parte dei tributi comunali, con l' unificazione dell' Imu/Tasi, del canone patrimoniale sostitutivo dell' imposta di pubblicità e della Tosap, oltre all' introduzione dell' accertamento esecutivo e forse di una piattaforma digitale per le notifiche, arriverà anche la «nuova Tari». La conferma viene dall' Audizione di Arera del 22 ottobre (Quotidiano degli enti locali e della Pa di mercoledì scorso), in cui si ribadisce non solo l' adozione del nuovo sistema tariffario dal 2020, ma anche l' intenzione di effettuare subito il conguaglio 2018 ricalcolato con i nuovi «costi efficienti». Ci sarà forse un' apertura sul problema più rilevante per i Comuni, i crediti inesigibili. Il criterio ipotizzato nella consultazione, cioè la possibilità di inserirli a costo solo una volta terminate infruttuosamente tutte le procedure esecutive, potrebbe essere rivisto in ragione di «principi di tutela della finanza pubblica locale». Il nuovo sistema sarà approvato entro il 31 ottobre, ma il termine difficilmente consentirà un' effettiva applicazione della nuova metodologia. Perché bisogna fare i conti con l'

aggiornamento dei software dei gestori che saranno chiamati a riformulare le modalità di imputazioni. Inoltre, occorre considerare che i nuovi piani finanziari dovranno essere approvati dalle Ato, a cui però viene, finalmente, attribuito un compito più qualificante che approvare la tabellina del gestore. Sul punto Arera auspica comunque una proroga del termine per approvare le tariffe, anche se occorrerebbe un termine fisso, svincolato da quello di approvazione del bilancio comunale. Le finalità di Arera sono tutte condivisibili, ma occorre rendersi conto dell' eterogeneità multilivello della materia, visto che mai le componenti di costo rilevanti per il Pef provengono da un solo gestore. Perché comunque il costi di riscossione rimangono in capo ai Comuni, senza considerare le gestioni frastagliate dove più gestori che svolgono singole fasi del processo. In molte regioni, poi, le Ato non esistono, oppure non sono funzionanti, e dove funzionano non sempre assolvono alla loro funzione di vigilanza. È allora

entrambe le modalità con cui può essere declinata la Tari, ovvero tributaria o corrispettiva. Peraltro, Arera sembra ignorare, dove considera i «prelievi che non permettono l' applicazione dell' Iva», la circostanza che la natura della Tari corrispettiva, e quindi la possibilità di applicare l' Iva, è sub iudice, visto che si dovranno pronunciare le sezioni unite della Cassazione. Altro tema rilevante è il perimetro del servizio. In Audizione si è confermato quanto scritto nel documento posto in consultazione, ma si è annunciato che per «preservare gli equilibri della finanza pubblica» gli oneri eventualmente inseriti nei corrispettivi tariffari, ma non attinenti il perimetro di gestione (come lo spazzamento neve) dovranno essere indicati separatamente negli avvisi di pagamento. Non si comprende si possa attuare questo aspetto con la Tari tributo, perché il tributo serve a coprire solo i costi di gestione del servizio rifiuti e non ci si può inventare un prelievo nuovo, stante la riserva di legge. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

iscrizione così come i corsi di formazione e la polizza assicurativa per attività tecniche

Per il professionista dipendente della Pa l' Albo non è un costo

Guglielmo Saporito I professionisti dipendenti pubblici possono ribaltare sul datore di lavoro il

costo dell' iscrizione all' Albo professionale. E ciò, in particolare, se l' attività pubblica viene esercitata in regime di esclusiva. Le spese di iscrizione all' Albo riguardano non solo avvocati e ingegneri, ma tutti coloro che da un lato "firmano", quali professionisti abilitati, atti della pubblica amministrazione e dall' altro abbiano un vincolo che impedisca l' attività esterna a favore di terzi. Il caso più recente è quello deciso dal tribunale di Pordenone (sentenza 116 del 6 settembre 2019) e si riferisce ad alcuni infermieri professionali, legati da obbligo di esclusività con una Ausl. In tal caso l' iscrizione all' Albo è stata riconosciuta a carico dell' ente pubblico in quanto è stata ritenuta un requisito indispensabile per lo svolgimento dell' attività. Nel caso, invece, l' iscrizione all' Albo non sia necessaria, ma sia sufficiente aver conseguito l' abilitazione (superando l' esame di Stato), non vi è alcun problema di oneri a carico della Pa. Ciò accade ad esempio per gli avvocati dello Stato, che non sono iscritti ad alcun Albo, o per alcuni medici del ministero della Salute; e questa è anche l' opinione del Consiglio

nazionale degli ingegneri (circolare 6340 del 21 ottobre 2015), che distingue tra professionisti abilitati e iscritti all' Albo. Ai fini del rimborso, occorre distinguere tra i titoli acquisiti per accedere e mantenere una posizione lavorativa (qual è, appunto, l' iscrizione a un Albo professionale) e i titoli che, una volta acquisiti, diventano dote specifica del dipendente . Per esempio, la laurea, di cui il lavoratore beneficia sotto vari aspetti, non solo lavorativi: il costo per conseguirla non può, perciò, essere ribaltato sul datore di lavoro (Corte conti Puglia, deliberazione 29/2008). Stesso ragionamento per i titoli di qualificazione non indispensabili alla carriera (specializzazioni, master, ecc.) ma utili solo ai fini di punteggi o avanzamenti: non essendo obbligatori, quei titoli non possono essere a carico dell' ente. I primi professionisti che hanno battagliato per ribaltare sul datore di lavoro gli oneri di iscrizione all' Albo sono stati gli avvocati dell' Inps e dell' Inail (Cassazione, sentenze 7776/2015 e 3928/2007), seguiti dagli avvocati interni dei Comuni (Consiglio di Stato, parere 1081/2011). Un' importante estensione del principio riguarda i ruoli tecnici e di

4, del Dlgs 50/2016, testo unico sugli appalti). Ragionamento che si può fare anche per i corsi di formazione obbligatori: se il dipendente non si può giovare di tali corsi in rapporti esterni (ad esempio, nella libera professione autorizzata) a causa di un vincolo di esclusività con la Pa, i relativi costi sono a carico di quest' ultima. L' iscrizione dei dipendenti ad Albi pone al datore di lavoro pubblico problemi contabili per il pagamento dell' Irap: secondo l' articolo 3 del Dlgs 446/1977 tale imposta è a carico del datore di lavoro e ciò innesca un meccanismo di rivalsa verso i terzi quando, ad esempio, una lite si conclude con una sentenza che riconosca il rimborso delle "spese di lite"

a favore dell' ente pubblico. Insieme all' importo quantificato dal giudice, l' ente pubblico può chiedere anche una somma a titolo di Irap (circa il 20%) come onere accessorio riflesso (Consiglio di Stato, decisione 3738/2018 e Cassazione, sentenza 29375/2018). Ciò sempre in forza del principio che ritiene accessoria e separata, rispetto alla retribuzione, ogni somma indispensabile e attinente alla professione. Come accadeva per l' indennità di

"cavalcatura" di medici e veterinari condotti che dovevano per raggiungere gli assistiti. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Un affitto che «contiene» la rata del mutuo. La diminuzione dei tassi dei mutui e l' aumento dei rendimenti dei canoni rende possibile un' operazione fino a qualche mese fa impensabile: comprare un' abitazione da affittare con un ridotto apporto di contanti e pagando il mutuo in buona parte o del tutto con l' introito netto dei canoni. Se si trovano inquilini affidabili alle attuali condizioni l' operazione sul medio periodo si dimostra sempre conveniente, per perderci infatti sarebbe necessario che la casa nel tempo dimezzasse di valore rispetto al prezzo di acquisto e partendo dai valori attuali la cosa appare molto improbabile. Anche in questo caso abbiamo distinto tra zone residenziali con una buona performance di mercato (dove la rata del mutuo copre solo in parte l' introito netto dei canoni) e aree periferiche con rendimenti più alti. Vediamo due esempi tratti dalle tabelle. A Roma il bilocale ai Parioli che abbiamo indicato tra le proposte dei cassettisti costa 247mila euro. Richiede un acconto di prezzo di 74mila euro a cui possiamo aggiungere 26mila euro per spese legate al trasferimento (imposte casa e mutuo, onorari notarili). Ogni mese l' introito netto per l' affitto (canone meno il 40% per

Imu,Tasi, cedolare secca e spese straordinarie) è di 720 euro a fronte di un mutuo di 825 euro. In pratica il proprietario di casa spende ogni mese 105 euro, che moltiplicati per le 240 rate del mutuo fanno 25.200 euro. In totale quindi a fronte di una spesa complessiva di 125.200 euro potrà vendere una casa che oggi vale quasi il doppio. E se vendesse prima? Alla spesa bisognerebbe aggiungere il debito residuo del mutuo. Ad esempio tra 10 anni la spesa sarà di 100mila iniziali, più 12.600 per il mutuo più 92.400 euro di debito residuo: in totale 207mila euro.

Se la casa mantiene il suo valore c' è comunque un guadagno di 40mila euro. In periferia a Milano in viale Certosa un bilocale si può comprare a 135 mila euro e tra la rata del mutuo e il canone netto ci sono solo sette euro di differenza. Aggiungendo all' anticipo di 41 mila euro circa 15 mila euro per spese l' investimento reale è di 56mila euro. Alla fine del mutuo la spesa sarà complessiva di 57.680 euro e l' investitore metterebbe a segno un minimo guadagno anche se la casa in venti anni dimezzasse di valore. Tra dieci anni invece la spesa complessiva, includendo il saldo del debito residuo del mutuo, sarà di poco meno di 108mila euro, in pratica per finire in rosso sarebbe necessario che l' abitazione perdesse oltre il 20% del suo valore attuale. Nelle tabelle abbiamo ipotizzato contratti tradizionali della durata

di otto anni perché sono quelli sui quali è possibile fare valutazioni sul rendimento effettivo. Va però detto che nelle grandi città, soprattutto nelle aree vicine alle università e nelle zone centrali di richiamo turistico gli affitti di otto anni stanno diventando merce rara. Calcolare quanto renda effettivamente l' acquisto di una casa finalizzata a questo utilizzo è complicato perché gli immobili vanno forniti arredati, bisogna tenere a proprio carico le spese delle utenze e quelle condominiali e infine mettere in conto, se si dà in gestione la casa, il peso delle commissioni che possono arrivare a sfiorare il 50% dell' introito lordo. Infine si può aggiungere che le tabelle su affitto e mutuo lette dal punto di vista del potenziale inquilino fanno capire come tra acquisto e locazione oggi non ci sia partita: l' inquilino infatti il confronto lo deve fare tra il canone lordo e la rata del mutuo, e questa è sempre più bassa, e lo è ancor di più se si ipotizza un finanziamento a tasso variabile o di durata superiore ai 20 anni. G. Pa.