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REDDITI DI CAPITALE E REDDITI DIVERSI, una divisione da superare

Giuseppe Corasaniti Nonostante le profonde modifiche subite dal regime impositivo applicabile

ai redditi di natura finanziaria, dalla riforma tributaria degli anni 70 non è mai stata messa in discussione la ripartizione dei redditi derivanti dalle attività finanziarie all' interno delle categorie dei redditi di capitale e dei redditi diversi. Il punto non è stato modificato neppure dal riordino della disciplina dei redditi finanziari del 1997 (Dlgs 461/1997), che ha comportato la possibilità per il contribuente - attraverso l' introduzione dei regimi del risparmio amministrato e del risparmio gestito - di optare per l' applicazione di modalità semplificate di riscossione dell' imposta, tramite intermediari abilitati e senza obbligo di successiva dichiarazione. I tempi potrebbero essere maturi, però, per superare questa dicotomia, come è emerso nell' ambito dello studio sulle prospettive di riforma dell' Irpef curata dalle Acli con Caf Acli in collaborazione con l' Università degli studi di Brescia. A maggior ragione ora che diversi esponenti del Governo hanno prospettato un "cantiere" per la riforma dell' Irpef. In estrema sintesi, la soluzione potrebbe essere quella di applicare un prelievo sostitutivo del

26% sulla somma algebrica delle diverse componenti reddituali finanziarie, consentendo comunque a chi lo desidera di optare per la tassazione ordinaria Irpef. In effetti, il mantenimento delle due attuali categorie - seppur coerente con la scelta legislativa di non limitare il fenomeno impositivo soltanto ai redditi prodotti (redditi di capitale), ma di estenderla anche a tutte le manifestazioni di ricchezza finanziaria riconducibili a ipotesi di reddito o entrata (redditi diversi) - è criticabile sotto diversi profili. Da un lato, è "anacronistico" alla luce della recente uniformazione dell' imposizione delle partecipazioni societarie a prescindere dalla natura, qualificata o meno, di tali partecipazioni. Dall' altro lato, è oltremodo inadeguato a cogliere la complessità e l' articolazione degli strumenti finanziari. Tra i diversi esempi possibili, è sufficiente ricordare che allo stato attuale le minusvalenze (redditi diversi) derivanti dal riscatto di fondi, Sicav ed Etf non sono compensabili con i proventi dei fondi stessi, perché questi ultimi sono sempre qualificati come redditi di capitale. L' obiettivo di arrivare a un definitivo superamento delle due categorie appare

del 26% sui capital gain anche alle partecipazioni qualificate. Il tema della "unificazione" non è inedito. Invano si è dapprima tentato di attuare l' accorpamento delle due categorie in occasione della legge delega 80/2003 (mai culminata in decreto legislativo di attuazione), il cui articolo 3, comma 1, lettera d), tra gli altri criteri direttivi, prevedeva l' omogeneizzazione dell' imposizione su tutti i redditi di natura finanziaria, indipendentemente dagli strumenti giuridici utilizzati per produrli. Successivamente, neppure l' introduzione dell' aliquota unica sui rendimenti delle diverse tipologie di strumenti finanziari, prevista a dal 1° gennaio 2012 in base al Dl 138/2011, è intervenuta sul punto, inibendo ancora oggi la possibilità di compensare i redditi di capitale con minusvalenze e altri differenziali negativi. In questa prospettiva, potrebbe essere utile volgere lo sguardo all' esperienza tedesca dove - in occasione dell' introduzione della ritenuta alla fonte a titolo di imposta - a decorrere dal 1° gennaio 2009, sono state annoverate all' interno della categoria dei redditi di capitale di cui al 20 della legge istitutiva dell' Irpef tedesca, anche le plusvalenze realizzate dalla cessione dei rapporti produttivi di redditi di capitale ( 20, co. 2, EstG). A determinate condizioni è ammessa la compensazione tra le minusvalenze e le perdite finanziarie con i proventi e le plusvalenze annoverate nella categoria dei redditi di capitale ( 20, comma 6, EstG). Il legislatore tedesco ha rimosso - con effetti di rilevante semplificazione - la distinzione tra reddito prodotto e reddito entrata -plusvalenze, così fugando i dubbi interpretativi in merito alla fonte produttiva del reddito e contrastando i comportamenti elusivi derivanti dagli strumenti finanziari derivati. Professore ordinario di Diritto tributario Università degli Studi di Brescia © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Occorre versare una somma parametrata alla variazione in diminuzione effettuata Nell' ambito del decreto fiscale collegato alla legge di bilancio 2020 (DL 26 ottobre 2019 n. 124) è stata introdotta una norma che intende superare le problematiche applicative derivanti dal divieto di cumulo del III, IV e V Conto energia con la c.d. Tremonti ambientale . La questione trae origine dal comunicato del 22 novembre 2017 con il quale il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) - titolare del procedimento amministrativo di concessione e revoca delle tariffe incentivanti- ha chiarito che "la detassazione di cui alla Tremonti ambiente non è cumulabile in alcuna misura con le tariffe incentivanti spettanti ai sensi del III, IV e V Conto Energia . Pertanto, in considerazione del previsto divieto di cumulo e della peculiarità del caso in esame, che ha richiesto una norma interpretativa si specifica che, nell' ipotesi di voler continuare a godere delle tariffe incentivanti del III, IV e V Conto Energia, è necessario che il Soggetto Responsabile rinunci al beneficio fiscale goduto". Il DL 26 ottobre 2019 n. 124, all' art. 36 (rubricato

"Incentivi Conto Energia"), dispone che, in caso di cumulo degli incentivi alla produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici di cui ai DM 6 agosto

2010 , 5 maggio 2011 e 5 luglio 2012 con la detassazione per investimenti ambientali realizzati da piccole e medie imprese prevista dall' art. 6 commi da 13 a 19, della L. 23 dicembre 2000, n. 388, il mantenimento del diritto a beneficiare delle tariffe incentivanti riconosciute dal GSE alla produzione di energia elettrica è subordinato al pagamento di una somma determinata applicando alla variazione in diminuzione effettuata in dichiarazione relativa alla detassazione per investimenti ambientali l' aliquota d' imposta pro tempore vigente. Pertanto, come evidenziato dalla relazione illustrativa al DL, la disposizione - anche al fine di superare i numerosi contenziosi che si sono instaurati sia in ambito amministrativo sia in ambito tributario - definisce la procedura diretta a consentire al contribuente di mantenere il diritto a beneficiare delle tariffe incentivanti versando una somma parametrata alla variazione in diminuzione effettuata in dichiarazione dei redditi. A tal fine, i soggetti che intendono avvalersi della citata definizione devono: - presentare una apposita comunicazione all' Agenzia delle Entrate (le cui modalità e il cui contenuto saranno stabiliti con provvedimento del Direttore dell' Agenzia medesima); - provvedere al pagamento degli importi dovuti entro il termine del 30 giugno 2020. Il perfezionamento comporta l' estinzione dei giudizi

di copia della comunicazione e nelle more del pagamento delle somme dovute, sono sospesi dal giudice. L' estinzione del giudizio è subordinata all' effettivo perfezionamento della definizione e alla produzione, nello stesso giudizio, della documentazione attestante i pagamenti effettuati; in caso contrario, il giudice revoca la sospensione su istanza di una delle parti.